Dizzy, allegro monumento jazz di Gabriele Ferraris

Dizzy, allegro monumento jazz Gillespie, che ha suonato a Milano, parla della musica e dei musicisti di oggi e di ieri Dizzy, allegro monumento jazz «I giovani registrano i concerti poi li studiano, noi dovevamo rubare sul momento» - Un uomo senza eccessi: «Non mi riconosco in "Round Midnight", la mia vita è sempre stata diversa» - Se ne infischia delle critiche: «Amo tutta la musica, anche il rock» DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Dizzy Gillespie se ne.sta semisdraiato sul letto, gli occhi socchiusi. Parla della musica d'oggi, e per forza racconta ancora una volta il suo personale com'eravamo, e ancora una volta si anima quando alla memoria si riaffacciano i volti e le storie dell'era del bebop, i tempi della rivoluzione musicale che cambiò il jazz e che segnò indelebilmente una generazione. «Oggi i giovani musicisti vanno ai concerti, registrano quello che sentono, poi a casa se ne hanno voglia se lo studiano: noi non avevamo registratori, se volevamo rubare la musica dovevamo stare ben attenti, cercare di capire quel che succedeva. Le famose jam session del bebop sono nate cosi: Birci, voglio dire Charlie Parker, e io, e tutti gli altri tipi che stavano escogitando quel nuovo modo di suonare, finito di lavorare nel club dove eravamo ingaggiati ce ne andavamo in giro a sentire gli altri, e ciascuno cercava di rubare un'idea, c'era un grande scambio, anche una grande rivalità. Ma erano notti eccitanti, a New York: quelli del sindacato del musicisti ci stavano addosso, se ti esibivi in un club non potevi la stessa sera andare a suonare in un altro, ma ce ne infischiavamo. Arrivavamo In quei locali della 52* strada, davamo un'occhiata in sala e se c'era qualcuno del sindacato filavamo da un'altra parte, poi tornavamo, magari all'alba. Quanto suonavamo allora! Non si faceva altro, e ogni giorno qualcuno scopriva qualcosa di nuovo». Ieri sera Gillespie ha suonato al teatro Cristallo di Milano, seconda e ultima tappa (dopo Messina) del breve tour italiano del trombettista: con lui il pianista Walter Davis, il bassista John Lee, e i due Abdul Al Khabbyr, il padre Saiyd ai sassofoni e il figlio Nasyr alla batteria. La prima telefonata, appena arrivato a Milano, Gillespie l'ha fatta a casa di Sergio Caputo, il giovane cantautore di «Effetti personali», album dove Dizzy figura come 'Special guesU: «Sergio è un tipo In gamba — dice —. Mi è piaciuto lavorare per il suo disco. Un concerto con lui? Buona idea, mi piacerebbe». Ieri Caputo non era a Milano, è in tournée, e la rimpa¬ triata è stata riviata ad altra occasione. Però Gillespie, che in Italia è di casa, non perde l'occasione per elencare i jazzisti ttaliani che preferisce: Nunzio Rotondo, Carletto Loffredo, ovviamente, e poi, un po' a sorpresa, «il figlio del regista, quello che scrive colonne sonore... ah, si, Manuel De Sica! E' bravo». Ma l'oggi non sembra affascinare il vecchio leone. Con gli occhi socchiusi, pare sognare i bei tempi andati, gli eroismi della nascita del bebop: chissà, forse succede a tutti quelli che hanno fatto la storia, non puoi prendere il Palazzo d'Inverno e poi voltare pagina, morta li. «Avete visto Round Midnight? — chiede Gillespie —. Un gran film. Dexter Gordon è un fuoriclasse anche come attore. Però personalmente non mi ci sono riconosciuto: quel personaggio è vero, ma la mia vita, anche allora, era diversa. La musica era la stessa, ma io ero diverso da Parker e da tanti altri». Prova ne sia che Dizzy, a 69 anni, a parte il diabete e la crescente sordità, è ancora in ottima forma, mentre tanti eroi del bebop se ne sono andati, stroncati dalla droga, dall'alcol, dall'angoscia di vivere: Dizzy invece è un bon vivant, ama senza eccessi i sigari cubani e la buona tavola, si divora una gran grigliata di pesce succhiando avidamente le teste: «A casa non posso farlo, mia moglie ha la cattiva abitudine di buttarle via», dice divertito. Un ex rivoluzionario che oggi si gode la gloria, dispensando apprezzamenti ('«Molti giovani musicisti sono eccellenti, per esempio mi ha colpito il modo di suonare la tromba di Terence Blanchard, quel giovanotto scoperto da Art Blackey»A e infischiandose delle critiche («Dicono che mi sono lasciato sedurre dal rock? Dicano quel che vogliono, io amo la musica, tutta la musica, se mi va faccio un disco di musica slava»/ Un uomo tranquillo, sema rabbie, per carattere e forse anche per fede: Gillespie. adepto entusiasta della religione Baha'i, predica la fratellanza universale e la morigeratezza, pur se la vista di una bella ragazza gli fa apparire sul volto un largo sorriso dapprezzamento. «Siamo tutti fratelli — ripete paziente —. Io sono nato in America, ma mi sento cittadino del mondo, e al mondo voglio regalare la mia musica». Gabriele Ferraris D Dizzy Gillespie con Sergio Caputo: il grande trombettista ha suonato anche nell'album dell'italiano

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