Dal caffè fiorentino un treno per Parigi

Dal caffè fiorentino un treno per Parigi OLTRE CENTO QUADRI DI MACCHIATOLI IN UNA MOSTRA TORINESE Dal caffè fiorentino un treno per Parigi TORINO — Già nel 1926 la Società di Belle Arti «Antonio Fontanesi» presieduta da Casorati aveva organizzato un'esposizione di opere di macchiatoli toscani e di un gruppo di paesisti piemontesi dell'800. Ed è curioso come, a sessantanni di distanza, per una coincidenza che potrà far pensare a qualche vichiano ricorso storico, due rassegne, a pochi mesi di distanza l'una dall'altra, abbiano finito col riproporne l'accostamento. In giugno, al Valentino, Fontanesi e una cinquantina di Subalpini, «da Bagetti a Reycenda appunto, documentavano il respiro d'una loro partecipe cultura europea. Sono ora di turno, visitatissimi, i Toscani che da Signorini a Zandomeneghi (compresi dunque, gli amici forestieri che li avevano frequentati), schierati attorno a Fattori, attestano la schietta, sprovincializzata «poesia» degli antiaccademici cultori della «macchia»; ed ancor più, forse, tendono a mettere in risalto i molteplici tegami artistici e culturali emersi tra Firenze e Parigi ed adombrati nel titolo della mostra «Dal Caffè Michelangelo al Caffè Nouvelle Athènes», frequentato, quest'ultimo, come si sa, da Manet, Degas, Pissarro che ne avevano fatto uno •dei centri dell'avanguardia pittorica europea. Curata da un esperto tra i più noti qua! è Piero Dini,la rassegna, che rimarrà aperta sino a tutto novembre, con i suoi 171 dipinti, ampiamente illustrati anche nel catalogo edito da Umberto Allemandi, ne comprende di notissimi ed altri mai esposti in Italia dal secolo scorso, qualche pezzo stranamente dimesso, ma accanto il prestigioso prestito museale ed alcuni autentici capolavori. La prima opera che s'incontra nella rassegna, nonostante la sua data più tarda, è il grande acquerello caricaturale in cui Adriano Cedoni raffigurò proprio /( Caffè Michelangelo di Firenze dove, fra il 1835 e il '67, erano soliti rivirarsi quei pittori che ricorrendo alla «macchia» avevano inteso rendere visivamente, come diceva Fattori, «l'impressione del veroni anche se sarebbe stata cosa ben diversa dall'Impres¬ sionismo francese. Il nome «macchiatoli» era stato invece usato per la prima volta nei 1862 dal critico della fiorentina Gazzetta dal Popolo, ovviamente in senso negativo. Alludeva infatti alle macchie di colore che, nella sommarietà tipica d'un bozzetto, portavano alia rinuncia dei coatomi meglio definiti, per raggiungere invece un effetto tonale, dove luci e ombre colorate si contrapponevano come in certe ben timbrate cromie di vivaci silhouette figurali. Il termine ritornava tuttavia, usato positivamente, negli scritti di Telemaco Signorini, che anche come pittore puntava sulla lu¬ minosità della resa atmosferica semplificando l'immagine paesistica sino a farne non più d'un dato essenziale. L'esposizione, che soltanto qualche sala più avanti ricupera la figura del romano Nino Costa — «il papà della macchia», come venne pisr definito (ed è beu nota la lettera con cui Fattori non mancò di rico nosccrgli il suo stesso debito) — prende quindi avvio dalla celebre Passeggiata al Muro Torto dipinta a Roma nel 1852 dal Puccinelli, un accademico che con geniale sensibilità ha saputo precorrere le aspirazioni macchiatole, legate spesso ai paesaggi di Castiglionceilo e di Per gemina. Quéste ebbero poi degli interpreti validissimi in Serafino De Tivoli come nel Cabianca de L'ombrellino, nel pisano Borrani (convertito al «vero» dal Signorini) e nel pesarese D'Ancona. Son però da ricordarsi anche l'Abbati dalle più pure ispirazioni paesistiche (mirabilmente ritratto da Boldini) e l'austero Semesi che fin dal '60 operarono a Firenze dove vennero poi raggiunti dal Lega e, nel '62, da Boldini e Zandomeneghi che col barattano De Nittis divennero i protagonisti, e quasi gli ambasciatori, dell'Ottocento tòscoitaliano a Parigi. La «macchia», la cui stagione può dirsi chiusa col 1870, non fu tuttavia che il breve momento d'un certo tipo di ricerca che in Fattori ebbe oltre tutto connotazioni particolari, ben connesse col singolare suo intuito di pittore dotato di grandi qualità, tra sensibilità e intelligenza, presenti in non pochi autentici suoi capolavori, nel paesaggio anche contadino come in numerosi soggetti militari. Per originalità ed espressività di forme si distinguono ancora in particolar modo Signorini, con la luminosa, preziosa freschezza del suo lavoro dal vero, e Zandomeneghi, giunto ultimo a Parigi nel 74, ma in tempo per lasciarvi il segno d'una partecipe presenza accanto agli Impressionisti con i quali espose, persino anticipando, come nel Moulin de la Galene del *78, temi e modi più tardi'cari allo stesso Toulouse-Lautrec. Angelo Dragone Giovarmi Boldini. «La conversazione a! catte», olio (particolare). (Collezione privata, Milano)