Andrea del Sarto, la splendida rivincita

Andrea del Sarto, la splendida rivincita A PALAZZO PITTI LA PRIMA MOSTRA MONOGRAFICA D'UNO TRA I PIÙ' GRANDI PITTORI DEL '500 Andrea del Sarto, la splendida rivincita FIRENZE — E' in assoluto la prima mostra, a carattere monografico, di Andrea del Sarto, uno dei più famosi pittori del Cinquecento. Nel quinto centenario della sua nascita, l'ha organizzata la Soprintendenza, in collaborazione con il Centro Mostre. Comprende cento disegni e una trentina di dipinti, che riguardano l'intero suo iter, parecchi dei quali restaurati di recente o per questa occasione. L'esposizione rimarrà aperta fino al 1* marzo e facilitazioni consentono la visita (assai raccomandabile) anche dei suoi affreschi nei chiostri all'Annunziata e dello Scalzo, nel convento di San Salvi e nella villa medicea di Poggio a Caiano. Può stupire che solo ora Firenze abbia dedicato questo tributo a un suo figlio che già Vasari riteneva degno di •avere, fra i piii celebrati ingegni, lode grandissima ed onorata palma'. Ma, a parte le difficoltà di spostare i suoi dipinti, perché quasi tutti su tavola (da ciò la scelta di limitarsi, per questa mostra, ai prestiti fiorentini), va tenuto presente che, nel suo caso, più che di «fortuna», si dovrebbe parlare di «sfortuna critica». Infatti, malgrado gli encomi, la fama di questo pittore, salvo un periodo di generale entusiasmo alla fine del '500, non fu mal disgiunta da certa diffidenza e contraddittorietà nel giudizi. Complice lo stesso Vasari che da giovane era stato nella sua bottega. Angariato, pare, dalla bella Lucrezia, moglie del pittore. E forse già in disaccordo — da futuro campione dell'auli¬ ca «maniera» — con le soluzioni moderate, con «non tanta gagliardia., del maestro. Fatto sta che nelle sue celebri Vite fu tutt'altro che tenero con la donna, la quale, di conseguenza, diventò l'eroina negativa di vari scrittori romantici: da de Musset a Browning. E, In definitiva, ad onta dei molteplici elogi, piuttosto ambiguo verso l'arte di Andrea. Come il colpo di bacchetta di un direttore d'orchestra, al quale si attennero quasi tutti i critici successivi. Nel '600 lo Scannelli continuò a chiamarlo «il più universale e compito Pittore.. Gli fece eco. nel '700, il Baldinucci, che lo definì «uno dei più sublimi artefici.. Ma, in fondo, in tutti, il sospetto di eccessiva correttezza accademica. La quale divenne addirittura sigla e modello nell'800, quando, universalmente, si diffuse l'etichetta •pittore sema errori.. Da qui, a macchia d'olio, l'antipatica sensazione di trovarsi di fronte al «primo della classe», che è arrivata fino al nostro tempo. Un pregiudizio che soltanto da pochi decenni alcuni storici dell'arte si sono provati a scalfire. A cominciare da Ragghienti, seguito a ruota da vari studiosi fra cui Freedberg, Shearman e Raffaele Monti, con le loro monografie uscite negli Anni 60. Un interesse, una progressiva revisione, culminata appunto in questa mostra. Dalla quale, grazie anche al restauri che hanno tolto vernici e sporco che appiattivano ogni cosa, esce un Andrea del Sarto nuovo, diverso. In breve, Invece del tradizionale, accademico, statico •Andrea senza errori., un vitalissimo artista, di profondo pensiero, con straordinarie e complete qualità pittoriche. Calato nella realtà che contraddistinse gli inizi del '500. Un momento eccezionale per la presenza contemporanea del genio di Leonardo, Raffaello e Michelangelo. E che, per limitarci alla Toscana, vide l'avvento di Pontormo, Rosso, Beccaf umi e del cosiddetto «primo manierismo». Nodo intricatissimo, dominato dallo spostamento del baricentro artistico da Firenze a Roma, presso i papi. Mentre nella città del giglio si alternavano Repubblica e 1 Medici. Nel vivo, nel cuore di questa complessa realtà, la vicenda del nostro pittore. Nato, come dice il patronimico, in una famiglia di artigiani. Attaccato intimamente, strettamente a tale ceto, anche quando potè contare pure su committenti di alto censo. Soprattutto legato a quelle abitudini e ' a quelle confraternite che svolgevano militanza cristiana al servizio della comunità. Un mondo di fitti rapporti, nel quale gli artisti erano primi attori. Con il loro lavoro, gli incontri-scontri (la «scuola di S. Marco», patron Fra Bartolomeo, contro quella dell'Annunziata, guidata dal Sarto), le feste conviviali come quelle della Compagnia del Paiolo della quale Andrea faceva parte. Un microcosmo colto, dove certo non mancavano ambizioni ma ricomposte, riequilibrate da questo humus che, fra l'altro, proteggeva contro le forti tensioni del tempo. Una situazione che è forse opportuno tenere a mente per capire perché egli, dopo appena un anno, malgrado carezze e onori, concluse l'avventura parigina, presso Francesco I che l'aveva invitato per sostituire Leonardo. Si dice, per nostalgia dell'amata Lucrezia. In realtà forse per vivere e lavorare — predecessore del Barocci e di Ludovico Carracci — nella sua «piccola patria». Dove, coi soldi datigli dal re di Francia, si costruì subito la casa che abito fino alla morte, prematura, a 44 anni. Senza che mai scemasse in lui la consapevolezza del proprio valore e la coscienza di essere l'erede di una cultura umanistica che aveva dato Giotto e Masaccio, l'Alberti e Brunelleschi. Leonardo e Michelangelo. Perciò il dovere etico di proseguire, con tenacia, ad onta degli eventi, in dialettica con le idee dei suoi giovani aiutanti, Pontormo e Rosso, la ricerca di un equilibrio, per cosi dire classico. Appena ombrato da inediti sentimenti. Gli studi cui ho fatto cenno (con particolare sottolineatura al succoso saggio del So- printendente, Luciano Berti, e a quelli dei suoi collaboratori, pubblicati nel catalogo) mettono egregiamente in luce questa sua originalità. Basata su rinnovati criteri classici, sempre con l'uomo come centro e misura di tut to. Nonché su una fertile fantasia che. partendo dalla lezione atmosferica leonarde sca, si svolse autonomamente fra i due poli rappresentati da Raffaello e Michelangelo. Qualcuno l'ha chiamata: una «terza via». Riassunta bene da Federico Zeri quan do parlò di «splendido equili brio discorsivo né aulico né casalingo.. Una posizione mediana, conciliatrice, portata avanti non senza rattenuta drammaticità. Nel primo dei due decenni in cui, in pratica, purtroppo si ridusse il suo operare, via via crescente. Per poi ripiegare in un discorso più pacato e maestoso. Con il colore (come si è riscoperto coi recenti restauri) che gioca un ruolo determinante. Usato magistralmente (come peraltro divinissimamente usava l'affresco e la matita) e con quella misura e armoniosità che costituivano un'ulteriore risposta agli «strappidei suoi allievi. Dunque una figura di primissimo plano. Affascinante nei suoi tentativi di frenare un tramonto inesorabile. Al tempo stesso, con precommenti straordinari, sia barocchi che di verità caravaggesche. Sempre con la strenua volontà di evitare estremismi e soprattutto di ricomposizione unitaria. Caratteristica che forse lo rende oggi cosi attuale. Francesco Vincitorio Andrea del Sarto: «Testa di uomo barbuto» (particolare)

Luoghi citati: Firenze, Francia, Poggio A Caiano, Roma, Toscana