Una guida nella vita di Gianni Vattimo

Unaffliida nella vita FILOSOFIA E «PROBLEMI DI TUTTI» Unaffliida nella vita Che cosa ci aspettiamo dalla chiarificazione filosofica dei problemi morali? Una domanda che si può lécitamente potrc, in. un momento in cui, da molti segni, sembra che l'interesse per la filosofia sia largamente condiviso, anche fuori dalla cerchia degli specialisti. E' abbastanza giustificato supporre che cjuesto interesse, se c'è, guardi alla filosofia come a una forma di sapere che discute e, forse, aiuta a risolvere quelli che Dewey chiamava i «problemi di tutti»; dunque i problemi della morale e del significato della vita. E' però vero che la filosofia, se da un lato suscita queste aspettative, dall'altro le delude: se dovessimo indicare un trattato filosofico contemporaneo che possa servire per l'educazione morale di un adolescente, saremmo in forte imbarazzo. Non ci sono «manuali» filosofici di etica; e ciò non solo per la buona ragione che la filosofia, anche quando discute di questioni morali, non fornisce per lo più soluzioni precise. Se pensassimo, per esempio, di far leggere al nostro adolescente un libro come i Minima, moralia di Adorno, o certi scritti di Sartre, di Merleau-Ponty, di Lévinas, che a buon diritto si possono chiamare libri di-filosofia morale, difficilmente vi troverebbe precetti; norme, indicazioni su come comportarsi. Tutto questo sembra legato a una tendenza comune alla filosofia europea «continentale», cioè alla filosofia che si richiama prevalentemente all'eredità dei grandi sistemi storicistici dell'Ottocento, e che si usa contrappone al filone «analitico» che domina.il pensiero anglosàssone, più legato al modello di rigore, di sobrietà, di argomcntadvità, rappresentato dalle scienze. E' forse soprattutto nella filosofia europea continentale che la riflessione morale tende ad allargarsi in grandi analisi critiche di tipo storico o sociologico (come nel caso di lAdorno e delloV;hégèlb^màndm riflcMÌoni^sul^spe; riero», interiore ..i(ccme-.molta letteratura filosofica di stampo spiritualistico o esistenzialistico o fenomenologico: da Bergson a Husserl, a Sartre). Che cosa ha da offrire, invece, il pensiero analitico anglosassone? La recente edizione italiana del bel libro di Thomas Nagel, Quattóni morali (edito dal Saggiatore, con presentazione di Salvatore Veca), è una buona occasione per porsi questa domanda. Nagel ha tutti i titoli per rappresentare autorevolmente la tradizione analitica di cui è un esponente di rilievo; è stato professore a Princeton e ora insegna in una grande università: newyorkese. Il libro affronta una serie di problemi morali — il senso della morte, la liceità della guerra e i limiti della violenza, il significato dell'eguaglianza, il rapporto tra etica e politica — cercando di darne una discussione insieme rigorosa e piena di specifici contenuti normativi. Ili altre parole, almeno per lo stile e l'immediatezza dell'approccio a interrogativi precisi, sembta rappresentare un buon esempio di come la filosofia può soddisfare le aspettative'cQ chi vi cerca una guida per le proprie scelte etiche. A una lettura attenta, tuttavia, il libro si rivela meno «diverso» — rispetto ai modelli continentali — di quanto non appaia a prima vista. ?.* * Anzitutto, le argomentazioni di Nagel sui singoli proble mi affrontati — per esempio nel lungo capitolo su Guerra e massacro (scritto negli anni del Vietnam) non mirano a riportarsi a aiteri ultimi che vengano rigorosamente dimostrati; esse risalgono invece a una serie di criteri che, in una . riflessione sulla coscienza comune, appaiono di fatto largamente, o generalmente, condivisi. Come dire che la filosofìa qui non ci fornisce la via per far derivare le nostre scelte da evidenze prime assolutamele certe; essa, conformemente all'orientamento del pensiero analitico, si limita a farci vedere con più chiarezza i principi che, di fatto, ispitano, più c meno implicitamente e confo samen te, le nostre scelte, e giudizi morali correnti nella società. Uno dei aiteri morali che, di fatto, sembrano essere generalmente accettati (come base dmsqmsg—ccpbpfs(dbmgntivdgammlHdcossunndstsdcctfitcscmmpud6tssdp dei giudizi e non necessariamente dei comportamenti) sembra essere, per Nagel, quello della «reciprocità argomentativa»: un'azione, per essere morale, deve poter essere giustificata di fronte agli altri —i anche quando (com'è il caso della guerra) sia rivolta contro di loro — con ragioni plausibili. * * Si può spiegare a un bambino che il dolore che gli si provoca disinfettandogli una ferita è «per il suo bene»; e persino, dice Nagel, giustificarsi (idealmente) di fronte al soldato nemico che si colpisce in battaglia con il semplice argomento «o tu o io». Ma una argomentazione di questo tipo non è mai possibile quando si tortura o si bombardano civili inermi: non si può dire alle vittime di Hiroshima: «Capite, dobbiamo incenerirvi per dare al governo giapponese un motivo per arrendersi». Accanto a questo aiterio morale della reciprocità (che è molto popolare anche tra i filosofi continentali: pensiamo a Habermas) Nagel ne indivi' dua molti altri: la persuasione che si debbono rispettare le obbligazioni liberamente assunte; o quella secondo cui ci sono diritti essenziali di ogni uomo (quali che siano) che non possono essere violati da nessuna azione; o l'idea che, al di là di ciò che è utile, vi sono valori «finali» che meritano di essere cercati per se stessi (la bellezza di un'opera d'arte o una scoperta scientifica priva di conseguenze pratiche). Questi e altri simili criteri di scelta morale — che la filosofia non dimostra, ma che trova analizzando la coscienza comune — non sempre si lasciano riportare' a una gerarchia unica. - Può darsi che non vi sia modo di scegliere razionalmente se impiegare il denaro pubblico per l'esecuzione di un'opera musicale o per scopi di utilità comune, come scuole 6;óip^ali:^rfattb è che il tìAA terijo; dei vafory|oali (e iriùti- si lascia coordinare, in un sistema superiore, con quello dei valori utilitari. La filosofia può aiutare a risolvere .contraddizioni interne a singoli sistemi di valore, a chiarirci le idee, insomma; ma talvolta si nova di fronte à conflitti irriducibili, che si limita a riconoscere. Vuol dire con ciò che la sua funzione aitica viene meno? Non necessariamente. Il fatto è che, proprio considerando questa irriducibile molteplicità delle sfere di valore, Nagel trova che fra teoria morale e pratica non vi è un rapporto di semplice «tra¬ duzione», come se i principi teorici dovessero solo essere applicati. La teoria non risolve tutto; una parte essenziale spetta al giudizio, nel senso di prudenza, giudizio:,'.tà, capacità di valutare il caso singolo. Se però è cosi, anche per .'«sinaitico» Nagel la funzione della riflessione morale non è quella di raggiungere conclusioni stringenti; ma piuttosto di «preparare» il soggetto a decidere — in modo in fondo imprevedibile — nei casi singoli,- fornendogli esempi, conoscenze più dettagliate e fini, ma mai norme definitive. Questo, però, non è poi molto diverso da ciò che-fa la filosofia morale continentale, con i suoi discorsi meno metodici, più generalizzanti e vaghi; una funzione, in definitiva, retorica e' edificante, nel senso migliore di questi termini. E' forse vero che, con la sua ineliminabile inventività, l'etica ha molto più da fare con l'arte che con (ciò che si è creduto che fosse) la scienza. Gianni Vattimo

Luoghi citati: Hiroshima, Vietnam