Aveva ragione Proust sui Quartetti di Beethoven

Aveva ragione Proust sui Quartetti di Beethoven Gli Amadeus per l'Unione Musicale nel terzo concerto dell'opera integrale - L'organista Ella alla Haertelt Aveva ragione Proust sui Quartetti di Beethoven TORINO — Nel corso dell'integrale beethovenìana per l'Unione Musicale il grande Quartetto Amadeus ha eseguito l'altra sera l'op. 127 e Top. 59 n. 1, cioè il primo dei trascendentali Quartetti del terzo stile, oggi tanto esaltati dagli intenditori più raffinati, e il primo dei tre Quartetti Razumowski che sono un capolavoro del secondo stile, il più gradito al pubblico e il più amato. Per chi non soffra di conformismo, tale accostamento è una provocante tentazione a cercar di vedere come stiano veramente le cose e se per caso non abbia ragione l'entusiasmo dell'ascoltatore ingenuo contro l'infatuazione dei superintendltori. Situazione In cui si era trovato Strawinsky quando aveva conosciuto Proust in un salotto aristocratico di Parigi: «Si parlò di musica ed egli espresse il suo entusiasmo per gli ultimi quartetti di Beethoven, entusiasmo che avrei condiviso, non fosse stato un luogo comune tra gli intellettuali di quel tempo e più che un giudizio musicale una posa letteraria». Ma c'è poco da fare: aveva ragione Proust, hanno ragione gli intellettuali, hanno ragione 1 supei intenditori. Con le Sonate e i Quartetti del terzo stile, anche con l'op. 127. che pure è il primo e in certo senso il più timido degli ultimi cinque, Beethoven sale Un gradino più su, si lascia alle spalle l'entusiasmante e rigogliosa fioritura dell'età di mezzo e accede a un nuovo modo di pensare in musica, svincolato dalla contabilità tematica del sonatismo tradi¬ zionale, per un magico insorgere di nuovi contenuti e un'apertura stupefacente verso l'avvenire dell'arte musicale. m> m. TORINO — La Riky Haertelt ha avuto l'idea felice di dedicare un concerto a Liszt compositore organistico, cosi da aggiungere un altro aspetto ai molti messi in opera dalla presente stagione per onorare 11 centenario del musicista; idea, e mano felice, anche quella di aver invitato l'organista ungherese Istvan Ella, che nuota con disinvoltura nel mare espressivo del suo grande connazionale e sembra conoscere Vorr gano del nostro Auditorium come le sue tasche. Apertura con le famose Variazioni Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen che provengono dal pianoforte e sull'organo perdono un po' della crudezza dissonante. Istvan Ella ha poi suonato Ungarns Gott (Dio d'Ungheria), tipica espressione esoterica dell'ultimo Liszt Anni 80: un Lied religioso, con l'orgoglio dell'organo ridotto alla castigatezza sonora dell'armonium, salvo ridestarsi in una breve sgroppata finale. Nate per l'organo le altre composizioni in programma, le'due Fantasia e Fuga sul nome Bach e su Ad nos, salutarem undam. che rappresentano compiutamente quello che Liszt ha voluto fare dell'organo: in sostanza, toglierlo alla sua nicchia religiosa, emanciparlo verso una duttilità espressiva vicina al pianoforte. Le note del nome Bach (si bemolle, la, do, si naturale) vorticano nella fornace sonora lisztiana, l'organo si slancia (con qualche difficoltà) nello stile della cadenza pia nistlea e persino la Fuga acquista una capacità narrativa da poema sinfonico. Ma, con tratto tipico dell'Ottocento, la rèligio3ità bandita dalla porta de!'a composizione rigorosa rientra dalla finestra del teatro proprio al centro di Ad nos, che è una fantasia su una celebre scena del Profeta di Meyerbeer, il tema affiora lontano, in una luce aurorale, come intonato da un commosso coro di pellegrini. Essenziale e scattante la regia sonora con cui Ella ha dato vita a tutte queste pagine; e ben meritevole delle calde manifestazioni di simpatia che il pubblico gli ha tributato. g. p,

Luoghi citati: Parigi, Torino, Ungheria