Da Paestum un'ondata di purezza di Francesco Vincitorio

Da Paestum un'ondata di purezza COSI' I SUOI TEMPLI DORICI ISPIRARONO L'ARTE: UNA MOSTRA A ROMA Da Paestum un'ondata di purezza ROMA — Al Museo di Palazzo Braserà, fino al 23 novembre, un'esposizione che, all'Inizio dell'anno, a New York, ha ottenuto lusinghieri consensi. Dedicata a «La fortuna di Paestum», ossia al •revival dorico» che caratterizzò i decenni tra il 1750 e il 1830, dopo l'esordio newyorchese aveva fatto una significativa tappa, quest'estate, nella Certosa di Padula in Campania. Cioè non lontano dal luogo su cui sorgono i templi dorici di Paestum. Monumenti oggi famosi ma per secoli negletti, la cui scoperta», a metà del '700, fu appunto all'origine di un movimento culturale che investi l'intera Europa e persino l'America. Un fenomeno complesso che. In genere, nel suo Insieme, viene definito «età neoclassica». Della quale il «revival dorico» è forse una delle pagine più seducenti. Certamente quella, almeno agli inizi, più chiaramente leggibile, proprio grazie alla colonna dorica «scoperta» a Paestum, che fu il fulcro non soltanto della nuova architettura, bensì della stessa ideologia che contraddistinse quel periodo. Una vicenda,. ripeto, affascinante, che la mostra, ideata e realizzata con parecchi collaboratori da Joselita Raspi Serra dell'Università di Salerno, ripercorre mediante quadri, disegni, progetti, stampe e documenti vari A proposito di quella «scoperta», va subito detto che in realtà gli antichi templi di Paestum erano già noti e, a quel tempo, solo non ancora sufficientemente compresi Per lo meno fino a quando, esattamente nel 1750, l'architetto francese Soufflot non incominciò a studiarli. Seguito da altri «viaggiatori», fra cui primeggiarono, per intelligenza critica, il Wlnclcel mann, fondatore della moderna storia dell'arte, e il nostro Plranesi. Con lieve forzatura cronologica (quest'ultimo andò a Paestum circa 30 anni dopo Soufflot) la-mostra incomincia appunto col Plranesi. Il primo emozionante Incontro è con la serie delle sue 21 incisioni dedicate al templi. Le quali, più di qualsiasi altra immagine o testo, contribuirono a diffondere In Europa la conoscenza dell'antica Pcsidonia di cui aveva parlato Strabene e del nuovo «verbo» dorico. Da lui proposto, tramite la sua Inimitabile arte (ed è prezioso documento delle Intricate relazioni tra neoclassicismo e nascente romanticismo) non come pedissequa imitazione dei modelli antichi, bensì come guida o, meglio, come spunto per nuove libertà Inventive. Scrisse infatti: «Un artefice, che vuol farsi credito, è nome, non dee contentarsi di essere un fedele copista degli antichi, ma sii le costoro opere studiando, mostrar dee altresì un genio inventore, e quasi dissi creatore». In sostanza sono concetti non molto dissimili da quelli propugnati da Goethe, anche lui, dopo un primo momento di sconcerto, stregato da quei templi. Da fargli scrivere : «£' l'ultima e vorrei dire la più splendida idea che porto interamente con me al Nord». Parole, sia quelle di Piranesi che di Ooèthe, che indicano le linee direttrici lungo le quali si mosse la «fortuna di Paestum». Ricorda giustamente Argan nell'introduzione al catalogo, edito dal Centro Di, che quasi subito l'attenzione si rivolse soprattutto ai rapporti tra la «nuda» architettura greca e quella «ornata» dei romani. Con l'esaltazione, da parte del Wlnckelmann, della «nobile semplicità e quieta grandiosità» della prima. E, Immediatamente dopo, con il diffondersi di quel sentimenti di «verità e purezza», Ispl- rati da Paestum e postulati dal pittore Inglese Flaxman e dai cosiddetti •architetti della rivoluzione francese», Boullée e Ledoux. Una prepotente. lunga ondata che coinvolse molti degli spiriti migliori del tempo. E che farà della colonna dorica, solidamente piantata a terra, scanalata o liscia, una specie di simbolo. Perfetta espressione di forza primigenia, austera moralità e severa razionalità. Non per niente costituirà lo sfondo del Giuramento degli Orasi e Curiosi del pittore David, considerato il manifesto dell'Idealità neo-classica. E, in pratica, il perno, il cuore di una miriade di costruzioni e progetti Edifici di culto 0 celebrativi; istituzioni come biblioteche, banche, ospedali, arsenali, bagni pubblici e prigioni: palazzi e case private, grandi e piccole, In città o In campagna. Però, via via, col passare degli anni e il venir meno della tensione che aveva avuto il suo culmine nel breve tempo a cavallo tra '700 e '800, si nota un progressivo affievolirsi del rigore iniziale. E poi il trasformarsi In un gusto, in uno stile. Specie in Francia e In Gran Bretagna dove, sia pure con caratteristiche differenti, ogni ricerca fu, oltre tutto, presto contaminata da altre idee e influenze. Come dimostrano, ad esemplo, i graziosi padiglioni per la decorazione dei giardini del f rancesa Motte o 1 geniali, eclettici fogli acquarellati del maggiore architetto inglese del tempo, sir John Soane. Seni» parlare della Germania, della Scandinavia o dell'Irlanda oppure della Russia e del Nord America. Valgano, per rimanere agli esempi presentati dalla mostra e a queste due ultime nazioni 11 progetto, del 1812 per la Piazza Rossa di Mosca del Bovet e quello del terzo Presidente degli Stati Uniti, nonché intentissimo architetto, Thomas Jefferson, per la sua dimora In Virginia. Essi mettono bene In evidenza i complicati rapporti, rispettivamente, con il neoclassicismo di matrice palladiana diffuso a Pietroburgo soprattutto dagli italiani e con-il greeck revival che furoreggiava invece, si pensi ai vari «Campidogli», oltre Oceano. In Italia, per l'eredità del Rinascimento che divenne, al tempo stesso, substrato e conferma di ogni ritorno classicista, 11 fenomeno assunse connotazioni particolari. Peraltro finora scandagliate soltanto attraverso lo studio di alcune sue personalità di rilievo. Come l'Antollnl, progettista del Foro Bonaparte, il Vàladier, autore di Piazza del Popolo e della sistemazione del Pincio a Roma, gli emiliani Tomba, Giani. Pistocchi e pochi altri. Figure sicuramente Influenzate dall'alloro egemone cultura francese ma, senza dubbio, rivelatrici di una declinazione italiana del «revival dorico» che meriterebbe di essere approfondita nel suo complesso. Magari partendo da questa esposizione che, fra gli altri meriti ha appunto quello, più che di concludere, di aprire problemi Non ultimo quello segnalato da Dleter Mertens, sempre nel catalogo, riguardante una migliore conoscenza e lettura degli stessi templi di Paestum. Conoscenza che, secondo questo studioso, forse potrebbe riservare ulteriori sorprese. Specie se facilitata ua un loro •adeguato e responsabile restauro e, per ottante possibile, ripristino». In fondo, le mostre servono anche a questo. Francesco Vincitorio Felice Giani; «Interno di un tempio» (1798, particolare)