La fortuna

Lq," fortuna Lq," fortuna •:K.)i;.'<:ij'j> a e un uomo Se questo è un uomo si conclude con un capitolo intitolato cStoria di dieci giorni» nel quale tu descrivi, in forma di diario, come hai resistito dal 18 al 27 gennaio del 1943 tra un piccolo manipolo di malati e moribondi nell'infermeria improvvisata del campo, dopo la fuga dei nazisti verso Ovest con circa ventimila pri gionieri «sani». Quel racconto mi suona come la storia di Ro binson Crusoc all'inferno, con te. Primo Levi, nei panni di un Crusoe che strappa ciò che ti serve per vivere ai magmatici avanzi di un'isola irriducibil¬ mente spietata. Ciò che mi ha colpito in quel capitolo, come in tutto il libro, è quanto il pensare abbia contribuito a farti sopravvivere, il pensare di una mente pratica, umana, scientifica. La tua non mi pare una sopravvivenza determinata da una animalesca resistenza biologica o da una straordinaria fortuna, ma radicata semmai nel tuo mestiere, nel tuo lavoro, nella tua condizione professionale: nell'uomo della precisione, nell'uomo che verifica esperimenti e cerca il principio dell'ordine, posto di fronte al perverso capovolgimento di tutto ciò che per lui era un valore. Si il pezzo numerato di una macchina infernale, ma un pezzo numerato con un'intelligenza metodica che deve sempre «capire». Ad Auschwitz dici a te stesso: «penso troppo» per resistere, «sono troppo civilizzato». Ma secondo me l'uomo civilizzato che pensa troppo è inscindibile dal sopravvissuto. Lo scienziato e il superstite sono una cosa sola. (Benissimo! Hai colpito nel segno. £" proprio vero che, in quei memorabili dieci giorni del gennaio 1945, io mi sono sentilo come Robinson Crusoe, ma con una importante differenza. Robinson si era messo al lavoro per la sua individuale sopravvivenza; io ed i miei due compagni francesi eravamo consci, e felici, di lavorare finalmente per uno scopo giusto ed umano, quello di salvare le vite dei nostri compagni ammalali. «Quanto al perché della sopravvivenza, è una questione che mi sono posto più volte, e che molti mi hanno posto. Insisto: regole generali non ce n'erano^ sutvg^quellè fondanienffjr di'enlraré'Cn Lager in buona sai Iute e di^ Cf/pire il tedesco^^ parie''questo, no visto sopravvivere persone astute e stupide, coraggiose e vili, "pensatori" e folli (ad esempio, quell'Elias che ho descritto in Se questo è un uomo;. Nel mio caso personale, la fortuna ha avuto un ruolo essenziale in almeno due occasioni: nell'avere incontrato il muratore italiano a cui ho accennato prima, e nelt'essermi ammalato una. volta sola, ma al momento giusto. «Tuttavia, quello che tu dici, e cioè che per me il pensare, l'osservare, è staio un fattore di sopravvivenza, è vero, anche se a mio parere ha prevalso il eie- co caso. Ricordo di aver vìssuto il mio anno di Auschwitz in una condizione di spirito eccezionalmente viva. Non so se questo dipenda dalla mia formazione professionale, o da una mia insospettala vitalità, o da un istinto salutare: di fatto, non ho mai smesso di registrare il mondo e gli uomini intorno a me, tanto da serbarne ancora oggi un'immagine incredibilmente delta- so di. capire, ero costantemente i>m?<*daiwtiiiftitimi#tckt ad alcuni è parsa addirittura cinica, quella del naturalista che si trova trasportalo in un ambiente mostruoso ma nuovo, mostruosamente nuovo».

Persone citate: Crusoe, Primo Levi, Robinson, Robinson Crusoe