Rossi per ora resta: «La trattativa è interrotta»

Rossi per ora resta: «La trattativa è interrotta» Bloccata (o solo rinviata?) la cessione del Torino dopo rincontro di ieri con il gruppo Canavesio a Cascine Vica Rossi per ora resta: «La trattativa è interrotta» 11 presidente parla di «momento di riflessione» - Scuse ai tifosi, richiesta di partecipazione - «Chi vuole Francini deve ancora chiederlo a me» TORINO — Sergio Rossi, per ora, rimane il padrone del Torino. La awlatissima trattativa con 1 Canavesio, che ha tenuto con il fiato sospeso sia gli ambienti granata che quelli finanziari (nei quali i fratelli Cesare e Massimo sono personaggi emergenti), ha avuto uno stop ieri nelle prime ore del pomeriggio. «Scrira pure, il discorso con i Canavesio si è interrotto», ci ha detto 11 presidente granata due ore dopo l'ultimo colloquio con i possibili «compratori» del Torino, nella sala riunioni della sua nuova azienda, la Carlo Graziano s.p.a., in via Cumiana a Cascine Vica. Ad un tiro di schioppo c'è la PianelU & Traversa, dove in altre occasioni e in altri tempi andammo a parlare di programmi e ■di destini di una società storicamente tanto tormentata, ma anche tanto e visceralmente amata. Con accanto il figlio Marco, Sergio Rossi appariva teso, combattuto fra pensieri opposti, provato da un bracci^ di ferro che. forse, ora si pente di aver provocato. Intanto c'è la conferma, semmai necessaria, che il Torino almeno per alcuni giorni è stato «in vendita». Trattativa interrotta cosa vuol dire — gli abbiamo chiesto —, che può riprendere? « Forse, non so, ma tutto ora è più difficile*. 1 motivi della interruzione, allora, solo questione di prezzo o altro? »Il Torino lo posso anche regalare, ma se si parla di trattativa voglio che sia ben compreso guanto vale guesta società. E poi non c'è solo una mima. Ci sono le in tensioni da verificare». Gli occhi del presidente tradivano, crediamo di non sbagliarci, la soddisfazione di chi è sfuggito ad una trappola che si era preparato da solo. Resterà alla presidenza, allora? La voglia di lasciare si è sfumata in questi giorni di contatti? «Questo lo dice lei, io dico che da oggi per me si apre un periodo di riflessione». La sensazione è che il Torino Calcio resti in vendita, ma con la concreta speranza — di Sergio Rossi — che nessuno sia cosi convincente da farglielo cedere. Una situazione magari ambigua, da spiegare, «ilfi dispiace molto, adesso, di aver avuto quella reazione — ammette il presidente — in risposta alla contestazione ed agli insulti ricevuti alla fine della partita con la Roma. In realtà i tifosi, soprattutto quelli della Mara tona, sono gli unici a poter protestare se le cose in campo vanno storte. Altri non hanno invece nessun diritto di parlare. Quelli che non hanno il coraggio delle proprie opinioni, in questa città cortigiana' E Sergio Rossi fa capire meglio il perché della sua amarezza. •Pensi che ci sono dei soci-azionisti che sono rappresentati dalle loro fiduciarie. Come se si vergognassero di essere del Toro, non per questioni di tasse. Una vergogna. E poi la partecipazione concreta. Io non comprendo, certo, un dirigente come Nardi che portava miliardi a Farina restando nell'ombra, ma ci sono vie di mezzo, — Questione di soldi, allora, la sua permanenza alla guida del Torino? 'Soprattutto di partecipazione, di voglia di essere utili, di concretezza». — In realtà sembra lei a non desiderare partecipazione. In società c'è chi sostiene di non sentirla, o vederla, per mesi. • Mi piacerebbe ci mettessimo una volta alla settimana attorno ad un tavolo a discutere i problemi del club, consiglieri, vicepresidente e presidente. Ma si dovrebbe chiudere la porta a chiave, per evitare che qualcuno corra subito dall'allenatore o dai giocatori. Mi sono accorto che nel calcio ci vuole la dittatura dura alla Stalin, non quella morbida di Gorbaciov». — La sua, a molti, sembra in effetti una dittatura. • Storie. Se vado poco in sede e alle partite è anche a causa del mio lavoro, comprare la Graziano (nove aziende, 90 miliardi annui di fatturato, n.d.r.) non è stato lieve. E poi ho piena fiducia in chi lavora in società. L'amministratore delegato Luciano Nizzola più che un amico è un fratello, siamo in sintonia anche sema vederci. In Moggi ho piena fiducia. Lo stesso in Federico Bonetto ed in Matta, un mago della contabilità». — Erano queste persone che voleva fossero rispettate dai Canavesio? — •Certo, anche loro. E la squadra, ripeto. Per adesso questi rischi non li corro, sono ancora io il presidente. Chi vuole comperare Francini, o magari contattarlo in se¬ greto per offrirgli mega-ingaggi, deve vedersela con me». — Presidente, dica la verità. Si sente tradito dalle campagne acquisti-cessioni succesive al suo arrivo al Torino? Crede che sia stata sciupata parte dei suol miliardi? •All'inizio forse si, ma devo delle spiegazioni. Mi piaceva Giacomini, introverso e difficile, intriso di Proust e di Freud magari, ma bravissimo in campo. Non sono riuscito a trattenerlo, aveva già scelto altre strade prima del nostro colloquio. Ma proprio nelle due ore di discussione mi aveva consigliato Torrisi e Borghi. Gli ho creduto, ma non lo accuso. Sono convinto che, visto cosa aveva fatto con Bertoneri e Bonesso, avrebbe utilizzato al meglio anche Torrisi e Borghi. Questo per la precisione. Hernandez? A Linate ho detto io a Moggi e Bersellini, in partenza per la Spagna, che la campagna acquisti era chiusa, ma che se proprio trovavano un nuovo Sivori... Si vede che Menotti li ha ingan- nati, descrivendolo come un super». Solo l'inizio di un racconto postumo, ma non troppo, che ci ha dimostrato quanto in realtà Sergio Rossi abbia vissuto e viva il Torino. Ha fatto un ripasso di cento situazioni. E alla fine: «La nostra chiave è la forza dei giovani, il settore giovanile è all'avanguardia, Vatta e quel preparatore..., si quel Trucchi, sono bravissimi. E gli altri tecnici pure. E Junior. Fra i migliori giocatori ma soprattutto il miglior uomo del calcio d'oggi. Andrei con lui a comprare qualcuno in Brasile». Difficile credere, adesso, che un uomo capace di parlare in questo modo del Torino voglia disfarsene. Però restano i fatti, ha cercato di «venderlo» e lo ammette con quel «dica pure che la trattativa si è interrotta da poco». Non ha bisogno di soldi, ha iniziato una nuova avventura imprenditoriale. Lancia ancora una battuta, per farsi capire: •Nel mio lavoro non ho ritorni dal calcio, quel che ho fatto e dato al Toro non ha avuto altri motivi che la passione. Certo, se fabbricassi gelati non lo mollerei, mi servirebbe come veicolo pubblicitario». L'ultima difesa della trattativa appena sfumata, forse, da parte di un uomo difficile da capire sino In fondo. La nostra impressione è che sia stanco del calcio d'oggi, ma ancora pronto a sacrifici se l'atmosfera attorno a lui lo convincerà che ne vale ancora la pena. Ma l'abbiamo salutato con nelle orecchie quella parola «interrotta». Fino a prova contraria non vuol dire •finita». Bruno Perucca

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