Mission, in difesa degli indios di Alberto Ongaro

Dopo il film, il libro: avventurosa storia dei gesuiti in Paranà Dopo il film, il libro: avventurosa storia dei gesuiti in Paranà Mission, in difesa degli indios CONFESSO ta mìa debolezza per i romanzi che denunciano subito una onesta vocazione avventurosa, che si affidano a robuste strutture narrative, a una vivace caratterizzazione dei personaggi e che si presentano con discrezione ai lettori senza aver l'aria di voler salvare il mondo o di durare eternamente. Presi rispettosamente per quello che sono dai critici più sereni e guardati con sospetto da quelli più accigliati, questi romanzi stabiliscono un rapporto di fiducia con il lettore che sa di trovarvi storie ben costruite, caratteri ben disegnati, insomma qualcosa di buono che non gli fa rimpiangere i soldi spesi per comprarli. Più facili a trovarsi nella narrativa angloamericana che in quella italiana i romanzi di cui si parla sono il corrispettivo editoriale dei film di dignitosa fattura e di ampio consumo che soli possono salvare l'industria cinematografica quando è in crisi. E spesso succede che le loro pagine avventurose, che sembrano scritte per il solo piacere di raccontare una storia, nascondano dietro l'apparente leggerezza piani di scrittura più profondi. E' il caso di La Missione, il lungo racconto di Robert Bolt uscito in questi giorni presso l'editore Longanesi (254 pagine, 18.000 lire). Bolt è uno dei grandi nomi della cinematografia internazionale. Sue sono le sceneggiature di film eccellenti e di grande successo commerciale come Lawrence d'Arabia, La figlia di Ryan, n dottor Zivago, suoi il testo teatrale e il copione cinematografico di Un uomo per tutte le stagioni, suoi il dramma La rivoluzione russa e la commedia per bambini (una delle più rappresentate nei Paesi di lingua inglese) Il barone Polligrew. Bolt ha ricavato La Missione da una vecchia ma mai dimenticata sceneggiatura scritta su suggerimento di un suo amico italiano, il produttore Fernando Ghia, che aveva fatto accurate ricerche storiche e raccolto molto materiale sulle missioni dei Gesuiti nell'America Latina del XVIII secolo, sui difficili rapporti della Compagnia di Gesù con il potere spagnolo e portoghese e su quelli, ancora più difficili, con le autorità ecclesiastiche di Roma. A sceneggiatura fatta Fernando Ghia ha dovuto battersi per degli anni prima di trovare i capitali necessari a trasformarla in film: quel film The Mission che ha vinto il Palmarés all'ultimo Festival di Cannes e che, nei cinema Un testo del regista russo al convegno di scienziati e poeti per i «Premi Pasolini» Jeremy Irous in una scena di dove viene presentato, ha ripristinato lo spettacolo d'altri tempi della folla che si accalca per entrare. Come spesso capita, il successo del film ha spinto Robert Bolt a fare la novelization della sceneggiatura, cioè a farne un romanzo, il suo primo romanzo, dopo tanto teatro e tanto cinema. Che cosa racconta La Missione? Sono gli anni del trattato di Madrid. Spagna e Portogallo stanno ritoccando le frontiere delle rispettive colonie sudamericane. I territori del Paranà attorno alle cascate dcll'Iguacù, finora proprietà della Spagna, stanno per essere assorbite dalle colonie portoghesi. La Spagna, pur continuando a tollerarne la pratica, ha dichiarato illegale il mercato di schiavi, il Portogallo invece lo considera lecito e altamente meritorio. Un futuro di schiavi attende i trecentomila indios Guarani che vivono nelle regioni destinate a diventare portoghesi. I missionari gesuiti cercano di impedire l'applicazione del trattato con i mezzi di cui dispongono: l'intelligenza, la diplomazia, la parola di Cristo. Ma la Compagnia di Gesù non ha più il ruolo di una volta, ha perso il favore del Vaticano che guarda con sospetto quella specie di setta die per troppo tempo Ila goduto di un potere autonomo all'interno della Chiesa. Questo lo sfondo storico. E su questo sfondo storico si svolgono, si incrociano, si respingono, si attraggono due vicende personali. Quella di padre Gabriel, il santo, il gesuita che ha sposato fino in fondo la causa degli indios e die si batte anche contro la sua propria Chiesa e quella di Rodrigo Mendoza un ex mercante di schiavi che ha cambiato bandiera dopo aver ucciso il proprio fratello in un momento di feroce gelosia. Attorno si muovono folle di soldati, indios, mercenari, preti, puttane, nobili analfabeti e arroganti; si muovono attraverso le pagine del libro portati da una scrittura che ha incorporato il Sud America: il fruscio dei fiumi, il rombo delle cascate, la immensa nube di acqua polverizzata perennemente sospesa sopra l'Iguacù, il sibilo delle frecce, i canti guarani, il suono delle campane delle cattedrali costruite nella selva. Si intravede sotto la tessitura della pagina la intelaiatura cinematografica. Ne viene in mente la terminologia. Esterno giorno - La barca dei mercanti di schiavi risale il fiume. Interno notte ■ La caserma del mercenari. - Primo piano di un ragazzo indio che spia fra gli alberi. La tecnica del grande sceneggiatore qui serve a vioualizzare anche le emozioni, gli affanni, i rimorsi. Il rimorso di Rodrigo Mendoza. ad esempio. Bolt lo racconta in questo modo: Mendoza si stupisce di non provare rimorso per l'uccisione del fratello. Eppure lo vuole, non sopporta l'idea di non averlo, desidera sentirne il peso ma, poiché i suoi sentimenti di pietra non lo avvertono, cerca di raggiungerlo in altro modo: si sistema sulle spalle un pesantissimo carico di armi e lo trasporta attraverso la foresta i fiumi e le montagne per metterlo più tardi a disposizione degli indios di cui assieme a Padre Gabriel, diventa l'ultimo disperato difensore bianco. Il santo e l'assassino redente moriranno assieme nel tentativo di fermare ciò che è stato deciso sulla pelle degli indios nelle corti europee a molte miglia di distanza. Un romanzo d'avventura dunque ambientato in un lontano passato ma condotto in modo che vi si rifletta specularmente qualcosa del mondo moderno. Può capitare che qualche prete dell'America Latina di oggi si riconosca nei personaggi della Missione. E qualcuno forse potrebbe riconoscersi anche in Vaticano. Alberto Ongaro «Mission»