« Reagan si salverà, se dirà tutto»
« Reagan si salverà, se dirà tutto» Politologi e mass media escludono il parallelo con lo scandalo Watergate « Reagan si salverà, se dirà tutto» L'ex ministro Laird: «Deve denunciare e punire i colpevoli, dopo aver ammesso l'errore» Schlesinger; «Kennedy sbagliò alla baia dei Porci ma se ne assunse la responsabilità» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE WASHINGTON — Chiamati dai mass media a consulto al capezzale della presidenza malata, gli ex uomini di governo, gli storici e i politologi hanno in genere fatto quattro osservazioni di fondo sull'Irangate. La prima è che il colonnello North, il capo espiatorio dello scandalo, deve aver agito su ordini superiori La seconda è che il presidente Reagan può essere colpevole di leggerezza o negligenza, non di occultamento di reati come lo fu Nixon. La terza è che per recuperare la credibilità e il potere dei suoi primi sei anni di governo deve ammettere di avere sbagliato e costringere i suoi collaboratori a rivelare tutta la verità. La quarta è che occorre un riesame dell'esecutivo e dei suoi rapporti col Congresso per impedire gli scandali che da Roosevelt in poi hanno danneggiato la fine del mandato di quasi tutti i presidenti. Tra gli autori della prima constatazione vi è il generale a riposo Brent Scowcroft, uno dei tre saggi incaricati da Reagan della riforma del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Scowcroft, che diresse il Consiglio sotto il presidente Ford, sostiene che 'North ha operato sulla base di direttive precise-. -E' difficile dire che tipo di supervisione abbia ricevuto nell'esecuzione delle direttive — aggiunge il generale — ma devo credere che lo controllasse qualcuno ancora più in alto di Poindexter-. Pur rifiutando di farne il nome, Scowcroft ha indicato che potrebbe trattarsi del capo di gabinetto Regan. -Comunque — ha ammonito l'ex consigliere di Ford — sulla scia di questo disastro di politica estera non dobbiamo gettare via il bambino appena lavato insieme con l'acqua sporca del mastello: il Consiglio di Sicurezza Nazionale ]•■ della Casa Bianea èuno^tnt- mento importante per qualsiasi presidente-. L'ex nuiistro della Difesa Melvin Laird, chiamato da Nixon alla Casa Bianca nella fase finale del suo assedio, 12 anni fa, è invece tra quelli che respingono il paragone tra Watergate e Irangate per quanto concerne il Presidente. -A differenza di Nixon — sottolinea —, Reagan non è coinvolto personalmente in nessun crimine, e non mente... A mio parere ha commesso un grave errore di giudizio, ma la vicenda è talmente contorta che l'elettorato ritroverà la fiducia in lui se denuncerà e punirà i colpevoli-. Mentre su questa premessa Laird è convinto che Reagan rimarrà saldamente al potere nei suoi due ultimi anni, -purché si concentri su altri problemi, innanzitutto il disarmo-, altri esperti, come il politologo Kenneth Thompson, sostengono che lo scandalo lo indebolirà irrimediabilmente. -Di fatto Reagan si è retto sulle sue qualità di grande comunicatore, cioè sulla capacità di manipolare in un certo senso il Congresso, il pubblico e i mass media: ma questo mito è crollato, e non lo recupererà- . Il più aperto fautore della necessità di lavare subito e tutti i panni sporchi in pubblico è lo storico Arthur Schlesinger, che fu consigliere di Kennedy agli inizi degli Anni Sessanta. -L'elettorato perdona il Presidente se egli ammette di aver commesso un errore, prende misure per rimediarvi e ristabilisce la fiducia comune nel processo decisionale della Casa Bianca- asserisce Schlesinger. -Io ricordo il fiasco dell'invasione della baia dei Porci a Cuba nell'aprile del '61-, prosegue lo storico. -Kennedy dichiarò che il responsabile era lui, e gli americani lo appoggiarono. Già Eisenhower d'altronde si era assunto la colpa dell'abbattimento dell'aereo spia U2 in territorio sovietico nel maggio del '60-. Schlesinger rimprovera a Reagan di non aver ancora capito di dover compiere un atto di umiltà: -Sostenendo che ha ragione, mette l'uno contro l'altro i parlamentari, il pubblico, i giornali e le radiotv-. Le apprensioni per l'istituto della presidenza le ha manifestate soprattutto Helmut Sonnenfeldt, un uomo che ha lavorato sia alla Casa Bianca che al Dipartimento di Stato. •Scandali di questo tipo, anche se non di questa entità, si ripetono con regolarità impressionante dalla fine della guerra. T uman ne soffrì al punto tale che non si ripresentò candidato nel '52, mentre avrebbe potuto farlo. Johnson fu costretto in pratica a dimettersi, con una analoga rinuncia. Non parliamo di Nixon. Carter venne paralizzato dalla crisi degli ostaggi a Teheran e non venne rieletto-. Per Sonnenfeldt, gli ultimi due anni di Reagan -saranno terribili per tutti, non solo per gli Stati Uniti, ma anche per l'Europa, per i rapporti intemazionali, se Reagan uscirà ferito dall'Irangate-. Sonnenfeldt non sa indicare ••la cura preventiva- ma ritiene che la superpotenza non può permettersi «anitre zoppe» come presidenti alla fine dei loro mandati. Una commissione di saggi dovrebbe studiare il problema del pote1vfflìfia^u#xo,ie fljqueJl&JegkL i slativo. . e- " stUanfUplnml Washington. Per il Giorno del Ringraziamento il presidente Reagan ha ricevuto in regalo Benjamin, un tacchino di 23 chilogrammi, che però non farà la fine di milioni di suoi simili, ma vivrà in uno zoo
Luoghi citati: Cuba, Europa, Stati Uniti, Teheran, Washington
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