In Afghanistan la guerra continua

Rapporto Onu per i diritti umani Rapporto Onu per i diritti umani In Afghanistan la guerre continua Falsa la propaganda pacifista di Mosca - In 9 mesi 100 villaggi bombardati, 10-12 mila civili uccisi - Dal 1978 un milione di morti Lo scorso martedì l'incaricato per l'Afghanistan della o i a e e o o i , à n e n Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani Felix Ermacora ha consegnato il suo rapporto sulla situazione nel Paese centro-asiatico: verrà esaminato nelle prossime settimane all'Assemblea generale dell'Onu. Sono state anticipate alcune conclusioni cui Ermacora è giunto: le truppe di Kabul e quelle sovietiche continuano a commettere «diffuse atrocità», come il bombardamento dei villaggi, l'uccisione dei loro abitanti «per sventramento e a calci» o «con l'uso di esplosivi a forma di giocattoli»; anche la tortura è praticata nelle prigioni afghane, «incluso lo strappo delle unghie, le percosse sistematiche e le condizioni di detenzione umilianti». Ermacora fornisce, inoltre, alcune cifre: «Negli ultimi nove mesi dell'anno cento villaggi sono stati bombardati, dai 10 ai 12 mila civili sarebbero stati uccisi». Tali dati coincidono largamente con quelli resi noti alla fine del mese scorso a Cope naghen, nel corso di un colloquio internazionale organizza to dall'Associazione per l'Amicizia danese-afghana e dal Comitato Internazionale Sacharov: si è parlato di circa un milione di morti tra la popolazione afghana nel periodo che va dal '78 (anno del putsch comunista contro «neutralista» Daud) alla metà di quest'anno; sono state denunciate, oltre ai bombardamenti e alle distruzioni dei villaggi, le sistematiche distruzioni dei raccolti e dei depositi delle derrate alimentari. La crisi: afghana costituisce, per la leadership sovietica, un motivo di forte preoccupazione, sia per le perdite di uomini e mezzi che l'Armata Rossa (con i suoi circa 115-120 mila effettivi) subisce, sia per i suoi riflessi internazionali. Nell'ultimo mese le truppe sovietiche hanno avuto pesanti perdite, specie presso il famigerato tunnel di Salang sull'arteria che congiunge Kabul a Termez, alla frontiera sovieto-afghana (circa 40 morti tra i soldati di uno dei reggimenti che hanno lasciato in ottobre l'Afghanistan per tornare in patria; sette autocisterne cariche di carburante distrutte assieme ad alcuni veicoli di scorta); inoltre, tre elicotteri da combattimento sovietici sarebbero stati abbattuti in ottobre; infine, il pilota afghano di un Mig-21, di base a Bargham, è fuggito alla fine dello scorso mese con il suo aereo in una base acrea pakistana (Kochot, a 170 km da l'slamabad). I moujalùddin cominciano a far sentire sui governativi e sui sovietici il peso dei nuovi (ma pochi) missili americani Stinger, che ora possono acquistare presso paesi terzi grazie ai 280 milioni di dollari ricevuti quest'anno dagli Usa, principali sostenitori della guerriglia islamica assieme all'Iran e a Paesi arabi «moderati» (quelli «radicali», come ad esempio Siria e Libia, sostengono i sovietici). '(5dtrsclortnuiutvsqgccscl e l a i e n i i i n a e e o a a e vi ni czi ri a, a lee oSul piano internazionale 'Urss ha subito il voto deiAssemblea generale dell'Onu (5 novembre scorso) che chic-' de a grande maggioranza (per: ennesima volta) il ritiro delle truppe straniere dall'Afghanistan, inoltre, un'editoriale del cinese «Quotidiano del Popolo» (2 novembre) ha bollato il ritiro dei sei reggimenti sovietici da Kabul come «una manovra destinata a mascherare un rafforzamento militare c a ingannare l'opinione pubblica ntcrn azionale». Il presidente pakistano Zia ul-Haq, in un recentissimo intervento, ha denunciato l'invio di più di diecimila soldati sovietici in sostituzione di quelli dei sei reggimenti partiin ottobre per l'Urss, con grande battage propagandistico. La situazione afghana, perciò, pare ben lontana dalla soluzione politica che Gorbaciov ha più volte detto di voler raggiungere. La guerra continua con l'abituale violenza: bombardamenti dei villaggi attorno alle basi sovietiche, a Kabul e alle principali città e arterie stradali, ai confinì con il Pakistan, si sarebbero intensificati negli ultimi mesi, al pari della risposta dei guerriglieri.- Al tempo stesso si sono moltiplicate, da parte governativa sovietica, le violazioni dello spazio aereo pakistano, con bombardamenti nella zona di Pcshawar, in cui si concentra il maggior numero dei profughi; inoltre, ai primi di novembre, il governo di Islamabad, accusato dai russi di essere il principale sostegno dei «banditi afghani» (dusfor.uny)', ha dovuto fronteggiare T viS-s lenti scontri etnici scoppiati a Karachi e a Hyderabad, con decine e decine di morti. Non sarebbe estranea a tali conflitti l'opera sovvertitrice di agenti di Kabul. In questo quadro ci sembra che le ultime voci, circa la volontà di Gorbaciov di giungere alla conclamata «soluzione politica», magari instaurando un governo di intesa-nazionale con alla testa l'ex re Zahir Shah (in esilio a Roma dal '73, quando venne spodestato dal putsch militare del neutralista Daud), facciano parte di una campagna di «disinformazione», tesa a creare confusione sia nelle fila, tutt'altro che unite, della Resistenza afghana, sia nell'opinione pubblica internazionale. Riportando queste voci, da lui raccolte a Kabul, il corrispondente da Mosca di «Le Monde» Dominique Dhombres cosi commentava ( 15 novembre): «Gorbaciov sembra cercare una soluzione politica. Tutto è buono per giungervi, anche il ritorno dell'ex re... Ma l'esercito sovietico ha costruito solide caserme nel Nord del Paese e si ritirerà soltanto, se l'esercito regolare afghano sarà capace di sostituirlo. Della qual cosa non si può minimamente parlare oggi e probabilmente neppure in un prossimo avvenire». I fatti, del resto, parlano da sé. Piero Sinatti

Persone citate: Cope, Daud, Felix Ermacora, Gorbaciov, Piero Sinatti, Zahir Shah