II brigatista Semeria ripete «Uccisi io Soldati in carcere» di Vincenzo Tessandori

II brigatista Semerìa ripete «Uccisi io Soldati in torcere» Il processo a Cuneo sul feroce delitto di cinque anni fa II brigatista Semerìa ripete «Uccisi io Soldati in torcere» «L'ho fatto con Vittorio Alfieri» - Imputato anche un agente di custodia - Forse oggi la sentenza dal nostro inviato CUNEO — .L'ho detto chi è stato a uccidere: io e lui, Vittorio Alfieri-, mormora Giorgio Semeria, 36 anni, milanese, nucleo storico delle Brigate rosse. Lo hanno arrestato dièci anni fa, ed è la prima volta che parla cosi in un processo. Con il compagno e altri sette è accusato di avere ammazzato Giorgio Soldati, cinque anni or sono, nel carcere di Cuneo. Un assassinio che voleva essere un'esecuzione perché il compagno ucciso, militante di Prima linea, aveva confessato di avere collaborato e poco importava che lo avesse fatto dopo un interrogatorio definito .brutale-. Alla sbarra anche una guardia carceraria accusata di 'Cooperazione colposa nella morte-. Sembra di tornare indietro di anni, quando gli imputati parlano, e nell'aula della Corte d'assise, qui a Cuneo, si scorge una pallida immagine del delirio e della ferocia, del sospetto e dell'odio che si vivevano allora nelle carceri, soprattutto quelle «speciali», dai terroristi chiamate .il circuito dei camosci-. Sono tre anni che Semeria e Alfieri, militante nella colonna milanese Walter Alasia, si sono dissociati dalla lotta armata e ieri un irriducibile, Mario Fracasso, anch'egli imputato, ha chiesto dì lasciare l'aula -perché la puzza di questi non la sopporto-. Stridente, la sua posizione, nessuno gli ha badato, l'hanno rimandato in carcere. Quando Soldati venne arrestato, a Milano, aveva 25 anni. Nello scontro a fuoco con il suo gruppo rimase ucciso un agente. Poi il giovane fece delle ammissioni, indicò una casa. Disse che lo avevano picchiato e ai genitori che andarono a trovarlo apparve -pesto e gonfio-. Aveva parlato, ma non sottoscritto verbali, cosi lo mandarono a Cuneo, nel supercarcere, in isolamento, forse a meditare. Alcuni giorni dopo l'arrivo l'isolamento venne tolto, il giovane che aveva potuto comunicare con Alfieri confidava -nella giustizia proletaria-. Della ferocia, non sospettava. Un ordine di tenerlo ancora in isolamento, forse per proteggerlo, del giudice istruttore torinese Maurizio Laudi, fu ignorato. Porse non si saprà mai perché. Ora Semeria dice, la voce chiara: -Intendo assumermi la responsabilità di gran parte di quello che è successo. La verità un po' incredibile è che l'intero staff della direzione e tre quarti dei detenuti sapevano quello che poteva succedere, non solo a Soldati. Era fortunato chi poteva rimanere in isolamento, in quei tempi-. Aggiunge: -In carcere succedevano queste cose, ora sono cambiati i tempi e siamo cambiati noi-. Poi, quasi riflettendo, prosegue: -Accadevano quelle cose, perché lo mandarono proprio li?-. Soldati venne strangolato e poi sgozzato nel gabinetto a fianco del refettorio. -Si è parlato di crudeltà, ma era solo inesperienza e si fece cosi per fare più in fretta-. Non è facile cogliere imbarazzo nelle parole dell'ex brigatista, un rossore del volto appena accennato ne denuncia il disagio. Dice Semeria: -Lui disse: "Fate presto". Non si oppose. Poi aggiunse qualcosa per la famiglia, qualcosa di privato-. Nei giorni scorsi Semeria ha scritto a Mario Soldati per informarlo che avrebbe confessato: -Non ho niente da poterle dare, so che sarò l'incubo delle sue notti, ma se le fa piacere le scriverò le ultime parole di suo figlio-. E' difficile voltarsi indietro e ricordare di avere ammazzato qualcuno, a sangue freddo. Quando parla, Vittorio Alfieri si sofferma su un lungo memoriale, fa delle pause come per riordinare le idee, ma, forse, in realtà cerca soltanto di vincere una fatica enorme. -Lo avevano messo nella cella accanto alla mia, in isolamento. Ne scorgevo l'ombra e ne sentivo la voce. Mi parlò, mi raccontò delle botte, stava malissimo: disse di avere dato l'indirizzo di una casa per alleviare la sua posizione. Pensava che i compagni da II se ne fossero andati, dopo il suo arresto. Non voleva più "collaborare" disse, e io lo feci sapere ai compagni-. Ma chi veniva arrestato, ha aggiunto il brigatista, era sospettato dai vecchi reclusi, rimproverato per avere fatto errori, in libertà. Alfieri si rese conto che la situazione di Soldati era fragile perché «te logica del sospetto imperava e anche quelli della sua stessa organizzazione se ne lavavano le mani-. Ma non lo avverti. Lo fece qualcun altro, ora Alfieri ha il rimorso di non essere stato lui. Il ragazzo affrontò il suo destino con rassegnazione incredibile. Avevano deciso di ammazzarlo, ma senza nemmeno fargli un -processo-. -Di fronte alla sua forza d'animo mi sento piccolo piccolo. Ora chiedo soltanto di essere un po' compreso, non cerco attenuanti-, conclude Alfieri. E gli altri imputati? Nessuno ha visto niente, nessuno ha sentito niente, nessuno ha saputo niente. Neppure la guardia Michele Di Muro. «Ma perché, dopo avere strappato in modo coercitivo notizie a mio figlio, lo Stato non lo ha protetto?-, ha chiesto ieri alla Corte Mario Soldati. Poi ha aggiunto: -Aveva scritto un documento, dopo essere stato tolto dall'isolamento, non dava l'impressione di avere paura, di avvertire pericolo. Si fidava di quei compagni in cui credeva e ha fatto male. Si è messo davanti al suo boia con le mani in tasca-. Oggi l'accusa e, forse, la sentenza. Vincenzo Tessandori

Luoghi citati: Cuneo, Milano