Forster e il bacio galeotto di Stefano Reggiani

Forster e il bacio galeotto PRIME FILM: «Camera con vista» di Ivory con Helena Carter Forster e il bacio galeotto Erotismo estetizzante in «L'iniziazione» di Gianfranco Mingozzi con Serena Grandi che ha trovato la parte giusta - Un'educazione amorosa sullo sfondo della guerra CAMERA CON VISTA (A Room with a View) di James Ivory dal romanzo di E.M. Forster. Con Helena Bonham Carter, Denholm Elliott, Maggie Smith. Fotografia di Tony Fierce Roberts. Prodazione inglese a colori. Commedia. Cinema Adua 400 di Torino. Cinema Quirinetta di Roma. Cinema Adria di Milano. Una bella sfida per Ivory: tradurre in film il romanzo di Forster giudicato più adatto alle sue corde. Come quando si riteneva obbligatorio che Visconti traducesse Proust: Visconti non potè rispondere alla sfida, Ivory esce con onore dalla sua. «Camera con vista» è intelligente, è elegante, è ironico, anche se le dosi sembrano talvolta eccessive e tutto splende di un certo manierismo doppio (l'ironia sull'ironia, il manierismo sull'affettazione). Diceva Forster nelle sue lettere che «Camera con vista» era uno scherzo, una cosa da poco; faceva il civetto, ma sta di fatto che lasciò molto tempo tra la stesura della parte italiana e di quella inglese, come se non sapesse che fine assegnare ai suoi personaggi. Si riabilitò solo molto tempo dopo l'uscita del romanzo (datato 1908), quando scrisse un capitolo di fantaletteratura personale, per immaginare l'ulteriore sorte dei suoi eroi. I forsteriani ci assicurano che «Camera con vista» è quasi al livello dei capolavori «Passaggio in India» (tradotto in film da Lean) e «Casa Howard» e che una certa nostra impazienza di lettori è immotivata. (Effettivamente, per apprezzare la profondità di Lucy bisogna raggiungere alcune pagine della seconda parte). Tutto incomincia con un bacio importante sui colli di Firenze ad inizio secolo. Lucy, in gita turistico-mitica nella fiorentinità, scopre anche la forza dell'amore, che rompe le ipocrt sie perbenistiche. Dopo Firenze e dopo il bacio di George non sarà più lei e il formalismo molto inglese del suo ambiente le sembrerà intollerabile. Lei sposare un giulebboso connazionale? Lei che è stata a Firenze* Pet' fortuna .. arriva George e... Come sapete dalla mostra di Venezia, è assai brava la Bonham Carter con la grande spalla Maggie Smith. Le due, fanciulla beneducata e ricca e accompagnatrice sollecita e meno ricca, sono ospiti della famosa pensione anglicizzante che non ha potuto fornire la camera con vista sull'Arno. E'proprio a tavola, al primo incontro a pranzo, che il papà di George s'intromette con troppa disinvoltura: «Prendete la nostra, a noi fa lo stesso». Guardate la faccia tentata e offesa di Maggie Smith, una tutrice di classe. Firenze è intuita suggestivamente, come in una vecchia Foto Alinari macchiata di realtà (con un delitto in piazza della Signoria, molto mediterraneo e provocatore per gli occhi turbati di Lucy, per il rafforzarsi del suo carattere...). E' anche merito (colpa) di Lucy se gli inglesi, pure in patria, fanno così ridere. L'INIZIAZIONE di Gianfranco Mingozzi con Fabricc Josso, Serena Grandi, Claudine Anger. Fotografia di Luigi Verga. Produzione italofrancese a colori. Commedia erotica. Cinema Gioiello di Torino. Cinema Corallo di Milano. Quando si dice libertino, si presume un erotismo con un'aggiunta di intelligenza e di trasgressione, è meglio essere libertini che vecchi porcaccioni. E' il peso benefico della cultura francese e dell'illuminismo. Quando dico Apollinaire, grande poeta e a tempo perso erotista, mi rifaccio a un modello più recente, ma resto nei domini dell'intelligenza, sono protetto; come uno studioso che va a mettere il naso nell'enfer dei libri proibiti alla Nazionale di Parigi (liberalizzato da alcuni anni, ma importante retaggio storico). Per dire che Mingozzi, regista di grana assai fine (il suo film più recente, il sognante «La vela incantata») ha preso la via di Apollinaire per affrontare uno dei soggetti più morbidamente spigolosi della commedia erotica italiana nel suo rinnovato successo, la signora Grandi, che ha dimostrato finora la pienezza del petto, ma non sempre quella della recitazione. E' riuscito Mingozzi a impiegare a buon frutto l'esuberanza simpatica ma un po' bordellesca della Grandi? C'è riuscito, trovandole la piccola parte giusta. Mingozzi appartiene a quei registi che, alla prese con la rappresentazione erotica, ne preferiscono il lato estetizzante che non quello discretamente masturbatorio. Però il secondo lato rende di più sul mercato. Così il film naviga un po' tra due acque, si potrebbe anche dire tra il pubblico e l'autore, se non sapessimo il ricatto di partenza insito nella scommessa di Mingozzi. In un castello francese, alla vigilia della Grande Guerra, un ragazzo si sveglia all'amore nell'abbondanza. Sta ritornando dal collegio e già il petto generoso della contadina che guida il carro lo mette sull'avviso del clima che troverà: l'attesa della guerra, ma anche molte donne disposte a farlo uomo, un caldo ambiente anctìÉiref amiliare propizio a realizzare i sogni d'onnipotenza erotica propri d'ogni adolescente. Tuttavia bisogna che la guerra scoppi, che gli uomini cadano nella trappola della virilità guerriera (torneranno monchi, sciancati, cornuti) perché il ragazzo diciassettenne possa fare razzia. Prima è la cameriera Serena Grandi dagli amplessi allegri, seguono la seconda cameriera, listifutrice inglese, la zia troppo a lungo zitella, anche la sorella perché -les exploits d'un jeune Don Juan» abbiano sarcastica compiutezza. Tanto, al ritorno degli eroi, tutte le sedotte e incinte troveranno marito e le famiglie si ricomporranno lietamente in attesa d'un altro conflitto. La chiave erotico-pacifista è stata affidata ai due sceneggiatori di qualità che Mingozzi ha voluto con sé (o viceversa), Jean-Claude Carrière e Peter Fleischmann, già collaboratori in passato anche per film critìcoerotXci (-ha. dolcissima Dorothea»;. La regia non è mai corriva, anche se sensibile ai bisogni dell'ideale committenza, e magari può far nascere brividi misti, con quella guerra, quelle zie, quelle sorelle, come per un «Diavolo in corpo» riletto da Samperi. Ma la cadenza delle scene cruciali, una certa compassione rispettosa per le debolezze umane (la madre severa che di notte fa il teatrino amoroso per il marito) sono mingozziane. Stefano Reggiani