I sette Sudairi di Igor Man

I sette Sudairi Chi comanda nella reggia di Riad I sette Sudairi Sono i principi-fratelli, veri padroni del regno IT siluramento di Yamani ripropone quelì'«enigma avvolto in un mistero» ch'è la famiglia reale saudita. Ma quando si dice famiglia reale si dice Arabia Saudita, l'unico Stato al mondo che trae il proprio nome dalla dinastia che lo ha fondato, e tuttora lo regge e governa. L'Arabia Saudita ha attinto le attuali frontiere nel 1932, grazie al re Abd alAziz ibn Saud. Il reame, «costruito con la spada e con l'intelligenra», si estende su tre quarti della penisola arabica. Custodisce i luoghi santi dell'Islam, la Mecca e la Medina, dove Maometto nacque e mori, e ai quali guardano un miliardo di musulmani. Da qui il suo enorme prestigio in termini diremo ideologici, ai quali va aggiunto il «rispetto» per una effettiva potenza economica. La famiglia reale saudita, quella autentica, conta forse 4000 membri ma son meno di duecento a giuocare un ruolo politico mentre l'effettiva leadership è nelle mani di non più di 24 persone. E infine va detto che coloro i quali reggono il trono sono i cosiddetti «sette Sudairi», i principi così chiamati dal nome di famiglia della loro madre. Esiste una sorta di giuramento del sangue fra questi fratelli, figli del grande Saud, una solidarietà assoluta che per altro non esclude divergenze su determinati problemi, o diversità di orientamenti. Per esempio si vuole che re Fahd sia più vicino all'Occidente di suo fratello Abdallah, il principe ereditario, legato alle tribù beduine che costituiscono il nerbo della Guardia Nazionale. Ma nel mondo arabo raramente, per non dir mai, l'apparenza coincide con la realtà: nel marzo del 1979, Carter spedì Brzezinski a Riad convinto di poter muovere l'allora principe ereditario Fahd (gran frequentatore dei luoghi deputati del jet set) contro il tradizionalista, e mistico, re Khaled, affinché l'Arabia Saudita appoggiasse la pace fra Israele e l'Egitto. Carter fece un buco nell'acqua, l'abile Brzezinski la figura di un dilettante. Tutto ciò per dire come appaiano poco credibili le voci che vorrebbero Yamani vittima di una lotta di correnti in seno ai «sette Sudairi». In verità sia il «progressista» Fahd, sia il «conservatore» Abdallah non lesinano il loro appoggio alla causa palestinese e sognano addirittura il recupero di Ai Quds (Gerusalemme). Entrambi sanno di non poter prescindere da un buon rapporto con gli Stati Uniti (anche se il totale allineamento di Washington con Tel Aviv non manca di irritarli sempre più) e tuttavia si rendono conto che solo una politica di ostinato equilibrio (o equilibrismo?) può salvare il loro Paese dalle tempeste che squassano il Golfo. Il siluramento di Yamani nasce dalla necessità di evitare tensioni maggiori. Nel segno dell'equilibrio l'Arabia Saudita aiuta copiosamente l'Iraq, ciò nonostante si è sempre preoccupata di man tenere un dialogo, ancorché esile, con l'Iran. E proprio il giorno del brusco defenestra mento di Yamani, Fahd ha annunciato di rinunciare al titolo di «re» per quello, invero più significativo, di «servitore dei due Haram», vale a dire la Mecca e la Medina. L'Arabia Saudita è stata paradossalmente definita una «teocrazia democratica». E' un Paese davvero atipico, dove il regalo più ambito dai bambini è un personal computer; dove gli inflessibili mojahidun esortano bruscamente, all'ombra dei grattacieli di Gedda, i bottegai a recarsi alla Moschea quand'è l'ora della preghiera. Molti sono i tecnocrati di formazione anglosassone nel governo ma il Consiglio dei ministri è in realtà un organo consultivo, che si riunisce solo in circostanze eccezionali: ad esempio dopo l'attacco dei fondamentalisti alla Mecca (nel 1979), dopo l'abbattimento di due caccia iraniani nel 1984, allorché l'Arabia Saudita si fece carico della difesa dello spazio aereo del Golfo. Fino a quando non sarà pronta la Costituzione, in elaborazione dal 1980, vigerà la Sharia, la prassi islamica mutuata dal Corano e dalla Sunna. Nello spirito coranico, ogni settimana ha luogo, in uno dei tanti palazzi reali, la silura (consultazione) che consente al dignitario come al semplice cittadino di incontrare il re. Il sovrano ascolta suggerimenti o lamentele, decide o prende nota nel solco della tradizione beduina, meglio wahhabita. Sua sarà la decisione finale, inappellabile, e di solito saggia, perché, appunto, frutto di un vero proprio dibattito tra i «sette Sudairi». Igor Man