L'attore solista inventa i primi guai dell'umanità

L'attore solista inventa i primi guai dell'umanità Novarina ha aperto a Roma il teatro Ateneo L'attore solista inventa i primi guai dell'umanità DAL NOSTRO INVIATO ROMA — L'Università di Roma «La Sapienza» ha inaugurato l'altra sera, nel corso di una semplice ma assai simpatica cerimonia, il nuovo Teatro Ateneo, rinnovato nell'agibilità, negli Impianti di palcoscenico, nel sistema elettrico (spesa ottocento milioni), ma soprattutto dotato di uno studio per riprese televisive e di un altro di montaggio o postproduzione (e qui la spesa è stata di circa tre miliardi). L'inaugurazione è coincisa con l'apertura della rassegna biennale L'attore, che, come abbiumo già scritto, vuole stabilire ima costante e recl. .-oca politica di proposte sceniche, per incominciare, tra Italia e Francia (la prima edizione che dura poco meno di un mese, si intitola infatti Boulevards parigini). Ma lo spettacolo inaugurale è stato assai poco boulevardier: si tratta di uno dei più franchi successi della sperimentazione parigina dell'ultimo biennio: quel Monologue d'Adramelech, che l'anno scorso, al Théàtre de la Bastine, ha consacrato, almeno nel milieu intellettuale, un audace e sconcertante drammaturgo, Valére Novarina, e un eccezionale giovane attore, André Marcon. Adramelech è uno di primi uomini creati da Dio, mentre sulla terra la natura ancora tende ad assestarsi e già infuria, sotto la Torre, la rissa di Babele. Cosa vuole questo Dio imperioso da lui? Perché lo vuole costringere a trascinare una pietosa esistenza su questo pianeta desolato, sui cui aspri dossi si intravedono le incerte sagome degli ani¬ mali già destinati all'Arca del Diluvio? Il monologo di questo nostro sventurato simile si fa presto poliloquio: mentre Adramelech inveisce contro il suo Dio vindice e Dio lo rimbrotta, intervengono nella disputa varie figure quotidiane (tra le altre, uno strampalato postino Illico. con un telegramma urgentissimo); agli alti lai sul deprecabile destino della prima umanità si fondono grotteschi singulti d'ira e scherno sulla nostra odiernlssima sorte. Ciò che colpisce e affascina, sia pure a prezzo di una con- centi-azione totale, è la forza eversiva della scrittura di Novarina, un quarantenne che si situa palesemente nella grande linea maestra del ribellismo letterario francese, da Villon a Beckett, ma, al tempo stesso, in quella dei grandi eversori linguistici, del turbinosi pastlcheurs, da Rabelais a Jarry, Celine, Queneau. A parole della più stretta e bassa quotidianità s'alternano, nel suo flusso descrittivo e visionario, termini recuperati da lingue straniere o morte, inserti dialettali rivisitati, ma soprattutto una messe prodigiosa di neologismi, coniati all'improvviso dietro l'impulso di un genuino, rabbioso anarchismo. Sotto un pesante cappotto di ruvido panno grigio, in camiciola azzurra, due pesanti scarponi di vacchetta ai piedi, Marcon riesce prodigiosamente a tradurre il peso, propriamente fisico, dell'oppressione che lo atterra: ma è soprattutto eccezionale la lotta che ingaggia contro il testo di Novarina, una amorosa zuffa contro i timbri, i toni, i tempi, di continuo variamente atteggiati, del testo. All'invettiva s'alterna la nenia sonnolenta e rancorosa: ma ecco che scoppiano le elencazioni a mitraglia (cataloghi variopinti di alimenti, animali, oggetti d'uso, ma anche di im probabili cognomi) e l'attore vi caracolla sopra, come 11 cowboy sul torello impazzito, con un dominio dei suol mezzi respiratori che ha qualcosa di prodigioso. Pubblico sconcertato, poi avvinto, infine conquistato e grandi applausi. Guido Davico Bonino

Luoghi citati: Francia, Italia, Marcon, Roma