Pajetta: il mio soggiorno alla corte di Kim II Sung di Paolo Mieli

Pajetta: il mìo soggiorno alla corte di Kim II Sung Pajetta: il mìo soggiorno alla corte di Kim II Sung ROMA — Giancarlo Pajetta è uno del pochissimi dirigenti del pei che ha conosciuto Kim II Sung. Lo incontrò, assieme a Enrico Berlinguer, nel 1980, In una lunga sosta a Pyongyang di ritorno da un viaggio in Cina. .Noi — ricorda Pajetta — abbiamo sempre avuto buoni rapporti coi comunisti coreani. Non c'è stato congresso del nostro o del loro partito in cui non fosse presente una delegasione ad alto livello. In quell'occasione ci colpì la stima che Kim II Sung manifestò per noi, quanto fosse informato sulla nostra politica e quanto appariva interessato alla nostra affermazione di una politica indipendente e di un internazionalismo che si fonda sulla difesa più chiara delle autonomie di ciascun partito». — Kim II Sung le diede l'impressione di considerarsi realmente equidistante tra Urss e Cina? — «SI, per lui l'equidistanza era qualcosa di voluto e considerato prezioso, quasi a fondamento generale di tutta la politica della Corea nel confronto degli altri Paesi socialisti. Tenne a ricordarci che le frequenti visite e le lunghe permanenze di Sianuk a Pyongyang non significavano, neppure per quel che riguardava l'Indocina e la lotta in corso in Cambogia, una scelta di campo.. — E all'inf uori di queste considerazioni? Non provaste imbarazzo alla corte di quel satrapo del comunismo orientale? — «Oltre a ciò di cui le ho parlato, era difficile troj vare tra noi punti di coinci- denzà, direi quasi di comune interesse. Kim II Sung era evidentemente fatto oggetto di un grande rispetto e pareva esser sicuro di un potere indiscusso che, del resto, dura da più di quarant'anni. Ai nostri occhi più d'una cerimonia, le visite a certi luoghi, l'iconografia ivi compresa la gigantesca statua dorata che troneggiava al centro della capitale, non potevano non portarci col pensiero a quello che tanti anni fa fu definito il culto della personalità. Ma al di là di que¬ sto, credo di poter dire che dalle conversazioni veniva escluso non soltanto per i problemi della politica estera ma anche per quella interna e per quella economica, la ricerca o l'importazione di un modello. Kim II Sung voleva marcare che si seguiva o si cercava una via coreana al socialismo. Si era fatto molto per la ricostruzione, l'industria era stata sviluppata a ritmi assai rapidi ma l'assai limitata circolazione automobilistica, lui la giustificava col fatto che un suo aumento avrebbe richiesto l'importazione di petrolio e ciò avrebbe rappresentato più che un problema valutario una qualche "dipendenza". A questo punto non potevamo non pensare che lontano, quasi dall'altra parte del mondo c'era un altro Paese che la guerra aveva lasciato diviso in due...». — La Germania orientale, la Repubblica democratica tedesca. — .Per favore usi la sigla Rdt che a me dà fastidio dire "democratica". Comunque sì, la Germania Orientale che aveva voluto essere una nazione e come tale esser riconosciuta dall'Onu. La Corea di Kim II Sung invece non volle quel riconoscimento, si considerava solo una parte del Paese e si poneva in modo quasi ossessivo il problema della riunificazione. Era questo uno degli argomenti che stava maggiormente a cuore dei nostri interlocutori; anche se non riusciva per noi facile intendere come pensassero realmente di poter raggiungere quell'obbiettivo». —-Parlaste della guerra di Corea? — .Mai esplicitamente. Ma ci colpì il lóro voler quasi cancellare il ricordo del conflitto che pure tanto era costato al Paese. Comunque le loro proposte non ci sembravano tali (e del resto gli anni successivi lo hanno dimostrato) da rendere realistica un'unità che coinvolgesse le istituzioni del Nord e del Sud». — Onorevole Pajetta, son passati trentasei anni da quando scoppiò la guerra di Corea. Lei è disposto a riconoscere che tutto ebbe inizio da un'aggressione di Kim II Song che aiutato dai cinesi invase il Sud del Paese? — .Questo proprio non 10 saprei dire. Quel conflitto fu una conseguenza dell'inasprirsi della guerra fredda. Le ulteriori vicende, 11 fatto che gli americani cercarono di raggiungere il fiume Yalu (ai confini con la Cina ndr.), l'intervento cinese, rendono ancora assai ardua la comprensione delle stesse origini del conflitto. Voglio dire che prima gli uni e poi gli altri pensarono che poteva esserci l'unificazione attraverso una vittoria militare e perciò ancora oggi non è facile tirar le conclusioni su quella guerra. Almeno per me». — Lei ha ricordato la statua dorata di Kim II Sung. Ha parlato di culto della personalità. E 1 pellegrinaggi a Mankyeungdai, paese natale di Kim II Sung, dove centinaia di migliaia di pellegrini nordcoreani vanno a inginocchiarsi davanti all'albero sotto il quale il leader giocava da piccolo? GII omaggi che su tutti I giornali si rendono ai parenti del dittatore fino ai bisnonni e agli zii di secondo grado? Il grande museo di cento stanze pieno zeppo di suol ritratti e cimeli? La diffusione all'estero di milioni di copie delle sue «opere»? E, soprattutto, la designazione del figlio Kim Jong come successore? Le pare che un Paese cosi, si possa definire socialista? — .Lei sa quanto è intrinsecamente legata la forma repubblicana alla democrazia. E allora io le domando: può una monarchia esser definita democratica? 10 dico di sì. Questo vale anche per il socialismo. Io considero socialista la Corea del Nord perché è un Paese dove non c'è più la proprietà capitalistica. Così come consideravo socialista anche la Cina della Rivoluzione culturale con la quale i nostri rapporti erano assai polemici. Ovviamente non pensiamo che 11 socialismo nel nostro Paese possa avere qualcosa in comune con la Corea di Kim II Sung». Paolo Mieli