Walt Disney non amava disegnare ma sapeva divertire

Walt Disney non amava Walt Disney non amava disegnare gma sapeva divertire m<mte fu un grande organizzatore di consenso, uno straordinario suscitatore di energie, una figura centrale della cultura di massa americana. Come egli stesso disse una volta a Oriana Fallaci, che lo intervistava: «Disegnare non mi piaceva molto, e poi non ero neanche tanto bravo. Quelli ai quali ho insegnato il mio stile disegnano assai meglio di me. Non mi interessava la matita in mano, essa fu solo il mezzo per Incominciare ogni cosa: a me interessava cercare il bambino che è dentro ciascuno di noi». Questa «poetica del fanciullino- di pascoliana memoria, in realtà, si uni ben presto — grazie anche alla presenza determinante del fratello Roy Disney che curò sempre gli affari della ditta — a un senso acuto e preciso dello spettacolo come veicolo di idee e di sentimenti, e come fonte di guadagni. Prima il cinema, con la lunga serie dei cortometraggi di Topolino e soci e con le Sllly Symphonies e i lungumetraggi, poi i fumetti, diffusi in tutto il mondo, infine Disneyland e da ultimo Disneyworld, costituirono le tappe di quel cammino verso il successo e la conquista dei mercati mondiali, che fecero di Walt Disney e della sua multiforme produzione (anche oggetti e giocattoli d'ogni genere) uno dei cardini dell'industria del divertimento infantile e familiare. Di questo percorso, prima avventuroso poi vittorioso, Franco Fossati, che in questi ultimi anni è stato il responsabile, presso la Mondadori, delle sceneggiature disneyane realizzate in Italia, traccia una cronaca puntuale e ricca di dati e informazioni. C'è nel suo libro Walt Disney e l'impero disneyane- tutto quello che un lettore medio vuol sapere su Disney e la sua vastissima produzione, con un puntuale capitolo sui fumetti. E in tal senso esso integra la biografia disneyana scritta da Bob Thomas nel 1976 e uscita in Italia nel 1980. Purtroppo, il discorso di Fossati è tutto interno al cosiddetto «impero disneyano-. Sembra scritto, come in parte lo è, da un «dipendente della ditta-, con tutti gli inconvenienti del caso. L'autore dice di aver voluto «scrivere un libro che non fosse gratuitamente critico né gratuitamente celebrativo». E' vero, questa sua utile fatica non è assolutamente «gratuita-, ma certamente è molto più celebrativa che critica. Manca ogni prospettiva esterna: Tuttavia, se lo si considera come una guida, un vademecum, questo libro appare indispensabile, per la messe di dati e informazioni (anche di curiosità) che offre al lettore. Gianni Bondolino Franco Fossati, «Walt Disney e l'impero disneyano», Editori Riuniti, 141 pagine, 12.000 lire. VENT'ANNI fa, il 15 dicembre 1966 a Hollywood, Walt Disney moriva di cancro al polmone. Aveva solo 65 anni, compiuti da pochi giorni. Aveva alle spalle non soltanto un «impero-, ma anche un nome che era stato identificato per almeno un trentennio con il disegno animato tout court, cioè con un tipo di cinema che egli era riuscito a portare a un alto livello spettacolare e a una risonanza mondiale. Fin dai primi Anni Trenta, dire un «topolino- (dal nome di Mickey Mouse, il suo personaggio più noto) significava indicare un disegno animato; e dire Disney significava sottolineare il carattere umoristico, fiabesco, «poetico-, della migliore produzione hollyiooodiana d'animazione. Ir. altre parole, Walt Disney, oscurando a poco a poco la fama e l'originalità dei molti grandi artisti dell'animazione che l'avevano preceduto, era riuscito nel volgere di pochi anni a imporre la sua produzione in America e in tutto il mondo, dando ai suoi piccoli animali antropomorfi (oltre a Topolino, Minnie, Pippo, Pluto e soprattutto Paperino) una dimensione addirittura universale. Tanto da essere definito il nuovo Esopo dello schermo. Certamente non era. stato un grande disegnatore, probabilmente non fu un grande artista, forse soltanto un abile e sensibile entertainer che aveva saputo cogliere con acume lo «spirito dei tempi-, l'anima popolare, i sentimenti semplici e fondamentali dell'uomo; ma indubbia- Walt Disney SONO 18 storie esemplari di come si diventa scienziati o tecnologi di fama mondiate. Paola De Paoli e Giancarlo Musini le raccontano, sempre con agilità giornalistica e precisione storica, in «Le piste della ricerca». Diciotto biografie che rappresentano, come dice il sottotitolo, un po' tutti «1 casi e le opportunità». Ci sono scienziati puri, completamente dediti alla ricerca di base, come Rita Levi Montalclni, la biologa che ha individuato il fattore di crescita delle cellule celebrali, o Emilio Segrè, scopritore del tecnezio e dell'antl- protone. Ma ci sono anche ricercatori che lavorano con l'occhio puntato alle applicazioni, come quel Federico Faggin che ha ideato i microprocessori, cuore di ogni comrpiter, o come Ernesto Vatlerani, «padre- del labe-, ratorlo spostale europeo che fia volato due volte sullo Shuttle. Del resto la distinzione tra ricerca pura e ricerca applicata non sempre è cosi netta. Al punto òhe una larga

Luoghi citati: America, Hollywood, Italia