Ormai i tentacoli della «piovra» avvolgono tutti i centri siciliani

INTERNO INTERNO Ormai i tentacoli della «piovra» avvolgono tutti i centri siciliani La situazione allarma PALERMO — Non sradicata In tempo, la malapianta della mafia s'è estesa in tutta la Sicilia più o meno come la camorra in tutta la Campania e la .ndrangheta* in gran parte della Calabria. Sono poche le zone esenti dall'influenza delle cosche sempre più invadenti nonostante le sferzate della antimafia e le ricorrenti manifestazioni popolari contro i boss. I mille tentacoli della piovra arrivano da un punto all'altro dell'isola, praticamente senza lasciarne immune alcun angolo. Siracusa e Messina sino a pochi anni fa erano considerate province -babbe* (che tradotto in italiano vuol dire stupide o anche innocenti) ed oggi sono invece, non diversamente dalle altre, l'epicentro di loschi interessi di tipo mafioso che fanno scatenare sanguinose lotte. Città tranquille, paesi dove la gente era bonacciona e semplice, vanno a poco a poco diventando ugualmente centri di penetrazione mafiosa. Che ciò potesse avvenire preoccupava fortemente Carlo Alberto dalla Chiesa il quale durante i suoi «cento giorni a Palermo' più volte aveva parlato con timore di questa eventualità. E l'altro giorno, qui per un proficuo • vertice', una riunione di lavoro con poca pubblicità attorno, poche parole e perciò con fatti concreti, il capo della polizia Giuseppe Porpora ha riconosciuto che la situazione è più che mai allarmante perché, appunto, il male mafioso si diffonde come una metastasi. H neopresidente della commissione antimafia della as semblea regionale, 11 democristiano Giuseppe Campione, già segretario della de siciliana, eletto nel collegio di Messina, la sua città, con realismo ammette che questo punto non c'è da star tranquilli da nessuna parte L'on. Campione, docente di economia e commercio, a Messina, si sta dando molto da fare nella fase iniziale del suo mandato e, soprattutto, ha raggiunto una prima promettente intesa operativa con il suo omologo a livello nazionale, il comunista Abdon Alinovi che con altrettanto impegno e rigore presiede la commissione Atimafia istituita da Camera e Senato. E il presidente della regione Rino Nicolosi, che nella de si colloca sulle posizioni di Guido Bodrato, non ha nascosto l'altro giorno in assemblea, rispondendo ad interrogazioni ed Interpellanze sul tema scottante della criminalità organizzata e dei delitti che essa scatena, che in effetti molto più si sarebbe dovuto e potuto fare, che vi sono ritardi e lacune specialmente negl'Interventi radicali da operare sul tessuto sociale delle province dell'isola. Aumenta la disoccupazione (oltre quttro punti in più del dato nazionale con un quasi 15 percento di senza lavoro rispetto alla popolazione attiva) e cresce il disagio particolarmente nelle periferie delle tre città maggiori, Palermo, Catania e Messina che raggruppano un terzo di tutti 1 siciliani. Serbatoi con flusso incessante che alimenta la microdelinquenza pronta ad essere all'occorrenza cooptata nelle cosche ridotte ai minimi termini e quindi obbligate ad Irrobustirsi anche numericamente. Le periferie siciliane non sono dissimili da quelle di altrove: distese di palazzoni dormitorio, ampi spazi non attrezzati che diventano immondezzai, un'atmosfera irreale che non contribuisce certamente alla crescita ordinata e civile dei giovani E' qui che gli uomini dei servizi antidroga si imbattono nel maggior numero di tossicodipendenti e spacciatori (con casi-limite, a Palermo, di bambini anche di 11-13 anni). Ora è stato il capo della polizia a mettere il dito nella piaga e a ricordare come quanto sia acuto il problema delle periferie delle città siciliane. Che la mafia ed anche, se si vuole, la peggior mafia sia ormai fortemente ramificata in tutta l'isola è confermato da quel che l'altro giorno nell'aula della corte d'assi se di Palermo hanno detto i •pentitu catanesi Angelo Epaminonda ed Antonono Sala, deponendo quali testi al processo per il massacro di cortile Macello, (otto assassinati la notte fra il 17 e il 18 ottobre del 1984 per- uno •sgarbo, per l'acquisto di ca¬ valfrovitestoETuesici perra unboNitPaaunbonechseviagrgestchpemsoLpiencmgbtlcrUbsPtcM•mdcnHammlgscuusvmuf t nte messa in rilievo in valli, un movente ridicolo di fronte all'enormità di otto vite stroncate a fucilate e pistoletttate). Ebbene l'ex vice di Francis Turatello e Saia non hanno esitato a confermare ai giudici che davvero fu in vigore per anni — e forse lo è tuttora — un patto di solidarietà, una sorta di union sacre fra i boss catanesi con in testa Nitto Santapaola e quelli di Palermo. La strage, secondo accusa, avvenne in forza di un'intesa tra Santapaola e i boss palermitani Pietro Vernengo e Carmelo Zanca. E che non vi siano più mafia di serie A o di serie B o C e cosi via lo dimostrano i recenti gravissimi scontri nell'agrigentino, in primo luogo la strage di Porto Empedocle che ha messo a nudo come per anni prefetti, questori, magistrati, eccetera abbiano sottovalutato la pericolosità un vertice a Palermo - della cosche nella più povera provincia siciliana. Oggi incomincia ad Agrigento, in un'aula speciale allestita nella palestra di una scuola media (metal detector, poliziotti e carabinieri pronti a sparare), il processo ad una quarantina di accusati di aver fatto parte della mafia. Non è un caso se all'appello mancano capi che per lungo tempo spadroneggiarono indisturbati come Carmelo Colletti e Giuseppe Settecasi: sono usciti dal processo perché nel frattempo li hanno assassinati. Sono sei gli imputati uccisi e sette quelli che hanno fatto presumibilmente la stessa fine, i cui •casi- sono tuttora classificati come 'lupare bianche', cioè di persone sequestrate, torturate, soppresse e i cui cadaveri sono stati infine occultati o distrutti. Antonio Ravidà