Le rivolte imprevedibili di Barbara Spinelli

Le rivolte imprevedibili Le rivolte imprevedibili DAL NOSTRO INVIATO PARIGI — Anche se tardiva, la decisione di Jacques Chirac di ingraziarsi il movimento studentesco, e di ritirare la tanto contestata legge di riforma universitaria, è senza dubbio politicamente avveduta. Le manifestazioni di piazza della scorsa settimana si erano rivelate più possenti del previsto, la resistenza degli studenti troppo irriducibile e al tempo stesso incontrollata perché fosse ancora concepibile una pacificazione degli animi fondata su un razionale esame del progetto di legge. Dunque sulla complessa gestione delle moderne università, sovraffollate e, di fatto, già selettive. D premier neo-gollista si £ fermato sull'orlo del precipizio. Ha addirittura annunciato.una decelerazione di altre riforme liberiste egualmente controverse. Si £ accorto che il rischio di una crisi di regime era reale. Tanto più che Mitterrand minacciava di prendere pubblicamente le distanze dal governo, schierandosi a fianco dei manifestanti e rompendo in tal modo i delicati equilibri della cosiddetta «coabitazione». E' il motivo per cui la ritirata di Chirac ha il sapore inequivocabile di una disfatta. Il primo ministro ha dovuto prendere atto che il potere di decidere e innovare non è nelle sue mani, ma sulle piazze. Si è mostrate impreparato, maldestro, infm< cedevole. Quel che qui ci interessa, tuttavia, non è la disfatta personale di Chirac, né la beatificazione di Mitterrand, che a suo tempo prometteva di «cambiare la vita» e adesso si presenta come garante dello status quo sociale, della coesione nazionale. Assai più interessante è capire come mai, con impressionante regolarità, la classe politi' ca francese è colta alla sprovvi sta da movimenti di massa che esplodono d'improvviso e in maniera inattesa, gravidi di un senso di rivolta cosi diffuso. Come mai queste croniche eruzioni, che nessun sociologo, nessun giornale sa pronosticare con lucidità, e in tempo utile. «La Francia si annoia», lamentava il 1S marzo del 1968 Pierre Viansson-Pontc, sul quotidiano Le Monde. E raccontava come tutti si sentissero «in pace, anestetizzati dal benessere e indifferenti al Vietnam come al Terzo Mondo», ad esclusione di «qualche centinaio» di inquieti certo, ma muti. Appena un mese dopo fu il maggio rivoluzionario, e l'inizio della fine di De Gaulle. Lo stesso destino toccò Mitterrand, nel 1984, quando fu costretto a una subitanea ritirata sull'abolizione delle scuole private. A ritmi costanti, in altre parole, i responsabili politici si mostrano distanti dalla società civile, incapaci di spiegarsela, scrutarla in anticipo, lì perché di questo continuo sfasamento? In parte £ l'incubo ingannevole del Sessantotto: la paura, o la segreta speranza, che ogni tanto un Sessantotto riappaia all'orizzonte, spettro immutato che cambia solo di abito. In realtà non é vero che movimenti di oggi somigliano a una replica del '68. Le società occidentali sono in metamorfosi, basta ascoltare le odierne assemblee: non i progetti rivoluzionari sono all'ordine del giorno, non la lotta per Cambiare Tutto, non il rigetto della democrazia rappresentativa o del capitalismo. Ma valori molto tradizionali, angelicamente democratici: l'indomani senza prospettive di lavoro intimorisce, ma il successo di un giovane imprenditore carrierista come Bernard Tapie desta ammirazione. E' rivendicata l'eguaglianza, ma assai vagamente. Maggioritario, infine, £ il fasti dio della politica classica, e il pacifismo. C£ un orrore dei scql sangue che i sessantottini e succedanei non avevano. Non per questo tuttavia esiste rifiuto della politica Ne vogliono un'altra, né ideologica né cinica. Impregnata di etica. Non a caso la difesa degli emigranti £ una loro parola d'ordine prioritaria, in un certo senso i movimenti parigini sono la versione francese dell'ecologismo tedesco. Questo £ l'errore più madornale degli uomini di Chirac. La spoliticizzazione, e il neo-individualismo, essi lo hanno interpretato come rifiuto dello Stato protettore, come narcisistico — indifferente — ripiego sulla vita privata. Come appetito di liberalismo e americanizzazione. Nei giorni scorsi si sono accorti che tutti i loro calcoli erano sbagliati. Che l'individualismo aveva immalinconito la gente, che il bisogno di convivialità (e di uno Stato morale) era tanto più forte. Un altro motivo dell'odierno sfasamento £ il ruolo giocato dalla televisione, dai minile! dove in migliaia comunicano di notte. Non solo in Francia esiste ormai una divaricazione fra un modo di pensare televisivo, e un modo di pensare politico. Alla televisione, le nuove generazioni francesi — orfane ormai di mediazioni tradizionali come la famiglia, le organizzazioni giovanili, i partiti — si iniziano alla politica attraverso altri canali. E' in televisione e alle radio private che si sono interessate alla fame del Terzo Mondo, che hanno appreso dell'esistenza di organizzazioni come Sos-razzismo, che hanno saputo delle leggi che criminalizzano i drogati o dei decretilegge approvati senza dibattito in Parlamento. Che hanno scelto come idoli Coluche, l'attore che derideva i potenti e organizzava i «ristoranti gratuiti» per i Nuovi Poveri, o come Thierry Le Luron, l'attore che prendeva in giro, imitandoli, i politici. Entrambi gli attori quest'anno sono morti, e il lutto £ diffuso. Ma £ un senso di lutto spesso vuoto, paralizzante: non £ promettente, per una democrazia, quando i giovani sono angelici e i politici diabolizzati in blocco. Barbara Spinelli

Persone citate: Bernard Tapie, Chirac, De Gaulle, Jacques Chirac, Mitterrand

Luoghi citati: Francia, Parigi, Vietnam