Confermate le condanne per il sequestro dei Baù di Maurizio Alfisi

I magistrati e l'informazione I magistrati e l'informazione Se un bambino viene «conteso» Biella. Tornati in carcere i fratelli Terlizzi Confermate le condanne per 81 sequestro dei Bau Dal dottor Paolo Dusi, presidente nazionale del1 Associazione italiana dei giudici per i minorenni, riceviamo e volentieri pubblicamo. Avviene sempre più di frequente (a Roma, a Napoli, a Palermo, a Catania, ma anche in altre regioni) che i Tribunali per i minorenni intervengono per allontanare da una coppia di coniugi un bambino, che essi vorrebbero tenere come figlio, pur non essendo nato dal loro rapporto. Non si tratta di bambini maltrattati o trascurati; ciò su cui il Tribunale interviene è il modo con cui questi minori sono stati introdotti nella nuova famiglia. Quando stampa e televisione si occupano di questi allontanamenti disposti dal giudice, ne escono inevitabilmente servizi molto drammatici e coinvolgenti, come avviene in ogni caso in cui è la sofferenza a fare notizia e a creare spettacolo: chi può restare insensibile davanti alla foto del piccolo «scomparso» e della sua stanza rimasta vuota, chi può rimanere indifferente di fronte ai pianto dei coniugi e alle attestazioni di commozione e di solidarietà dei vicini? I limiti di questo tipo di informazione stanno, a mio avviso, nel considerare soltanto il momento del distac co forzato, senza tenere pre sente la storia che sta dietro a questo momento drammatico ; nel denunciare il dolore procurato dal provvedimento del giudice, senza considerare i motivi che lo hanno provocato. Mi sembra allora utile ricordare che è la legge (quella del 1967, che ha introdotto l'istituto dell'adozione, e quella del 1983, che lo ha precisato e rafforzato) ad affidare al giudice minorile il controllo pubblico e rigoroso sulle modalità, con cui un minore viene introdotto in un ambiente diverso da quello di origine, e sulle caratteristiche, che deve avere la coppia che intende adottare un minore; solo attraverso questo controllo il legislatore ha ritenuto di poter soddisfare correttamente il diritto fondamentale ricono sciuto ad ogni bambino, quello di crescere ed essere educato in una famiglia idonea ad occuparsi di lui sotto ogni profilo, affettivo, morale e materiale. Ed è anche necessario prendere atto del fatto che si sta sempre più diffondendo — eludendo ogni forma di controllo — un vero e proprio «mercato dei bambini» che sfrutta la domanda di paternità e maternità radicata nelle coppie sterili (an che — anzi soprattutto — se escluse dalla possibilità di adottare in conformità alla legge) e la soddisfa con l'offerta di bambini nati da altri genitori (il più delle volte ragazze madri), che non sono in grado di tenere pres so di sé le loro creature. Gestito da vere e proprie organizzazioni di mediatori senza c -upoli, questo mercato utilizza non solo e non tanto lo strumento .rudi mentale» della compraven dita, che può essere facilmente scoperta; ma ricorre sempre più spesso a raffinati e complicati artifici, che creano una situazione apparentemente conforme quella legge che viene so stanzialmente e radicalmente elusa: ad esempio, il partner maschile della coppia sterile riconosce falsamente nome nato da lui il bambino dhdencpmssgcsst di una ragazza-madre, che ha dichiarato, al momento della nascita, di «non voler essere nominata»; il bambino viene quindi accolto nella casa coniugale della coppia, per essere poi adottato dalla moglie; se l'artifizio non sarà scoperto, il piccolo risulterà, a tutti gli effetti, figlio di questi coniugi. Gli interventi giudiziari, che tanto scalpore hanno suscitato, hanno interrotto situazioni che gravi elementi dimostravano o facevano fondatamente sospettare contrari alla legge ed erano rivolti ad affidare il bambino — dopo una breve parentesi di permanenza in istituto, per organizzare la prospettiva futura — ad una coppia di coniugi già valutati positivamente, per realizzare in modo pieno, sotto il profilo giuridico e nei suoi presupposti educativi, l'adozione. Nessuno pretende che tali interventi siano sottratti ad una valutazione critica, ove i loro presupposti risultassero carenti o le loro modalità scoirette. Ma perché descriverli e valutarli solo nella dimensione del distacco finale, ascoltando unicamente gli adulti che da essi sono stati colpiti? Proprio essi sono i primi responsabili del trauma che il bambino patisce a causa dell'allontanamento, trauma del quale consapevolmente ed egoisticamente essi hanno accettato fin dall'inizio il rischio e che ora addebitano al provvedimeli to del giudice. E, se si parla dei motivi che stanno dietro a questi interventi, perché ricorrere soprattutto a infondate illazioni che alludono a interessi economici dei giudici «quali componenti dei consigli d'amministrazione di istituti e orfanotrofi pubblici e privati», o all'intenzione di favorire altre famiglie «molto agiate e protette», o all'in tendimento di tenere per sempre il bambino in istituto? Perché ridurre tutto alla insensibilità e al «freddo zelo burocratico» dei giudici minorili? Perché, soprattut to, dare spazio a sospetti su arbitrii e «patenti violazioni di légge»? La questione è molto più seria e molto più complessa: è il caso di sottrarre al controllo del giudice, e lasciare allo spirito di iniziativa e alle disponibilità economiche dei privati, l'inserimento definitivo di un minore in una famiglia diversa da quella d'origine? Se si afferma il prin cipio del controllo pubblico esso può tollerare deroghe, quali effetti esse avranno sull'espandersi del mercato dei bambini? Di fronte alle «esigenze di mercato», può essere accettata la prospettiva di una più estesa strumentalizzazione della madre biologica, come produttrice di figli destinati ad altri? Il fatto che il bambino abbia vissuto per un certo tempo presso i coniugi (certamente anche ricevendo e donando, comunque, affetto) può trasformare la situazione, da contraria, a conforme alla legge e al suo spirito informatore? Se si riterrà di ribaltare i principi che sino ad ora hanno retto questa materia la iegge sull'adozione — come ogni altra' — potrà essere abrogata o modificata. Ma fino a che ciò non avvenga, i Tribunali per i minorenni non possono esimersi dai compiti di controllo e di garanzia, che essa impone. BIELLA — Sono tornati in carcere due degli autori del sequesto Bau. Sono i fratelli Giuseppe e Vincenzo Terlizzi di 42 e 36 anni. Per loro è arrivato un ordine di carcerazione della procura generale della Repubblica di Torino: devono scontare ancora 4 anni e messo di reclusione per il sequestro di Filippo e Simona Bau, i figli di uno dei più noti commercialisti di Biella. La vicenda risale all'82 quando poco prima di Natale i due ragazzi furono rapiti dalla loro villa sulla collina. I due ragazzi furono portati via e vennero tenuti prigionieri in un appartamento in riva al lago di Viverone. Le indagini di polizia e carabinieri coordinate dal sostituto procuratore della Repubblica Clelia Allegretti (recentemente scomparsa nella sciagura aerea in cui è morto il mobiliere Giorgio Aìazzone) portarono ben presto a circoscrivere la ricerche dei responsabili. E fu la polizia con a capo il vicequestore Vincenzo Natale a capitare sulla pista buona. Vennero individuati i fratelli Terlizzi, Giacomo e Paolo Giove (padre e figlio) di 58 e 28 anni, Antonio Mirabelli, 41 anni, e Giacomo Proietti, 40 anni. Grazie alla presione delle indagini la banda si sfasciò e i fratelli Terlizzi il 4 gennaio dell'83 liberarono gli ostaggi. Due giorni più tardi tutti i componenti della banda vennero arrestati. Al processo di primo grado i giudici tennero conto del comportamento dei Terlìszi che, avendo liberato gli ostaggi e collaborato con lo. giustìzia, furono condannati solo a 6 anni di carcere. Pene ben maggiori furono inflitte ai Giove, 26 anni ridotti poi in appello a 19 anni (Giacomo Giove) e 18 anni (Paolo Giove). Diciotto anni di reclusione furono confermati anche in appello per il Mirabelli ritenuto una delle menti del sequestro. Il Proietti in secondo grado venne condannato a 16 anni e 8 mesi. I fratelli Terlizzi nel luglio dell'84 avevano ottenuto la libertà provvisoria per scadenza dei termini di carcerazione preventiva. Ora in questi giorni la corte di Cassazione ha confermato le sentenze del processo d'appello tenutosi a Torino nel novembre dell'84. Giuseppe Terlizzi è stato sorpreso dall'ordine di carcerazione a Spinetta Marengo in provincia di Alessandria dove lavorava. La polizia invece ha arrestato a Biella Vincenzo Terlizzi. Era in un locale pubblico gestito dalla moglie. Tutti gli altri componenti della banda hanno invece appreso le pene definitive in carcere. Maurizio Alfisi

Luoghi citati: Alessandria, Biella, Catania, Napoli, Palermo, Roma, Torino