RITORNA (86 ANNI) UN PROFETA «INATTUALE»

• T IO RITORNA (86 ANNI) UN PROFETA «INATTUALE» • T IO Quando Julien Green ha pubblicato il suo primo libro — uh Pamphlet cantre les catholiques de Prance intriso del fervore e dell'intransigenza del convcrtito — Valéry cominciava a raccogliere i suoi saggi nel primo volume di Variété, Gide si preparava a dare alla stampa / falsari e Claudel portava a compimento la laboriosa redazione del Soulier de satin. Solo pochi fortunati avevano potuto leggere l'Ulisse di Joyce, uscito da poco e subito bersagliato dalla censura; di Kafka, morto proprio quell'anno, nessuno aveva ancora sentito parlare; il Manifesto del Surrealismo cominciava appena a mettere a rumore il mondo letterario e artistico francese. Nel '26, il debutto dello scrittore franco-americano nel romanzo con Mont-Gnère veniva salutato calorosamente («Coraggio Green.' Il suo libro è buono») da Bernanos; Adrìennt Mesurat (1927) e Leviatan (1929) gli valevano l'amicizia di Mauriac e di Maritain. In quegli anni, Beckett faceva ancora il lettore d'inglese all'Ecole Normale, Camus, grazie a una bórsa di studio, poteva frequentare il liceo.di Algeri, Sartre si stava preparando all'aggrégation in filosofìa e Nathalie Sarraute sembrava avviata a una brillante carriera di avvocato. Sono passati sessantanni. Si sono succedute, e non solo in letteratura, metamorfosi, fratture e rivoluzioni, e ogni volta l'attualità si è sentita in dovere di precedere a una frettolosa distribuzione delle parti tra i protagonisti,, i comprìmati e le comparse. Green, che alla prima aveva rifiutato quella di «scrittore cattolico», dalle successive è stato regolarmente ignorato, e in tutte le sistemazioni storiografiche del Novecento letterario che sono state via via tentate figura, magari con tutti gli onori, nel capitolo degli «isolati», dei «refrattari», degli «attardati». ... p« »• .^&A*sm.f- mano che il secolo si avvicina «fewa conclv»pj»e,5-prendé le distanze dalla stona delle passioni che hanno animato la sua cronaca, si avverte la provvisorietà e la sostanziale inesattezza di quelle sistemazioni, e lo stesso criterio dell'inattualità che aveva decretato polemiche esclusioni appare capace, alla lunga, di favorire definitive riabilitazioni. Inattuale Green indubbiamente lo è stato, ma nel senso che non si è mai curato di scuole, di fazioni o di mode, ha scritto romanzi senza mettere in discussione la natura e le regole del romanzo, ha sondato sempre e soltanto i temi che gli erano congeniali in primis quello dell'ossessione puritana della carne che un'età di lassismo dilagante ha prevalentemente eluso o deriso —, si è ispirato a pochi e lontani maestri (Poe, Hawthorne, Baudelaire), ha abbandonato il romanzo d'impianto realistico solo per sviluppare la componente visionaria che vi restava sopita e sacrificata e si è poi affidato al diario e, dopo una parentesi di teatro, all'autobiografia per poter aggredire da più versanti la stessa, inafferrabile realtà interiore. Più che di inattualità,, si trattava di fedeltà alla propria ispirazione e di rigorosa coerenza, e la prova e che oggi Green — che non a caso è l'unico contemporaneo ad avere tutta la propria opera pubblicata nella «Plèiade» — può indifferentemente continuare a tenere il suo diario (l'ultimo y—i n volume pubblicato, il tredicesimo, si riferisce agli anni 1978-81) e dar corpo a una biografia di San Francesco lungamente meditata oppure affrontare il giudizio dei lettori di Tournier, di Perec e di Toussaint con le novelle che aveva scritto tra il '21 e il '32 (Histoire de, vertìge) e, qui da noi, nella bella e ancor fresca traduzione che Vittorio Sereni aveva preparato per un'edizione dell'immediato dopoguerra, con uno dei suoi romanzi inaugurali qual è Leviatan (con un saggio di Walter Benjamin, ed. Longanesi). Come tutti gli altri suoi libri, anche questo romanzo si poneva a un livello di attualità "<ù profondo di quello che si i soliti cogliere-e considerare cóme tale: malgrado rne^iVotìfcili ' im&Wtòlìfc casserò in un villaggio francese nei primi.anni del secolo, la vicenda di Leviatan sembrava appartenere a ogni tempo e a ogni paese. La noia greve di esistenze frustrate, la grettezza, la malvagità, l'invidia, la sensualità mortificata vi potevano anche assumere i connotati di •una realtà contadina e provinciale, ma era chiaro che a scatenare la passione omicida del precettore Guéret e la sadica follia della signora Grosgeotge, a travolgere l'infelice lavandaia Angele e un malcapi tato viandante, a tenere faticosamente in piedi prima e a squassare poi di schianto il misero impero della signora Londe era la parte d'ombra che ciascuno di noi si porta dentro fin dalla nascita e di cui, fino alla morte, dovrà temete gli inconsulti, imprevedibili risvegli. Era il mondo di Balzac illuminato dalla luce di Pascal II titolo del romanzo era del resto abbastanza esplicito, e lo stesso Green ammoniva che «non sono certo le descrizioni delle ciminiere delle fabbriche, né qualche donna con i capelli corti a far sì che un libro sia, ad esempio, del 1928; ma piuttosto il sentimento profondo die anima questo libro, la sua inquietudine, il suo bisogno di ribellione». Ma come accettare che il senti mento profondo fosse quello della noia esistenziale, l'inquietudine quella di una sensualità inconfessata, spesso inconsapevole (e sempre descritta con la massima, elusiva castigatezza) e che la ribellione non si manifestasse contro un ambiente, una condizione, una società, ma in un'esplosione di tragicità pura, contro la stessa esistenza? A questo livello di assolutezza metafisica si traducevano in passioni, in gesti, in sentimenti concreti gli elementi costitutivi della spiritualità dello scrittore: la demonizzazione del corpo e della sessualità inculcatagli da una madre troppo amorosa, il sogno di un impossibile angelismo, di un affrancamento dell'amore dal desiderio, maturato alla scoperta delle proprie inclinazioni sessuali, il senso atroce di claustrazione, di esistenza murata, senza possibilità di comunicazione, a cui un estraneo apporta, con la speranza della salvezza, la definitiva maledizione. E* in questo senso che Green ha potuto dichiarare: «In Leviatan sono io tutti i personaggi»; ma è in uno di essi in particolare, nd\'«uomo venuto da altrove» che si dibatte contro un'inesorabile emargi nazione e al tempo stesso appare circonfuso del fascino del liberatore, che la critica lo ha voluto riconoscere vedendo, modulata in tutte le possibili risonanze, la situazione del giovane che il rigorismo morale e il calore protettivo della 'famiglia harmo-aoppo-a lungo tenuto lontano dalle .miserie del mlòj^^V^ò'rattbre dalla doppia nazionalità e dalla doppia lingua che nella prosa francese ha portato un poco della concretezza e del dry humour anglosassoni, del protestante infine, che è approdato, ma con crisi, distacchi c ritorni, alle rive del cattolicesimo. Il lettore di oggi non stenterà a verificare — in questo come negli altri suoi libri che l'editore promette di far seguire — sia l'una che l'altra suggestione. Se poi, deformato nelle maschere dei personaggi, riconoscerà, oltre che l'autore, un poco di se stesso, avrà la conferma che in letteratura l'attualità non si misura sul ritmo delle stagioni e che, tra gli scrittori, sono proprio gli isolati, i refrattari, gli attardati i più seri candidati a diventare contemporanei del futuro. Giovanni Bogllolo Julien Green: con «Leviatan», a 86 anni, un grande ritorno

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