Cara mamma, resto nel nido di Luciano Curino

Cara mamma, resto nel nido E' UN FENOMENO EUROPEO MA SOPRATTUTTO ITALIANO Cara mamma, resto nel nido Un figlio adulto (25-34 anni) su tre continua a vivere con i genitori - Anche se ha un lavoro -1 pareri degli esperti - «Una volta andarsene voleva dire la libertà, soprattutto sessuale, oggi si ha anche in casa» - Opportunismo: «Approfittano di strutture e vantaggi che altrimenti non potrebbero permettersi» - E i genitori? «Chiedo al giudice che cacci via mio figlio» • Ma molti sono contenti così DAL NOSTRO INVIATO MILANO — Figli già adulti che vivono con i genitori. E' sempre accaduto. Gesù, per fare un caso, a trent'anni stava ancora con la madre. Ma oggi accade più che nel passato. «Cresce il numero dei post-adolescenti europei che rimangono nel nido», è il titolo di un'inchiesta pubblicata qualche mese fa da Newsweek. Pare che in Italia cresca più che altrove. Nell'ultimo rapporto sulla situazione sociale del Paese curato dal Censis si afferma che il fenomeno, «per lo più inosservato, meriterebbe maggiore attenzione». Il sondaggio del Censis rivela che il 31 per cento degli intervistati tra i 25 e i 34 anni vive con la famiglia di origine. Dai dati non risulta ciò che sarebbe logico aspettarsi: che chi ha un lavoro se ne va, resta in casa il disoccupato. Il 54 per cento dei celibi e delle nubili rimasti con i genitori un lavoro ce l'hanno, la mattina escono e vanno in ufficio. Ansi, i i-figli stanziali' sono soprattutto quelli economicamente più fortunati: liberi professionisti o che comunque percepiscono un reddito dai 21 milioni in su. Il sondaggio parla genericamente di figli, sema specificare se maschi o femmine. A occhio e croce si direbbe che sono i maschi i più attaccati a questo status. rezza, di certezze definitive. La coppia va bene sul piano affettivo e sessuale, ma di fronte a un progetto di vita familiare, quindi anche impegnativo sul piano economico, organizzativo e culturale, ecco che c'è una forte resistenza, I giovani, poi, sono condizionati dalle esperienze degli altri, e l'alto numero di separazioni e divorzi scoraggia quelli che dovrebbero mettere su famiglia. Meglio a casa, protetti da mamma e papà». La disoccupazione giovanile e la crisi degli alloggi: «Non è che questi problemi non ci fossero vent'anni fa», dice Valseschini. «Certamente si sono aggravati. Ma non bastano per spiegare il fenomeno dei "famigliadipendenti" esteso nei ceti a reddito più elevato. Il fenomeno è reattivo al sessantottismo e alla contestazione dell'autorità». Per Rimini, già prima e anche un po' dopo il Sessantotto, «c'è stata una specie di grande diaspora, i figli volevano uscire giovanissimi di casa per vivere una esperienza di tipo libertario». Dice Abis: «L'uscita dalla famiglia aveva anche un forte significato ideologico. Nel senso che rappresentava la rottura con il rapporto di autorità Si sbatteva la porta per il dispotismo del padre, che imponeva i suoi principi, stile di '.'ita, orario dei pasti. Andarsene era un fatto, appunto, rivoluzionario: liberarsi di qualcosa». Erano gli anni delle comunità e delle coppie aperte. Uno degli slogan era «Famiglia addio» e il saggio di David Cooper La morte della famiglia era la bibbia di quell'epoca. Poi, dice Rimini, «in modo un po' vichiano, nel senso del corsi e ricorsi storici, è seguita la tendenza a non lasciare le comodità di una casa. Perché i giovani sono spesso grandi opportunisti Sono, conformisti, .anche: vent'anni fa se ne andavano perché sentivano ripetere che bisognava vivere auto nomamente. Adesso prevale l'opportunismo, e restano in famiglia, perché c'è tutta una struttura che loro mai potrebbero permettersi au tonomamente». Ci sono anche quelli che ritornano dopo aver cercato di vivere da soli. Christiane Collange, giornalista francese che nel libro Io, tua madre scrive dei post-adolescenti rimasti in famiglia, aggiunge «quelli, sempre più numerosi, che in seguito a una rottura della coppia o a un divorzio ridiventano celibi e ritornano al domicilio paterno. Soli o con un bambino. Provvisoria mente, di certo, ma per quanto tempo?». A bis definisce nuovi conservatori, nuovi tradizionali- sii, i figli ^prolungati; quelli cioè che restano a lungo sotto il tetto paterno. Ma, dice, sono profondamente cambiati anche i genitori: oggi molto più aperti e più permissivi. Dice Valseschini: «Non si spiega la permanenza dei figli nella casa di origine senza questa visione più tollerante del genitori. Una volta 11 ragazzo voleva la sua autonomia e libertà sessuale. La famiglia gliela negava. Lui non sognava altro che andarsene il più presto possibile. Finché si è arrivati a un compromesso». E' anche perché più nessuno pronuncia la fatidica frase «questa casa non è un albergo», che tanti figli restano a lungo domiciliati presso papà e mamma. Genitori che, soprattutto quelli della fascia di reddito alta e medio alta, non pretendono la divisione delle spese per il vitto e la pigione, neppure per luce, gas, telefono. Oppure si paga un mensile, ma anche in questo caso vivere sotto il tetto paterno costa assai meno che vivere altrove. Ci sono poi i vantaggi e le comodità acquisite. La salute tutelata e il sonno ben difeso. Non faccende casalinghe da sbrigare e la madre che libera anche da quotidiane e noiose perdite di tempo, fa le commissioni e la segretaria telefonica. Più nessuno che dica: «Non far tardi anche stanotte». Liberi di andare, venire, portare a casa amici. Nelle famiglie meno tradizionali, liberi anche di chiudersi in camera con il partner. •E' chiaro che per chi vive sotto il tetto paterno i costi sono minimi e i vantaggi massimi», dice Abis. C'è chi vede in questo non soltanto opportunismo, ma anche il timore di dover affrontare le responsabilità della vita. Valseschini è meno severo, dice': «In realtà, l'adulto rimasto nel nido si considera sotto l'ala, dei genitori per certi aspetti, ma si considera I anche .psicologicamente., del tutto indipendente. Secondo me le responsabilità se le prende. Non del tipo gestione domestica: è chiaro che non si lava i calzini come se li laverebbe se fosse solo. Però responsabilità esisten ziali le prende senz'altro». problema: ma io quasi quasi vado dal giudice perché dica a mio figlio che se ne vada tanto più che è maggiorenne e un lavoro ce l'ha». Per il settimanale americano Newsweek quello dei figli che rimangono nel nido è fenomeno europeo: è esatto? Risponde Valseschini: «Se europeo non so dire. Italiano probabilmente si. Molto meno nordamericano. Questa disponibilità psicologica di fronte alle manifestazioni dei figli che abbiamo noi, non è quella che si vede nel Canada e soprattutto negli Stati Uniti dove, parlo naturalmente per stereotipi, l'autorità dell'adulto è piuttosto dispotica. Questo, ritengo, per una certa cultura capitalista e puritana. Per sottrarsi al dispotismo, il figlio esce presto di casa». Qualunque sia l'ambiente sociale e il livello di vita, invece di rimanere aggrappati a una topografia domestica non è meglio andarsene di casa e prendere le strade della vita? Risponde Rimini: •Quando si tratta di figli perbene è un piacere tenerli con noi, ed è vere che non si vorrebbe lasciarli andare via. Che a un certo momento sia indispensabile che prendano le strade della vita è altrettanto vero. Rinunciare ai vantaggi e alle comodità per affrontare il piccolo bilancio, o il grande bilancio, da soli è segno di maturità e aiuta a crescere. E' meglio che i figli escano di casa e camminino con le loro gambe. E vengano spesso a cena da noi». Luciano Curino

Persone citate: Abis, Christiane Collange, David Cooper, Gesù

Luoghi citati: Canada, Italia, Milano, Rimini, Stati Uniti