Il male oscuro di Amburgo

/7 male oscuro di Amburgo PRIMATI, CRISI E DIFFICILI SCOMMESSE SUL FUTURO /7 male oscuro di Amburgo Rimane tra le città più ricche d'Europa, ma porto, cantieri e raffinerie sono «in fase stagnante» - Perciò punta sui robot, sull'elettronica, sulla biotecnologia - Da questa svolta nascono il malessere e la protesta che hanno appena portato al crollo dei socialdemocratici e all'avanzata dei «verdi» - Ma è diffusa la certezza che guarirà DAL NOSTRO INVIATO AMBURGO — Dall'alto del campanile di Sankt-Michaelis il trombettiere suona due volle al giorno, mattina e sera. Da sempre, le sue note squillanti inquadrano le operose giornate del porto, separandole dalle notti altrettanto intense di Sankt-Paull, il luccicante quartiere del sesso. Il Michel, come lo chiamano gli amburghesi, è un campanile in forma di faro: come si conviene a questa città di marinai e armatori, a questa metropoli navale ululante di sirene a cento chilometri dal mare. Simbolo di Amburgo, il Michel, per indiscussa vocazione: ma è ancora un simbolo appropriato? Non serve forse meglio, a rappresentare la Medienstadt, la città della comunicazione, la snella altissima torre televisiva? Amburgo offre alle statistiche le cifre esemplari della società postindustriale. Un milione e seicentomila abitanti, tremila milionari (cioè gente che guadagna almeno un milione di marchi all'anno), e centomila disoccupati. E anche alcuni primati: è il porto più attivo della Germania, è la capitale tedesca dell'editoria (il gruppo Springer, ma non soltanto quello), è una fra le massime concentrazioni industriali del Paese: raffinerie, cantieri, elettronica. Qui si fanno aerei e sigarette, alta moda e giornali e naturalmente, da seicento anni, birra. Se il prodotto lordo prò capite della Repubblica federale è 100, quello di Amburgo è 180. Eppure c'è un disagio, un malessere, un male' oscuro che affligge questa città. Forse la definizione giusta l'ha azzeccata Die Zeit, uno fra i prodotti più sofisticati della Medienstadt. Sindrome di Buddenbrook, scrive il settimanale di Helmut Schmidt e Theo Sommer. Richiamo calzante: non solo ^erejié, Lubecea a vioin^ & perché le due città anseatiche lianno in- comune un bel pezzo di storia. Ma anche perché soffrono entrambe di questa indefinibile angoscia, l'opulenza che si fa decadenza, il malessere figlio del benessere. Certo il benessere è visibile in questa magnifica città di specchi d'acqua, di ponti, di canali, di parchi popolati di cervi. Di percorsi pedonali che scavalcano le strade, si addentrano nei palazzi, attraversano animatissime gallerie commerciali. Di panorami superbi, come quello che si ammira dalle rive del bacino esterno dell'Alster: con le torri e i campanili del vecchio centro che si rincorrono mutando posizioni e prospettive. Di strade come la Elbchaussee, o la Jungfernstieg, celebri in Germania per eleganza, o vitalità, non meno della Kurfuerstendamm di Burlino. ,-„v » Bótesté*e Visibile, an%M$ nelle fisionomie che affollano le stanze amburghesi del potere. Sono profili noti alla tradizione figurativa europea, sono i profili di quella nordica aristocrazia del denaro che la pittura tedesca, ma soprattutto fiamminga e olandese, ci ha mostrato nel suo secentesco splendore. Sono gli eredi delle grandi famiglie di banchieri, di armatori, oggi alle prese con il problema di adeguare le glorie del passato alle imperiose premesse del futuro. Perché l'altra Amburgo, l'Amburgo dei disoccupati e degli inquilini abusivi, è una sfida intollerabile per tutti. Da sempre gelosa dei suoi privilegi, questa città è anche uno Stato, una città-Stato, libera e anseatica secondo le antiche carte. E' uno dei dieci Laender che costitui¬ sp'fo scono la Repubblica federale di Germania. Il rinnovo del parlamento del Land è stato, 'fo*scars(f>fVDVÌé-. tfòùérnbfe-, la traduzione elettorale della sindrome di Buddenbrook. Il crollo verticale dei socialdemocratici, da sempre maggioranza in questo Stato metropolitano, in questo Land privo di elettorato rurale. E la trionfante avanzata degli alternativi, della protesta verde. Malessere, protesta, in una delle città più ricche d'Europa. Perette lo spirito del tempo, e le vincolanti condizioni dell'economia, hanno imposto quell'insieme di adeguamenti, quasi mai indolori, che va sotto il nome di riconversione. La necessità del cambiamento discende dal fatto che alcune fra le più importanti attività produttive di Amburgo, il porto, i cantieri e le raffinerie, sono entrate contemporaneamente, se non proprio in crisi. certo in una fase stagnante. Il risultato più appariscente: disoccupazione al 12.9 per cento, una volta e mezzo il dato federale, addirittura il doppio rispetto ai floridi Laender meridionali di Baden-Wuerttemberg e Baviera. Certo, il grande porto fluviale è ancora un'attività imponente, con ottantamila addetti e quindicimila navi che ogni anno risalgono l'estuario dell'Elba. Ma basta dare un'occhiata alla carta geografica per capire come mai Amburgo sia lontana alle spalle di Rotterdam, e perfino Anversa l'abbia superata. Basta constatare come l'Elba, pochi chilometri a monte della città, faccia da confine con l'altra Germania, per poi entrare in pieno socialismo reale: verso il Brandeburgo e la Sassonia. Rotterdam e Anversa sono direttamente collegate con il Reno e il bacino della Ruhr. cioè il cuore pulsante della Germania industriale. Amburgo, da sempre la porta sul Mare del Nord dell'Europa orientale, è stata privata del suo retroterra. Quanto ai cantieri, sono in crisi per i costi bassissimi della concorrenza asiatica. Le raffinerie, è la congiuntura petrolifera a farle girare al minimo. Città di agguerrite competenze, di talenti manageriali affinati da una tradizione secolare, da tempo Amburgo aveva fiutato il pericolo, si era messa al lavoro per scongiurarlo. E nel suo futuro si era profilata una svolta storicamente drammatica. La metropoli anseatica avrebbe voltato le spalle al mare. Non più investimenti nei cantieri senza commesse, o nel porto ormai più che dimensionato: Amburgo avrebbe impiegato diversamente le sue grandi risorse umane e materiali: puntando sulla robotica, sull'elettronica, sulla biotecnologia. Sulle frontiere più estreme del terziario avanzato. E'proprio questa svolta, in corso con massicci impieghi di capitale, all'origine del malessere di Amburgo. La storia insegna che non c'è rivoluzione industriale senza il corrispondente costo sociale. Non tutti a Amburgo erano preparati a pagarlo. Il borgomastro Klaus von Dohnanyi, che tutti chiamano il barone rosso per via della militanza socialista associata ai modi raffinati del gentiluomo, confidava nella perfetta razionalità dell'operazione, nella sua implicita carica persuasiva. Ma molti a Amburgo si sono fatti prendere dal nervosismo. La polizia per esempio. Le sue immotivate durezze sono state uno dei temi caldi della recente campagna elettorale. A giugno, una manifestazio- | ne antinucleare assediata per ore e ore in una piazza. A ottobre, alcune case occupate nel quartiere del porto letteralmente prese d'assalto dalla polizia: con feriti, arresti, e poi cortei di protesta e altri scontri. Di qui l'amaro circolo vizioso: protesta, repressione, violenza. Il malessere di Amburgo è temperato dalla consapevolezza, diffusissima, che la città è potenzialmente in grado di guarirne. Si tratta di orientare verso il futuro le stesse energie che trasformarono, nei secoli d'oro, l'antico borgo sassone in una potenza navale. Una sola cosa ci manca, il territorio, dice Guenter Danielmeyer, rettore dell'università tecnica di Harburg. Allude ai limiti fisici del Land, oltre i quali la programmazione implica l'intesa con i vicini, Schlesivig-Holstein e Bassa Sassonia. Ma non mancano i capitali, il materiale umano è di prim 'ordine, e cosi le strutture formative. Una intensa vita intellettuale offre uno sfondo favorevole alle rinnovate ambizioni della città. Nonostante la sindrome di Buddenbrook, Amburgo ha ereditato dalla sua storia una intelligenza concreta, die si esprime in una cultura avanzata e pragmatica. Per esempio in fatto di fisica d'avanguardia: ha sede a Amburgo il Dyse. il sincrotrone tedesco cui collaborano mille specialisti, con un bilancio annuale di cento milioni di marchi. Ma cultura a Amburgo significa anche la biblioteca universitaria ricca di due milioni di volumi, le vivaci attività artistiche e teatrali, la Staatsoper affidata a Rolf Liebermann. Contesa fra gli splendori del passato e la difficile scommessa del futuro, Amburgo vive cosi la sua inquieta stagione di cambiamento. Ma i simboli, i vecchi simboli dell'emporio dei mari, nessuno li discute. Il trombettiere del Michel non rinuncerà alle sue esibizioni dall'alto del faro. Anche se le banchine del porto non sono più affollate come una volta, ci sarà sempre un pubblico per lui. Se non altro la folla multinaeionale di Sankt-Pauli, il brulicante mercato dell'erotismo, la fiera del sesso che allinea i suoi richiami lungo la Reeperbahn. Sotto lo sguardo corrucciato di Otto von Bismarck, il gigante di bronzo che domina il quartiere dalle luci rosse, Amburgo registra qui un altro dei suoi primati. La tradizione postribolare del porto rivista in chiave di efficienza germanica, inserita di forza nella postindustriale città dei servizi. A|fredo Venturi Amburgo. Il ponte sull'I lini. La città vive un'inquieta stagione di cambiamento (Tel. Upi)