La grande leggenda del trotto in un casolare marchigiano

MUSEO CHE VAI NOVITÀ' CHE TROVI MUSEO CHE VAI NOVITÀ' CHE TROVI La grande leggenda del trotto in un casolare marchigiano SI chiama Ermanno Mori. Robusto, un po' pelato, occhi vivi sotto gli occhialini. Per essere stato un tempo ufficiale della Finanza si porta dietro tra la gente il titolo di •capitano». In realtà si attaglierebbe quello di cavaliere, perché Mori agricoltore e allevatore, cultore di patrie memorie, collezionista di ex voto e di cose d'arte, è soprattutto appassionato di ippica e dirige la rivista «Il trottatore». Inoltre questo singolare personaggio delle Marche sconosciute è forse l'unico uomo che sia riuscito a tradurre al plurale lo scespiriano motto di Re Riccardo III, .il mio regno per un cavallo». Mori infatti ha destinato ai cavalli decine di ettari di sua proprietà tra Civitanova Marche e Potenza Picena ed ora, nella valle dell'Asola, tra collinette e stradine tutte giravolte, tra querce impennacchiate e filari d'uva passerina, per completare l'opera ha trasformato un grande casolare dell'epoca napoleonica addirittura nell'unico «Museo del trotto» oggi esistente in Italia. Sono una trentina di stanze, un tempo alloggi colonici ma anche stalle, granai e bigattiere restaurati rispettando le originarle suddivisioni interne. In esse con cimeli, pubblicazioni, documenti iconografici è ricostruita la secolare vicenda del cavallo al trotto, dal¬ l'ottocentesca diligenza alle odierne competizioni negli ippodromi, un lungo racconto per immagini nel mondo delle gare, ma anche un colorito itinerario nella storia del costume, protagonista l'animale più generoso per il cammino dell'umanità. Un'impresa del genere non era mal stata tentata. Ermanno Mori c'è riuscito con anni di ricerche raccogliendo manifesti, stampe, giornali di provincia (dal momento che non esistevano gli odierni annuari delle corse) ed oggi, con l'aiuto di un computer situato al pianterreno dell'edificio accanto alla ricca biblioteca tutta dedicata all'ippica, è in grado di documentare di ogni corsa al trotto disputata in Italia dal 1808 ad oggi nome del cavallo, del proprietario e del guidatore, tempo realizzato e molti altri particolari tecnici. Ma questo è solo l'aspetto «scientifico», meno appariscente del museo; 1 suol lati più pittoreschi sono nelle migliaia di singolari cartoline, vecchi dagherrotipi, strani cimeli che appartennero a personaggi famosi del trotto italiano, cavalli e conducenti le cui gesta negli stradali bianchi antesignani delle moderne piste si mescolano agli aneliti risorgimentali, cavalli che non solo portano il nome di Rataplan, Rombo, Rodomonte ma anche di Verdi, Nabucco e Cavour, guidatori che erano anche reduci garibaldini e che passarono alla storia meritandosi con gli applausi anche qualche distico celebrativo. Come quel Riccardo Bonetti guidatore di Vandalo che nel 1871 vinse cento lire a Modena e fu immortalato in un'ode che cosi Iniziava: «Ora che reggi de' corsieri il sire / e a te si giura la vittoria ancella...». Oppure quel tal Giovanni Rossi che dopo una vita passata sul sulky si portò sulla tomba questo epitaffio: «Giovanni Rossi / dell'antico auriga / nelle fe- ste olimpiche / rinnovellò sugli italici ippodromi / gli entusiasmi e le gesta / 18301882». n museo parte dalle sale della «posta a cavalli» che andava appunto al trotto: carte stradali, orari, avvisi e stazioni di cambio, libretti del postiglioni paragonabili alle patenti di guida dei camionisti d'oggi, e curiosi «servizi da viaggio» adoperati per leggere e scrivere sulle traballanti diligenze nei tragitti che duravano intere giornate. Come sport il trotto nasce nel primo '800 nel Veneto dominato dall'Austria, che ha strade pianeggianti c ben curate, nonché un gran numero di calessini e di cavalli di ascendenza araba. Le corse al trotto sono appunto corse di calessi, chiamati «sedioli». Il museo ne conserva uno laccato e intarsiato, del 1790 opera dei fratelli Poggi di Cologna Veneta, con lunghe stanghe che favorivano il molleggiamento. Se non fosse per le ruote cerchiate l'originale «sediolo» assomiglierebbe più a una sedia gestatoria che a un sulky. Agli inizi sembra quasi che la pratica popolare della corsa col sediolo si contrapponga a quella aristocratica della corsa al galoppo. In auge a Napoli e a Firenze con fantini inglesi; In realtà trotto e galoppo meno di un secolo dopo si ritroveranno affiancati ne- gli ippodromi. Il cavallo più famoso nell'Ottocento fu Rondello, un friulano grigio che batté tutti i record sulla pista della Montagnola di Bologna nel 1858 e suoi celebri epigoni furono Vandalo e Gattina. I loro trionfi sono documentati da immagini, coi drivers in frac e cilindro. Erano i cavalli antesignani di Tornese, morto nel 1972 e già entrato nella leggenda, di cui il museo conserva uno zoccolo e la capezza, oltre a molte foto di strepitose vittorie, monografie e immagini di possibili progenitori. Non è un segreto che il più famoso cavallo del no¬ Copertina del primo numero UNICO GIORNALE DI IPPOLOGIA nHrur*iTOi«nuMj«t>AL aontM (1893) della rivista // Trono, «unstro secolo, risultato di un incrocio franco-americano tra Pharaon e Tabac Blonde, non aveva ascendenze certe, e forse proprio per dimostrare che 11 sangue blu non conta Tornese — si direbbe — si mise a vincere tutte le gare. L'evoluzione del trotto tra campioni famosi passa attraverso intere collezioni di bandiere d'onore, morsi, finimenti, ferri di cavalli celebri, divise di scuderie, tessere d'ingresso alle corse e si conclude con alcune sale monografiche sui più importanti ippodromi italiani, dalle sedi Iniziali a quelle di oggi. Di Torino, le cui prime