Non sparate sul calcio

Non sparate sul calcio Non sparate sul calcio Si parla molto di violenza negli stadi calcistici: ci sono accoltellati, pestati; i teppisti distruggono un treno, dieci bar, cento auto. Grosso modo ci si indigna un tre volte per campionato. Di solito serve da vaccino, con produzione di anticorpi (qualche provvedimento di polizia, e la cosiddetta presa di coscienza da parte dei club di tifosi accesi), scadenza a ^re-quattro mesi. Quando; è tempo di indignazioijej, ló stadio viene descritto come un inferno. E si argomenta il calo degli spettatori con la paura fisica. E si cercano spiegazioni, implicazioni, diramazioni. Nessuno che si ponga la domanda: quanti sono, nella storia affollata del calcio, i morti nei nostri stadi, per questa violenza? Un morto, uno solo, Vincenzo Papparelli, il 28 ottobre 1979, Stadio Olimpico di Roma, nella curva laziale, centrato da un razzo «scappato» dalla curva romanista, da un razzo non certamente sparato per uccidere. Un morto è sempre tragedia enorme, ma statisticamente — il calcio organizzato ha, in Italia, 88 anni — è poca cosa. Si pensi a quanti milioni di spettatori sono passati negli stadi. Nel 1925, alla stazione di G. P. ORMEZZANO Torino, ci furono pistolettate' (comunque senza morti e feriti) fra genoani e bolognesi, per uno spareggio tricolore: da allora le pistole non sono più state usate. Ma allora, che violenza è? E se fosse soprattutto quella western, per cui, alla fine di una rissa, nessuno sanguina? cistica, Matarrcse, deputato dcrnocristian.Q, cattolico praticante, con molto realismo si dice favorevole alle sane scazzottature, corroboranti. La gente, si dice, non va allo stadio per paura. Secondo noi, non ci va soprattutto perché una accresciuta cultura le ha fatto sapere che c'è sport spettacolare alternativo al calcio, che ormai pone troppi poblemi in contrasto con la sua funzione primigenia per lo spettatore: quella di divertire. Casomai molta gente va ormai allo stadio per lo spettacolo delle curve dei supertifosi, non per quello del gioco. E' uno spettacolo di solito bellissimo, con canti, fumi colorati, scoppi, bandiere stupende (e magari, negli stadi nuovi e civettuoli che si progettano, questo spettacolo finirà, c chissà se comincerà quello in campo). C'è qualcosa che non va, qualche eccesso, qualche stonatura, qualche scritta idiota o blasfema, sì: ma dove è possibile trovare una simile massa di gente, senza qualche stridore comportamentale? Quale assemblea di giovani, che non sia un congresso eucaristico, genera meno problemi, provoca meno feriti, di una partita ":i<8 . $&-'aà • Cè allo stadio— bisogna dirlo e "tenerne conto — la potenziale, immanente esplosione di violenza assurda, enorme, abnòrme: come a Bruxelles, e come in tantissimi altri posti del mondo. Ma ci pare troppo comodo sparare soprattutto sul calcio, cosi come è comodo usarlo quando ci dà i trionfi, usarlo come palestra frequentatissima, gratificante. Magari si contano anche i feriti fuori dello stadio (ce ne sono, ce ne sono, due anni fa ci tu persino un motto). Sempre però ignorando la sua statistica, che lo dice «posto» più sicuro di quasi tutti gli altri, in questo mondo dove si spara per un sorpasso. Un morto su (parliamo di serie A) otto milioni di spettatori l'anno, insardinati sulle gradinate, sicuramente più martiri che criminali.

Persone citate: Vincenzo Papparelli

Luoghi citati: Bruxelles, Italia, Roma, Torino