Mauri: l'attore deve rischiare
Mauri: l'attore deve rischiare Mauri: l'attore deve rischiare TORINO — Un esaurito dietro l'altro, nelle grandi e nelle piccole città. In 17 giorni a Milano 25 mila presenze, con un incasso medio di 17 milioni a sera e una punta massima di 22 milioni e mezzo. Il Faust di Goethe, messo in scena dalla compagnia di Glauco Mauri, si avvia a diventare uno dei più clamorosi successi della stagione. «Il nostro spettacolo ci sta sbocciando in mano — dice l'attore regista —. Ed è una cosa straordinaria, se pensiamo che si chiama Faust, che attrae 1? sente senza le facili suggestioni delfer^mantiche éomme battage; In qi'Jstb senso è una vera scoperta. Direi che il pubblico accorre perché stimolato dagli amici, da quella forma di pubblicità sotterranea che sembra essere la più efficace». Perché piace questo spettacolo? «Per l'estrema chiarezza abbinata alla grande poesia con cui Goethe riesce a dire le cose di tutti i giorni». Clic cosa la colpisce di più in questo successo? «Il silenzio assoluto con cui si segue l'ultima parte, che nessuno conosce e nella quale vengono raccolti sentimenti e idee. Forse non mi è mai accaduto, prima d'ora, di sentire un silenzio cosi attivo, con le menti in formicolio». Il «caso Faust» sembra dunque contraddire una tendenza largamente diffusa nel teatro italiano. Come ha rivelato recentemente il nostro giornale, il numero degli spettacoli aumenta, ma il pubblico diminuisce; dilaga un disorientamento che non risparmia né le compagnie (le quali spesso non trovano i teatri in cui lavorare), né lo spettatore, sollecitato da troppe proposte e deluso da una qualità discutibile. Trionfa, si diceva in quella nostra inchiesta, il teatro del grande attore: il resto è malinconia. Come giudica Mauri questa crisi? «Anche noi abbiamo avuto il nostro boom. Ma nell'euforia generale dicevo: state attenti, si rischia di badare più alla quantità che alla qualità. Abbiamo un mercato teatrale intasato di lavori indegni, anche perché si fraintende il compito del teatro, non ci si ricorda più che il teatro è una palestra per Irrobustire i cervelli. Bisogna fare teatro sapendo che essere attori è un impegno civile e sociale. Purtroppo in molti miei colleghi non c'è più un indirizzo preciso: scelgono una commedia qualunque, purché renda al botteghino, dimenticando la funzione pubblica del teatro». A questo punto il tono di Mauri si fa malinconico. «Se devo muovere un appunto agli attori italiani è questo: chi ha la possibilità di chiamare gente ha il dovere di rischiare di più Questo normalmente non si fa, anzi si frequenta un repertorio dalla pochezza indescrivibile». Non crede che responsabile indiretto di questa povertà artistica possa essere anche lo Stato? I finanziamenti indiscriminati non sempre stimolano la qualità. «C'è in effetti questo problema dei finanziamenti — sponde Mauri—. Abbiamo o dovremmo avere una legge che dà la possibilità a tutti di fare teatro. Da una parte è anche giusto, all'inizio bisogna offrire un aiuto a tutti, ma poi si deve selezionare e se uno non è adatto cambi lavoro. Tuttavia, prima che un fatto politico, il teatro è un fatto nostro, etico, di noi uomini di teatro. E' il problema di quelle persone che a teatro possono permettersi di fare qualunque cosa». o. g,
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