Né troppo nuova, né troppo facile: l'arte che interessa sta nel mezzo

Né troppo nuova, né troppo facile: l'arte che interessa sta nel mezzo Né troppo nuova, né troppo facile: l'arte che interessa sta nel mezzo Le lingue di Jakobson ROMA — A uno dei padri della linguistica del '900, Roman Jakobson, l'Università «La sapienza» dedica un convegno dal 26 al 29 novembre.Le relazioni introduttive mercoledì 26 saranno di Tullio De Mauro, Umberto Eco e Nicolas Ruwet. Il dibattito proseguirà esaminando i rapporti di Jakobson can--lo& strutturalismo, le sue:opere? di semiotica e linguistica, i suoi studi di poetica, i suoi più diversi interessi, dalle arti figurative all'antropologia. Sono previsti, tra gli altri, contributi di Cesare Segre, Rudolf Engler, Paolo Fabbri, Janos Petofi, Jacqueline Risset, Paolo Chiarini, Luigi De Nardis, Dora Vailer, Luciana Stegagno Picchio, Michele Coluccì, Stephen Rudy. Di Jakobson le edizioni Theoria hanno di recente pubblicato La scienza del linguaggio.Tendenze principali (pp. 151, L 13.000). Benché sia basato su una. bibliografia che non va oltre il 1972 e riguardi questioni die lo studioso ha spesso trattato anche in altre sedi, il libro è stimolante e di grande interesse. Con la sua lunga vita (1896-1982) e la sua conoscenza di lingue e culture diverse, Jakobson è infatti probabilmente l'unica figura di linguista in grado di dominare gli sviluppi della disciplina nel nostro secolo, di individuarne la sostanziale unità al di là delle superficiali differenze di scuola, di indicarne i punti di contatto con le altre scienze. c< ra> NEL lungo itinerario di Gillo Dorfles, estetologo, critico d'arte e del costume che lega il suo nome a titoli fortemente connotativi e certo imprescindibili in ogni seria ricerca interdisciplinare (cito a caso Nuovi riti, nuovi miti. Il Kitsch, La Body Art), viene ora ad aggiungersi Elogio della, disannonia, saggio polisenso con fitte isobare là dove più lampeggiano i temi di «natura e artificio», «l'oscillazione del gusto», «comunicazione e consumo», •l'intervallo perduto., codificati e decodificati in sede autonoma ma che qui reclamano ulteriori verifiche e aggiustamenti prospettici in virtù del loro mutevole concrescere, o meglio «coalescere», per usare la voce dotta preferita dall'autore. Quando però si pone l'accento sugli apetti disarmonici, asimmetrici, asincronici dei processi artistici, a nessuno salti in testa — precisa Dorfles — «che io auspico un'inversione di situazioni basate su ormai collaudate condizioni di euritmia e di armonia». L'intento è un altro: postulare .una miglior comprensione di molte forme d'arte odierna che sono accettabili solo a chi si ponga nei loro riguardi con un'ottica diversa». Ovvero ampliamento dei panorami estetici grazie all'approfondimento conoscitivo delle strutture che li rendono agibili: sia allorché domina la legge di una supposta, demiurgica centralità (ciò che avviene nelle epoche «classiche»); sia allorché quella centralità perde di senso e si frantuma dopo essersi nobilmente cristallizzata (ah, la misteriosa bellezza delle rovine!), per ricostituirsi altrove, giovandosi dello «scarto interpretativo» che all'opera, quale che essa sia, dona il lettore o lo spettatore; e non ignorando il stri giorni? Aveva detto con sublime semplicità, servendosi di due termini speculari — Novelty e Facility — che per una fruizione ottimale dell'opera d'arte è indispensabile la presenza equilibrata di un determinato quoziènte di «novità» e di «facilità»^ l'una da associare soprattutto all'UittSpettatezz'a informativa del messaggio, la seconda intrinseca al possesso, da parte del lettore o dello spettatore, di un codice sufficiente a garantire l'approccio. Attenzione dunque alle dosi dell'artefatto, avverte Dorfles sottoscrivendo e integrando la geniale proposizione del Teatrise. «Se la novità è eccessiva il testo non potrà essere completo; se la facilità è eccessiva il testo riuscirà noioso e privo di interesse». Avanguardie di dubbia rilevanza e fabbricanti di prodotti destinati al rapido consumo rischiano allora di vanificarsi in egual misura, inducendo più che mai i salutisti della «coscienza intervallare», della pausa incondizionata nel flusso continuo delle percezioni quotidiane, a recuperare un orizzonte mitico modernamente inteso contro le pratiche pseudo-iniziatiche e le demenziali attivazioni dell'immaginario. Asserto, si badi, distillato da uno dei più liberi, oltreché autorevoli, ricognitori della creatività contemporanea, capace in pari tempo di metaforizzare le armonie che Liszt ricavava per caso da un pianoforte «scordato», e di rammentare ai cauti portavoce del progresso che Natura e Pensiero talvolta amano infrangere la regola e, si, sornionamente «faciunt saltus». Giuseppe Cassieri Gillo Dorfles, «Elogio della disarmonia», Garzanti, 188 pagine, 20.000 lire. l'adini: «La Closerie des Lilas», pari. principio di Mukarovsky: ogni testo che abbia un qualche valore letterario deve violare la norma. E poiché uno dei motivi più accattivanti del libro — quello che identificherei nel fascino dell'obliquo — nasce da una duplice esigenza: cogliere il mobile, mobilissimo punto d'incontro tra invenzione e progettazione, tra serialità e unicità, tra Ragione e Sogno, e fornire a un pubblico meno predisposto e insieme desideroso di mettersi in gioco agili strumenti di giudizio, ecco rinverdire per merito di Dorfles il Teatrise of Human Nature di David Hume. Cosa aveva detto di cosi perspicuo il filosofo scozzese due secoli e mezzo orsono per tradursi in filo d'Arianna nella babele esegetica dei no¬ mai plumbea del Re Sole: il secco Giorgio I Hannover ed il suo rivale cattolico, il romantico e born-ioser pretendente al trono inglese Giacomo Stuart; l'ipocondriaco Filippo V con la sua moglie ambiziosa; l'imperatore Carlo VI, ossessionato sì dalla smania minimalistica di strappare la Prammatica Sanzione per assicurare la discendenza alla figlia Maria Teresa, ma ancora desideroso, nel suo massimalismo, di ricostituire l'impero di Carlo V e di mettere le mani sul trono spagnolo. I nodi irrisolti dell'arcaica Europa delle teste coronate mettono in crisi la moderna politica dell'equilibrio, obiettivo perseguito soprattutto dal moderato premier whig Robert Walpole, assecondato dal personaggio che su tutti sovrasta, il reggente francese Filippo d'Orléans: pur insidiato dall'ostilità delle vecchie corti, un clima nuovo si diffonde ed il confronto anglo-francese apre una nuova stagione di politica internazionale ed insieme il secolo dei lumi. Bruno Dongiovanni Paolo Alatri, «L'Europa dopo Luigi XIV», Sellerio, 342 pagine, 25.000 lire.

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