Lo stratega dell' aro itero di Mario Ciriello

Lo stratega dell' aro itero Dai retroscena del siluramento di Yamani interrogativi e timori per il futuro petrolifero Lo stratega dell' aro itero Negoziatore abile e appassionato di musica occidentale - Dal radicalismo del "73 alla svolta moderata per tenere in pugno TOpec - Popolare all'estero ma senza seguito in patria, non ha mai avuto una vera libertà di azione D'ora in poi, ogni qual volta si discuterà d'energia, si parlerà di pre-Yamani e post-Yantani. Non perché la repentina uscita di scena del celebre ministro chiuda un periodo e ne apra uno nuovo, in cui tutto sarà diverso. Ma perché Yamani «rappresentava» dal '62 quella super-arma che è il petrolio saudita; perché, odiato od amato, era un uomo che tutti conoscevano; perché il suo sorriso era ormai parte della iconografia del nostro secolo; e perché, durante tutti questi anni, mostrò sempre doti eccezionali, e Questo giovane ministro andrà assai lontano», scrivevano su di lui all'inizio degli Anni Sessanta i presidenti delle OH Companies americane. E' forse l'unica previsione avveratasi nella turbinosa galassia petrolifera. Se ne va in una nebbia di incertezze. E' stato destituito perché le sue vedute sul petrolio — produzione e prezzi — non coincidevano più con quelle della famiglia reale saudita? E' possibile. Perché si era inimicato troppi capi di governo e di Stato nell'Opec? E' possibile. Perché, dopo quasi 25 anni, il governo di Riad lo considerava stanco, esaurito? E' possibile. Oppure lo ha privato dell'incarico perché la sua salute si era indebolita, destava inquietudini? E' possibile. Ed è possibile infine che Yamani abbia dovuto ritirarsi per una convergenza di tutte queste ragioni. Una soltanto non avrebbe incrinato, forse, la sua posizione. Che Yamani non stesse bene, e sicuro. Durante le lun ghe conferenze dell'Opec tenu tesi quest'anno a Ginevra, all'Intercontincntal Hotel, il ministro saudita non ha quasi mai lasciato il suo appartamento al diciottesimo piano d dell'albergo: e continue erano le visite dei medici. Verso la fine dell'ultimo convegno, questo mese, aveva ricevuto un piccolo gruppo di giornalisti, amici di vecchia data, e aveva rivelato d'essere afflitto da «disturbi circolatori». «Lavoro troppo, e ne patisco le conseguenze. Ho sempre le caviglie gonfie e le mani gelide». Poi, con quel suo sorriso da fan ciullo giulivo: «Dopo tutto, a 56 anni, qualche acciacco biso gna pure averlo. Non mi posso lamentare». Uno sbaglio non bisogna fare, quello di vedere nella destituzione il drammatico epilogo di un conflitto titanico, con Yamani da una parte e la casa dei Saud dall'altra. Questo perché Yamani mai ebbe la libertà d'azione che gli si attribuiva all'estero; perché era un superministro, ma che per ogni decisione doveva prima telefonare al suo sovrano; perché tutta la sua immensa esperienza, tutta la sua verve diplomatica, tutta la sua straordinaria perizia al tavolo dei negoziati dovevano restare sempre entro gli spazi, talvolta angusti, tracciati dal governo. C'erano anzi due Yamani. Quello famoso all'estero: e quello con un modesto seguito in patria, dove era assai più noto il suo omonimo, il ministro dell'Informazione Muhammad Abdo Ya- E' proprio perché l'indipen denza di Yamani era assai circoscritta che la casa reale saudita si è ora liberata di lui, con gesto severo e sbrigativo. Ma quali precisi dissensi, quali precise divergenze hanno indotto re Fahd a sostituire il suo carismatico rappresentante? Febbrilmente, ma confusamente, ì'Oil Business internazionale offre queste spiegazio- 1) Yamani è stato «sacrificato», vero e proprio capro espiatorio, per attenuare le pressioni sulla casa reale saudita degli altri leaders arabi, inferociti dal declino nelle loro entrate petrolifere. 2) Yamani è caduto per non aver tentato di ottenere un consenso, all'ultimo convegno di Ginevra, su un prezzo di 18 dollari il barile, come voluto da Riad. Si è battuto sul terreno della produzione, ma non su quello dei prezzi. 3) Yamani avrebbe concesso, o perlomeno autorizzato, sconti fino a 50 cents sui barili di greggio venduti agli Stati Uniti. Il governo sarebbe stato al corrente e non avrebbe obiettato: ma, adesso, dinnan zi alle proteste di altri produttori arabi, avrebbe addossato ogni colpa su Yamani. Queste ed altre tesi hanno un punto in comune: rivelano tutte un desiderio di disinfiatn mare i crescenti antagonismi fra Riad e gli alleati nell'Opec (l'Iran ha dichiarato che ogni nuovo tentativo di far calare i prezzi «equivarrebbe a un atto di guerra»). Compito del successore di Yamani, Hisham Nazer, un tecnologo di vaglia, sarebbe pertanto quello di abbassare la temperatura e di mostrare maggior comprensione e verso i produttori senza grandi riserve e verso il grup po, capeggiato appunto dall'Iran, che chiede un ritorno al cprezzo fisso», anche a costo di ampi tagli alla produzione. In teoria, dunque, si delineano nubi all'orizzonte dei consumatori, il dopo-Yamani potrebbe riservare qualche sorpresa. In teoria, soltanto, perché tutto è incerto, perché il mercato ha le sue leggi. Ahmed Zaki Yamani, nato il 2 luglio 1930 alla Mecca non ha sangue reale ma proviene da antica e illustre famiglia di origine yemenita. Suo nonno era un muftì (un giureconsulto che emette giudizi su questioni teologiche e di diritto religioso) e suo padre un magistrato di alto grado. Laureatosi in Legge al Cairo, Ahmed Zaki, si conquista un'altra laurea in giurisprudenza a New York, perfeziona il suo legai training ad Harvard: e, tornato a Riad, Faisal, allora premier, lo nomina nel '60, a soli trent'anni, ministro senza portafoglio. Nel '62, diviene ministro del Petrolio e, da quel momento, è la voce dell'Arabia Saudita in seno all'Opec, il cartello nato due anni prima. Uomo di charme eccezionale e di non meno eccezionale sagacia, si rivela presto negoziatore temibile. «Più la discussione si riscalda e più io divento paziente». Si sente a suo agio in Occidente, di cui adora le arti, soprattutto la musica; abbandona più di una volta un dibattilo Opcc a Vienna per andare con la moglie all'opera; ha le « radici nel deserto», ma tiene un appartamento a Londra e uno a Ginevra. Nel '73, è l'architetto della rottura con le OH Companies e della cosiddetta Opec Revolution. Famosa la storia della sua ultima, fallita trattativa, il 12 ottobre, a Vienna con i rappresentanti delle società occidentali. Cortese, amabile, fece capire loro che imboccavano una strada oscura. Il giorno dopo, quando lo chiamarono per telefono e gli domandarono cosa sarebbe successo, rispose solo «ascoltate la radio e lo saprete». Il 16 ottobre, l'Opec decretò un aumento unilaterale dei prezzi. Da quell'istante, per vari anni, Yamani fu l'orco dei consumatori. A lui fu attribuita la responsabilità di ogni aumento; ingiustamente, perché molte erano le colpe, e degli europei, divisi e spaventati, e degli americani, che quel caropetrolio avevano agevolato. Con la fine degli Anni Settanta, Yamani comincia però a riflettere sul futuro del greggio e da radicale diviene moderato. Tanto moderato che, tra l'85 e l'86, nel tentativo di spezzare l'indisciplina dei partners Opcc, lancia i prezzi verso una china che li porterà a quasi 8 dollari il barile. Ora, accetta un rialzo, ma non eccessivo, ed è stata forse questa «filosofia» a costargli la poltrona. Ahmed Zaki Yamani deve tutto alla casa dei Saud. ma la casa dei Saud deve molto a Yamani. Il sovrano poteva ricordarsene, nella sua brusca lettera di licenziamento. Mario Ciriello «H Ginevra. Lo sceicco Ahmed Zaki Yamani con i figli a una riunione dell'Opec dell'anno scorso (Ansa)