Radiografia di gruppo con feluche di Aldo Rizzo

Radiografia di gruppo con feluche AL VAGLIO DEL COMPUTER LA NASCITA DELLA DIPLOMAZIA ITALIANA Radiografia di gruppo con feluche Si può descrivere un processo storico-politico con il computer? E. d'altra parte, è ancora possibile avviare una ricerca storica senza disporre di tutta quella serie di dati e di rilevazioni, statistici e sociologici, ottenibili con la moderna informatica? Simili questioni si sono poste per il libro La formazione della diplomazia nazionale (18611915), edito dal Poligrafico dello Stato, un libro unico nel suo genere. Secondo lo storico Renzo De Felice, che fa parte del comitato scientifico che ha accompagnato la nascita del libro, l'Indagine statistica, pure in sé utilissima, lascia alla fine l'amaro in bocca, per la sua incapacità congenita di «scoprire l'anima- del suo oggetto. Diverso è il giudizio, o meglio l'ottica, di uno dei nostri maggiori diplomatici d'oggi, l'ambasciatore Luigi Vittorio Ferraris; pur con tutti 1 suoi limiti, la ricerca quantitativa e sociologica può contribuire, e grandemente, alla conoscenza qualitativa di un dato fenomeno: nel nostro caso, la gestione della politica estera. In realtà, ciò che Fabio Orassi (professore di storia contemporanea all'università di Lecce, già diplomatico lui stesso, autore d'importanti studi sull'età giolittiana e sul colonialismo italiano) ha inteso fare, con il suo gruppo di collaboratori e ricercatori, e relativo computer, è una «radiografia di gruppo» dei quadri diplomatici italiani, dagli albori dello Stato unitario fino alla prima guerra mondiale: cioè nel periodo decisivo per la formazione di un'amministrazione nazionale, per l'interno e per l'estero. E dal profluvio di dati e numeri emergono alcune indicazioni di grande interesse, anche dai punto di vista storiografico. Soprattutto si fa giustizia di una diffusa convinzione, che era diventata quasi un luogo comune: quella secondo cui la diplomazia italiana è stata, fin dalle origini, una sorta di club esclusivo, al quale si era ammessi per una serie di motivi (censo, influenza politica, tradizioni familiari, e cosi via), che spesso, o a volte, non avevano nulla che vedere col merito personale. Anzi, questo sarebbe stato vero soprattutto alle origini, e ne sarebbe ri'masto il segno fino ai nostri giorni. Ebbene, 1 dati raccolti ed elaborati dal gruppo di ricerca di Orassi dimostrano esattamente il contrario. Olà nell'età cavourriana. la diplomazia sardo-piemontese si apri progressivamente dal ceto aristocratico a quello borghese e delle professioni. La tendenza restò e si accentuò nel primo quindicennio dello Stato unitario- sia in senso sociale che in senso «geografico», cioè di una progressiva spiemontesizzazione» dei quadri diplomatici e consolari, a favore di funzionari provenienti da altre regioni italiane. Certo, non si poteva parlare per questo di «democratizzazione» (termine peraltro sfuggente, se non ambiguo, pensando magari all'uso che se ne è fatto in tempi recenti nei vari organismi amministrativi, e non solo amministrativi). Restavano fortemente minoritari, se non esclusi di fatto, i ceti meno abbienti. Ma questo, verosimilmente, accadeva per ragioni sociopolitiche generali, e non per una consapevole preclusione. E' curioso, piuttosto, che questo processo dì apertura e di modernizzazione della famosa «carriera» si sia arrestato, o rallentato, nel decennio della Sinistra. L'indagine statistica rivela che tra 111877 e il 1887 si registrò una «involuzione», sia dal punto di vista geografico che da quello sociale: minore afflusso di personale da regioni diverse dal nucleo storico piemontese, maggiore presenza di esponenti dell'aristocrazia. Da cui nasce un problemadi nuovo non più statisticosociologico, ma storico-politico: -volontà di compromesso della cìasse politica espressa dalla Sinistra- o -preoccupazioni di tipo burocratico-? In altre parole, «la diplomazia potrebbe aver reagito ai pericoli di un cambiamento non governato, chiudendosi a riccio con un reclutamento controcorrente-. La corrente riprenderà il sopravvento nel periodo giolittiano. durante il quale la sempre maggiore apertura della diplomazia ai ceti emergenti sarà il riflesso di un disegno più generale dello statista liberaldemocratico. Un disegno che riguardava l'Italia intera e che fu violentemente interrotto dalla Grande Guerra: il limite temporale davanti al quale si arresta anche questo libro. Dopo c'è il fascismo e, con la Repubblica, la faticosa rielaborazione di una politica estera nazionale. In tutto questo lungo arco di tempo. 1 diplomatici italiani sono stati anche a volte passivi o complici: ma, complessivamente, hanno rappresentato un punto dì riferimento per un'azione concreta, dì fronte a velleità disastrose o ad assenze clamorose di pensiero e di strategia della classe poli tica. Effetto dì una professionalità che ha resistito alle in temperie, perché viene da lontano, nonostante tutto. Aldo Rizzo

Persone citate: Fabio Orassi, Luigi Vittorio Ferraris, Renzo De Felice

Luoghi citati: Italia