Narrate, giornalisti, la vostra Storia

Narrate, giornalisti, la vostra Storia Narrate, giornalisti, la vostra Storia In* ati, cronisti, ex direttori scrivono autobiografie o memoriali polemici sul loro mestiere e sui colleglli: che cosa ne pensa le gente? Quella foto digruppo con scandalo Montanelli: «Siamo una categoria che manca di carattere in un paese di pecore Sfogli «Le memorie sul nostra mestiere? Per fortuna poi il pubblico fa giustìzia» Afeltra: «e Siamo testimoni, non siamo protagonisti» I giornalisti sono II gruppo professionale che, più di altri, ha scrìtto e pubblicato libri di memoria o autobiografie. Come su la professione lasciasse In molti dei residui: una" voglia di scrìvere in prima persona su eventi e persone del quali si è dovuto parlare rispettando canoni e regole dettati da attualità e obiettività. Scrìvere memorie o autobiografie 6 anche un modo per fare rivelazioni, per mettere In luce retroscena che erano rimasti oscuri nella scrittura giornalistica, al primo Impatto con eventi e personaggi. Nelle migliori opere del genere — si pensi a •Celebrazione di un trentennio» di Enzo Forcella o a quel libro magico che è «La vita ingenua» di Vittorio Gorréslo — il giornalista che scrìve riesce a illuminare Il lettore su una questione molto importante: gli elementi costitutivi del proprio punto di vista, del proprio modo di guardare al fatti di cui è stato testimone, cronista o commentatore. In questi casi si tratta di libri preziosi; non solo per la loro «autenticità», ma anche perché consentono di capire, meglio di uno studio o di una ricerca, alcuni meccanismi essenziali e delicati che regolano II difficile e bistrattato mestiere del giornalista. La difficolta del mestiere è provata proprio dalle tante critiche che esso si ò sempre attirato, fin dalle sue origini. E' difllcile soprattutto per un motivo sul quale non sempre si sofferma 1'attonzlo ne: Il giornalista deve riferire rapidamente au fatti e persona al ri guardo del quali, nel momento in cui opera, conosce molto meno di quello che molti conosceranno, grazie anche al lavoro suo e di al tri come lui, nel futuro, talvolta II giorno dopo. Anche II giornalista più bravo e più specializzato può trovarsi In difficoltà di fronte a un evento imprevisto. Non c'è regola o routine, non c'è furbizia o consumato cinismo, che possano mettere al riparo Il giornalista o II giornale In assoluto e per sempre; possono capitare momenti e situazioni che costringono a lavorare senza reti di protezione. Sono I momenti che possono fare grande un giornalista o distruggerlo è umiliarlo. Tutta la scienza del giornalismo e dominata da tale problema: come «routlnlzzare» l'Imprevisto? Come rendere prevedibile l'Imprevedibile? Proprio per questo motivo altri libri di memorie giornalistiche scelgono una strada diversa: quella di razionalizzare, col sennc del poi, le scelte fatte e lo cantere costruite. La scrittura è olimpica e distaccata, quasi si trattasse di opere storiche che riguardano terze persone. E' il genere più diffuso. II giornalista si trasforma nello storico di se stesso, del proprio gruppo o della propria testata, selezionando nella memoria e nel documenti I fatti e le testimonianze che meglio possono contribuire a illuminare di luce folgorante e benevola le proprie scelto professionali. ; Gli esiti possono essere I. più diversi; il sapore di autenticità può miscelarsi con la mistificazione più raffinate. Molti libri recenti rientrano In questo greppo: da quello di Eugenio Scalfari («La sera andavamo In via Veneto») al molti di Enzo Blagl e di Piero Ottone o a quelli di Gaetano Afeltra e di Franco DI Bella dedicati al «Corriere della sera». Da tutti questi citati si distacca l'ultimo libro di Giampaolo Pansa («Carte false. Peccati e peccatori dei giornalismo italiano»). Avrebbe potuto essere un libro di memorie; In parto lo è e come tale è stato criticato dai molti recensori. Il genere letterario al quale più assomiglia è quello del pamphlet anche se la torma che l'autore gli ha dato è quella della «cronaca maliziosa», per Individuare uno stile e un genera tipico di questo giornalista che è, a suo modo, un grande del mestiere, oggi In Italia. Eppure questo libro, che ha sapore di verità, ha deluso I suol critici e suona come un passo falso. Forse, avrebbe avuto più forza di convinzione se si fosse presentato nelle vésti dimesse di un'autocritica, so avesse avuto la capacità di spiegare I motivi che hanno portato Pansa e tanti giornalisti come fui a sbagliare ottica, a non capirà dò di cui erano tosti moni e cronisti. Proprio per questi motivi, tuttavia, Il libro di Pansa è prezioso per I lettori che vogliono capire I vizi • le virtù del giornalismo. E' un libro sbagliato, che è stato accusato di essere furbo • malizioso. Fona è, più semplicemente, uh libre Ingenuo, dettato da un furore che non ha avuto la pazienza di percorrere la via più Intriganti, più colto o più complessa, dagli altri libri di memorialistica giornalistica che altri celebri giornalisti ci hanno asputo dare. Forse è un libro rozzo, quasi osceno par la quantità di particolari scabrosi che è in grado di descrivere, assai sommariamente. il fatto è che II mestiere di giornalista attende ancora II suo storico veritiero, In grado di restituire al tortore (a complessità psicologica, culturale e socio-politica, di un lavora affascinante che è capace di toccare tutti gli estremi dalla corruzione più sordida all'I' gnoranza più inconsapevole, dalla tensione etica più sostenuta alla capacità Indagatrice più Infransi gante e veritiera. Giovanni Bechellonl MILANO — Come racconterebbe lo storico Indro Montanelli questo giornalismo da seconda meta degli anni Ottanta, dove il tratto dominante sembra essere il pentimento, il «mea cnlpa», la voglia di penitenza? • «Mi trovo molto imbarazzato a rispondere, perché siccome, onestamente, io non posso pentirmi di nulla, — dice Montanelli —„ può sembrare che io voglia approfittare di questa situazione per ammannire giudizi, condanne o assoluzioni agli altri. Io questo lo lascio fare a coloro che hanno da pentirsi di molte cose. 'In termini generali direi ette uno dei grossi difetti di questo giornalismo italiano è il conformismo: una cèrta fragilità morale, di carattere, per cui nessuno osa mettersi contro il vento c/te soffia. Ma questa mancanza di carattere è un dato nazionale, non appartiene solo ai giornalisti-. Leo Longanesi, amico di Montanelli, diceva: «In Italia tutti sono estremisti per prudenza». Anche i giornalisti? ^Soprattutto i giornalisti, perché in questo caso il fatto è più. esibito, vistoso. La nostra categoria manca di carattere, per cui quando comincia a soffiare il vento, tutti si buttano sul vento. Io mi ricordo che cosa fu il processo Montesì, quello scandalo infame, montato sul nulla, che distrusse delle persone: a un certo punto dovetti zittirmi, perché siccome intuivo che non c'era nulla sotto, e lo scrivevo, mi dissero che ero al servizio della democrazia cristiana. Guai a ehi si mette controvento. Questo è . un Paese di pecore, che devono stare sempre insieme, quindi devono Jbelqr$ insieme, sbagliare insieme e pentitisi insterne. La pecora che per conto suo rum vuole sbagliare e non vuole'pentirsi è perduta, perché anche il pentimento diventa monopolio del gregge. Bisogna pentirsi insieme sennò E' più difficile per un giornalista imparare a fare lo storico o per uno storico fare il giornalista? -Credo che un buon giornalista sia. in potenza, un eccellente storico. In potenza, perché poi naturalmente bisogna studiare, questo è evidente. Si, ritengo che un buon giornalista abbia tutte le carte in regola per poter fare lo storico». Eppure ci sono stati anni in cui lo storico Montanelli è stato messo all'indice dal professori di scuola... 'Anche oggU. Ancora? 'Questa & la malattia accademica. Intanto, siamo un Paese corporativo: un giornalista die entra nella corporazione della storia è una cosa scandalosa, perché ognuno deve restare nella propria corporazione e ogni corporazione difende se stessa dagli intrusi. E poi io lì dentro avevo un effetto dirompente, perché portavo un linguaggio che non è quello accademico e aveva successo presso gli studenti. Ho conosciuto moltissimi studenti che sono passati brillantemente agli, esami perché avevano studiato la storia sui miei testi ma 7ion l'avevano detto ai professori. E ne conosco altri che avendo studiato sui miei libri e avendo avuto la dabbenaggine di dirlo ai professori sono stati bocciati». A quale storico non vorrebbe assolutamente assomigliare? «In generale — è adesso mi tiro addosso altri guai — alla maggioranza degli storici ita- liani: scrivono per se stessi, per la cattedra universitaria, si scrivono fra loro, sono addirittura incomunicabili. Confesso che la mia storia, che è la Storia d'Italia, io l'ho fatta quasi tutta su testi stranieri». C'è uno storico che lei ha avuto come modello? «Ne ho avuti vari. I miei modelli,sono gli storici inglesi, Carr, per esempio. I maestri di pensiero, invece sono tedeschi: Weber, Sombart e anche Meinecke. Come tecnica di esposizione, trovo che gli inglesi sono straordinari; come fondamento ideologico e di pensiero, il modello rimangono i "grandi" tedeschi». Che tipo di giornalismo piace agli italiani? «A saperlo si potrebbe fare un grandissimo giornale-Temo che agli italiani piaccia soprattutto un giornalismo sensazionale e drogato. Ne abbiamo le prove, no? L'italiano è talmente refrattario alla lettura che per invogliarlo bisogna cospargergliela di zuccherini, di peperoncino, e di altre cose, che sono poi un modo di falsare le notizie, di gonfiarle smisuratamente. Lo scandalismo piace. Forse solo un giornalismo che indulga a questi vizi ha davanti a sé, purtroppo e ahimè, una grande possibilità di diffusione». Mauro Anselmo Talvolta la maniera che uno ha di mentire può avere più valore del fatto che un altro dica la verità. Ma quando tratta di Storia è abbastanza dotato per dare quel più d'aria al respiro dei fatti che succedono all'umanità? E' vero, ormai un po' tutti si cimentano nell'arduo compito di divulgare tutti i peccati che le genti hanno commesso ogni giorno. Addirittura qualcuno si considera un essere celeste e prova a tagliare l'etere col coltello della parola. A noi lettori mortali non resta che subire il fascino di questi racconti che tramano in modo da far capire che il nostro pianeta deve essere una tale inezia che un odio ben strutturato può ben abbracciarlo tutto. Ecco allora parti letterari di ogni tipo che declassano la Storia con l'«esse» maiuscola all'altra meno nobile ma non meno intrigante dall'«esse» minuscola. Abbiamo scambiato qualche parola con Enzo Biagi che sempre offre risposte precise che possiedono il merito della sintesi. Nessuno come lui è riuscito a compiere il miracolo del viaggio di ritorno nel paese dell'infanzia con i suoi amici di sempre piuttosto che con qualche nome dal suono roboante. «Non ho mai scritto di Storia ma ho fatto della cronaca: cose che ho visto, personaggi che ho visto, vittoriosi e sconfitti». Non le sembra che adesso siano in troppi a raccontare la loro «Storia»? E Montanelli? «Montanelli ha il pregio d'esser stato il primo ad aver introdotto il genere da noi». Anche lei ha scritto di Storia però... «Storia a fumetti per bambini, per renderla comprensibile, spero d'esserci riuscito». Ci sono tanti giornalisti che scrivono la loro storia. Non le sembra che ci sia un'inflazione? «Per fortuna c'è anche il pubblico die fa poi giustizia. Sa, escono sedicimila titoli ogni anno...». Gianpaolo Pansa ha fatto «Carte false»... 'Non l'ho letto». Lei che cosa legge? «Libri di memorie, pochi libri di narrativa e certi russi, certi americani... ma lavoro molto. Vede, è sabato e sono in ufficio già di mattino presto». Che cosa sta preparando per renderci più accettabile la nostra storia quotidiana? 'Una trasmissione tv che andrà in onda nella prima settimana del 1987 che ha per titolo "Il caso"». C'è anche chi ha narrato storie di giornali e dei suoi direttori. Ad esempio è stato scritto di un celebre direttore della «Stampa», Giulio De Benedetti; lei che ha avuto a che fare con lui che cosa ne pensa? «Ne ho un grande ricordo. Venivo apposta a Torino per vederlo fino a tre giorni prima che morisse e non era più direttore. Certo che averci a che fare non era una festa. Io mi sono anche licenziato dall'America per via di un pezzo sul quale non avevamo la stessa opinione e in quell'occasione ho anche pianto. Ma di De Benedetti ne ho un devoto ricordo. Quell'articolo l'ho messo in un mio libro». E com'era? « Un buon pezzo. Ma vorrei che di direttori come De Benedetti ce ne fossero ancora... Il direttore ha in mente un giornale e noi ciò che scriviamo». Ascoltare Enzo Biagi è un po' come rimettere le cose a posto sullo scaffale disordinato della nostra piccola storia, per rendere più accettabile la vita di tutti i giorni, perché, come dicono adesso, il nostro quotidiano a volte è davvero invivibile. Nevio Boni MILANO — «Il tema giornale e giornalisti in questo momento è di grande attrazione per il pubblico e qualsiasi cosa abbia attinenza a tale tema, suscita interesse», dice Gaetano Afeltra, giornalista, scrittore, al Corriere della Sera nei tre momenti storicamente più drammatici per il Paese: il 25 luglio 1943 alla caduta del fascismo; l'S settembre, con l'armistizio e lo sbando militare; il 25 aprile 1945, con la liberazione. Afèltra. che ha scritto il volume Corriere, primo amore Storia e mito di un grande giornale, interpretò la testata in cui operava come punto d'osservazione degli eventi, tratteggiando una galleria di personaggi nelle alterne fortune, visti controluce, con i loro amori, le «fissazioni», le antipatie di ciascuno; ne emerge una storia che dal Corrière diventa vicenda del giornalismo italiano e. soprattutto, politica intessuta giorno dopo giorno. Afeltra inizia il libro di 453 pagine, edito da Bompiani, con le parole: 'Mio padre...», per spiegare le attitudini e le circostanze che lo portarono al giornalismo, e lo conclude con un nome: «..Alcide De Gasperi». ormai nel dopoguerra, quando era giornalista affermato e brillante, soprattutto di polso. Oggi, dunque, c'è un fascino che la gente avverte per ciò che i giornalisti sanno raccontare, come socchiudessero la porta della redazione per far entrare in punta di piedi il pubblico a sbirciare nei loro segreti. E' cosi? «La storia narrata dai giornalisti, certo, — aggiunge Afeltra — ma i giornalisti devono in primo luogo essere testimoni, non protagonisti. Io ho fatto nel mio libro un racconto del Corriere, con i fatti come li vissi, le persone come le incontrai e le conobbi. Per quanto si sta verificando oggi, direi che c'è una partecipazione, un fascino che il pubblico prova nei confronti del nostro mestiere». Un fenomeno nuovo? «Lo considererei come un divisino giornalistico, come si verificava tempo fa per gli attori, le attrici, la gente dello spettacolo. Oggi il giornalista fa notizia, racconta, incuriosisce, ma dev'essere sempre testimone». Un libro come quello sul Corriere oggi lo riscriverebbe? 'Certo, sono sempre disposto, ma vorrei sottolineare "niente fantasie". Le fantasie vanno bandite. Diciamo che, proprio in quanto giornalisti, abbiamo la procura di essere distaccati dai fatti per poterli riferire agli altri, questo non va dimenticato mai». Renzo Rossotti

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