De Mita: i miei dubbi per Moro di Marcello Sorgi

De Mita: i miei dubbi per Moro Abbiamo visto con il segretario de il film sul rapimento e l'uccisione dello statista De Mita: i miei dubbi per Moro «La linea della fermezza prevalse anche per mancanza dì all «matìve in quei momenti di panico» - «Ho il tormento per una vita che non c'è più» - «Rispettosa» l'interpretazione di Volontè - «I br passano per buoni, come se Moro l'avessimo ucciso noi» - Nella scena dell'omicidio, De Mita si copre il viso con le mani ROMA — -All'inizio forse ero condizionato da tutte le polemiche d> questi giorni. Poi, guardando questo film, ho seguito Moro attraverso la sua tragedia umana, con il dubbio irrisolto se ci siamo comportati in modo giusto. Non mi sentirei di dire che non c'era altro da fare oltre a resistere o trattare. Allora non trovammo una via d'uscita. Ma m'è rimasto il tormento per una vita che non c'è più-. Emozionato, pallido, visibilmente colpito, Ciriaco De Mita si passa le mani sugli occhi e comincia a riflettere. Siamo andati con lui a vedere «Il caso Moro., il film che scarica sulla de e sul governo di allora la responsabilità della morte dello statista, per cogliere otto anni dopo le reazioni democristiane alla prima discussa raffigurazione di quella tragedia. De Mita è rimasto zitto, attonito davanti alle prime scene, sussultando al crepitio dei mitra nel momento del sequestro. Di quella mattina, sottovoce ricorda «te paura di tutti. Ero a casa, fu Mastella a telefonare. Mi disse: "Stai attento, lo hanno preso ma non si capisce cosa ancora può accadere"». Si temevano «una rivoluzione, un colpo di Stato-, conferma Mastella. E in quei primi momenti tante cose potevano farlo pensare. •Alla Camera arrivavano solo informazioni confuse — riprende De Mita —, diceva no che Moro era ferito in ospedale. A Palazzo Chigi si parlava dei terroristi come organizzazione diffusa, ramificata, efficientissima. Nessuno credeva che fossero italiani-. Nella sede della Presi¬ denza del Consiglio si decide in fretta che il governo di solidarietà nazionale si presenti subito in Parlamento a chiedere la fiducia per entrare nella pienezza dei poteri. Ma nel film non c'è nulla della confusione e paura di quel giorno. La «linea della fermezza» scatta subito in una dichiarazione di Andreotti presidente del Consiglio, con Berlinguer e Peo chioli che spingono in questo senso da dietro le quinte. Sembra una decisione limitata a pochi cinici uomini di governo — commenta il leader de — come se non ci fosse stata una risposta del Paese. Le piazze si riempirono, ci furono manifestazioni in tutta Italia, un invito generale a non cedere-. -E una vera scelta forse non fu mai fatta — De Mita insiste, guardando sullo schermo i volti straordinariamente «veri*, quasi caricature dei suoi amici di partito, Zaccagnini incerto, Cossiga duro, Andreotti gelido —. La verità è che la linea della fermezza prevalse nei fatti per mancanza di alternative in quei momenti di panico e di sbandamento. Nessuno a priori era contro la trattativa, ma non c'erano prove che potesse portare a qualche risultato. E quando dopo la prima lettera di Moro ci riunimmo alla Camilluccia, io come tutti ragionando dissi: fermezza. Poi in macchina ebbi una crisi terribile: mi chiedevo se avevo il diritto di decidere della vita di un uomo-. Otto anni dopo quel dubbio è rimasto e nel frattempo si è trattato per D'Urso, per Cirillo. Oggi perfino gli Usa trat- tano con il terrorismo arabo. Certo c'è meno «fermezza». -Ma una discussione posta in termini di resa dello Stato non s'è più presentata. Anche oggi sarebbe inaccettabile: Nella «prigione del popolo» delle Br Moro-Volontè è ferito, debole, indifeso; è tragico il crescendo della sua sofferenza. De Mita si concentra tutte le volte che il protagonista è solo sullo schermo, sembra riconoscerlo. Moro era cosi? -Il Moro di Volontè gli s'avvicina, specie nel modo di muoversi e in certi atteggiamenti. E' suo il linguaggio delle lettere, complesso, dialogante, articolato. Ma proprio per questo risaltano le banalità che gli hanno messo in bocca, certi giudizi netti che Moro non avrebbe mai avuto-. Nell'insieme De Mita trova -rispettosa- l'interpretazione di Volontè. -Inverosimili- sono semmai le figure dei terroristi, «come portati da un senso del dovere a fare quel che fanno. Tutti "buoni", tutti affezionati alla vittima che poi, giocoforza, dovranno sacrificare. Tutti saranno arrestati e condannati, mentre "i veri colpevoli" restano fuori. Via, non è creuibile, non è accettabile lo scontro fra Br che vogliono salvare Moro e de che lo vuole ammazzare. L'analisi delle ragioni che portarono dalla contestazione alla lotta armata non è nemmeno accennata. C'è solo il tentativo di adattare una storia a una tesi precostituita». Ecco Eleonora Moro, la figlia Maria Fida, «foderato» nipotino Luca; ed ecco Zaccagnini lasciato fuori di casa Moro quando viene a portare le condoglianze. La rottura fra la famiglia dello statista e il partito -fu inevitabile in quel momento, con la de schierata per la fermezza e i familiari che parlavano di Stato disumano-. E faticoso, •delicatissimo- il rìavvicinamento. voluto da De Mita e riuscito solo da qualche anno. «Afona Fida era tornata da un viaggio attraverso l'Italia colpita dall'amore per il padre dimostrato dalla periferia del partito. Mi venne a trovare, ne parlammo. Poi ho visto anche la vedova. La "pace fra noi ora è fondata sul rispetto reciproco-. Cosa pensa De Mita degli altri personaggi del film? Di Fanfani dice che «non è vero che fosse tutto per la trattativa e contro il partito. Come altri, cercava una strada che non si trovò. Il desiderio di salvare Moro era fortissimo. Ricordo lunghe nottate di discussione con Misasi. Ma alla fine non si approdava mai a nulla-. Dei socialisti, del ■partito della trattativa» parla malvolentieri: -A parole, tutti erano per la fermezza. Anche il psi propose uno "scambio di prigionieri", non il cedimento-. Di Berlinguer ha qualche nostalgia -perché come per Moro era possibile prevederne giudizi e ragionamenti senza seguirli di volta in volta. Pochi sanno die era anche spiritoso: "Ringrazia Iddio che sono l'unico sardo non vendicativo", mi disse una volta Quand'è morto ho sofferto-. E il ricordo della solidarietà nazionale, che appare sullo schermo con un sfondo inquietante di P2? Qui De Mita rimpianti non ne ha. ma neppure ricordi negativi: -Non ho mai smesso di credere al valore dell'unità. Non ho mai pensato che si possa uscire dalle difficoltà senza rafforgare le ragioni dell'unità. Se quella forma di governo è morta, direi che non è morta quella politica-. Al dunque, questo film che a De Mita non è piaciuto certamente lo ha fatto riflettere. Fino a indignarsi? «No. io non m'indigno mai, piuttosto cerco di capire. E credo che la forma migliore per far emergere la stupidità sia far parlare l'interlocutore-. -Forse- De Mita manderà, i suoi figli a vederlo, o -forse solo la figlia maggiore- perché 11 figlio ha sofferto moltissimo la tragedia di Moro e ancora oggi, quando il padre tarda la sera, nell'attesa si allarma. Perché allora tanta sorpresa, tanto scandalo democristiano davanti a un film sull'epilogo degli anni di piombo? -Perché contiene una tesi che ci offende e perché ognuno ha una diversa sensibilità. Io sono stato contrario al sequestro della pellicola. Del racconto ho seguito solo la vicenda umana, non quella politica, lasciando scorrere le distorsioni come si fa in tv per la pubblicità. E non nego l'utilità di un film sugli anni di piombo: però vorrei si cercasse di capirli, non di giustificarli o di rimuoverli-. Ora sullo schermo MoroVolontè si adagia nel bagagliaio della Renault, si piega, si copre alla meno peggio con un vecchio plaid. Una mano anonima spara gli ultimi colpi. De Mita si copre il viso con le mani e resta cosi a lungo anche dopo che le luci si sono accese. Marcello Sorgi Roma. Il segretario democristiano Ciriaco De Mita (Tel.)

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