Avventure dell'occhio

Avventure dell'occhio CINEMA AMERICANO IERI E OGGI Avventure dell'occhio Sono passaci quasi vent'anni da quando la nave spaziale «Discovery» percorreva gli spazi siderali nella penultima sequenza di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, come fosse un viaggio all'interno di uno straordinario e affascinante videoclip psichedelico. Movimenti circolari e carrellate in profondità, colori continuamente cangianti che si mescolavano e si integravano con suoni che parevano provenire da luoghi lontani, disabitati, angoscianti (le Almosphères di Gyorgy Ligeti), componevano uno spettacolo di grande suggestione formale e, al tempo stesso, di notevole forza drammatica. E sono passati più di quindici anni da quando, nella sequenza finale del suo Zabriskie Paint, Michelangelo Antonioni ci faceva assistere all'esplosione multipla della villa nel deserto vicino a Phoenix e, successivamente, allo spappolamento degli oggetti, quasi i comporre un'immagine astrat ta semovente, inquietante e coinvolgente. Come si può leggere nella sceneggiatura del film: «E' uno scoppio lentissimo e silenzioso che manda quasi dolcemente gli oggetti a librarsi in aria come se non avessero pesa. E poi è la volta di un armadio pieno di abiti femminili, sempre contro un cielo azzurro. I vestiti, ormai ridotti a stracci colorati, si muovono in un fantastico balletto fuori del tempo e dello spazio», Queste immagini filmiche, ed altre che in questi ultimi vent'anni sono andate a for mare una sorta di nuovo di zionario cinematografico nel l'ambito dell'astrazione dina mico-visiva, ci sono tornate in mente vedendo o rivedendo un folto gruppo di film del cosiddetto New American Cinema, la cui nascita e diffusione si ebbe nei primi Anni Sessan ta negli Stati Uniti e in Europa, e di cui si è tornati a parlare in questi giorni in occasione dell'ampia retrospettiva torinese e dell'uscita di un bel libro sull'argomento (New frmWiuii'yCinema. Il cinema ihdpendenté^americano degli Anni iess'ahtaf-'i cura di Adriano Apri, Ubulibri, Milano). G sono tornate in mente perché alcuni dei più significativi autori di quegli anni, da Kenneth Anger e Stan Brackage, hanno lavorato in di versa misura e con differenti risultati sull'immagine filmica e sui rapporti formali al suo interno e in relazione con altre immagini, giungendo rivoluzionare il concetto stesso di «inquadratura» e quello derivato di «sequenza». Sicché, al di là dello sconvolgimento operato sul versante della narratività, con film che rifiutavano esplicitamente il racconto, ciò che più colpiva allora, e continua a colpire oggi, è proprio la creazione di una nuova imagérie, tanto più originale e sorprendente quanto più lontana dal presunto «realismo ontologico» del cinema fotografico. E' come se, riprendendo e approfondendo talune intuizioni e ricerche dell'avanguardia storica, questi artisti avessero finalmente aperto al cinema la dimensione autenticamente onirica: non già visualizzando i sogni, ma immergendo lo spettatore nell'universo dell'inconscio. Questa nuova dimensione fantastica, magari ridotta a puri effetti visivi, o addirittura banalizzata nella gratuita ricerca d'una fantasmagoria tecnologica, è alla base di un gran numero di recenti film hollywoodiani. Da anni infatti il successo del cinema americano, nato sulle ceneri della grande Hollywood — quella che proprio Kenneth Anger ha rivisitato criticamente, e al tempo stesso sentimentalmente e nostalgicamente, in alcuni suoi film e nei due libri complementari Hollywood Babilonia (1959) e Hollywood Babilonia II (1984), di prossima uscita per i tipi di Adelphi —, è affidato, come si sa, agli «effetti speciali». E non v'è dubbio che una sorta di filo rosso leghi le immagini fantascientifiche di Spielberg e dei suoi seguaci, con la loro forte carica di suggestione visiva, alle immagini polimorfe, continuamente dilatate ed intersecate da altre immagini, di certi film del New American Cinema. Un legame, forse indiretto e trasversale, che passa anche attraverso le due scemenze citate di Kuorioc e di Antonioni grdetelvitoundefadeCoscdedisccicodisountundsast3sesctestcota Assistiamo, in altre parole, grazie anche alla complicità dei videoclip e della pubblicità televisiva, a una progressiva vittoria della visualità cinematografica sulla narratività: a uno svuotamento progressivo della storia e dei personaggi a favore della rappresentazione dell'immagine in quanto tale. Come se il piacere che lo schermo ci procura non risiedesse più nella visualizzazione di un dramma, nella messa in scena di conflitti umani o sociali, ma nella pura e semplice contemplazione d'una forma dinamica, in cui ritmi visivi e sonori tendono a integrarsi in una superiore unità filmica. Non si creda, tuttavia, che tutto ciò sia una palese fuga nell'irrazionale, che la ricerca della forma si trasformi necessariamente in un formalismo stucchevole e gratuito. Dietro 3ueste immagini, ' o meglio ietro questo caleidoscopio di sensazioni e di stimoli, si nasconde un bisogno di concretezza che si manifesta nello stesso linguaggio filmico: come lo si usa, lo si sperimenta, lo si studia in tutte le sue componenti tecniche ed espressive. E' quasi un bisogno di riappropriarsi della realtà, la cui rappresentazione ha subito nel ventesimo secolo, soprattutto a causa del cinema e della televisione, una banalizzazione e un ■ appiattimento impressionanti. Appropriarsi della realtà attraverso un mezzo che ne sappia cogliere le infinite motivazioni interiori, non più «rappresentandola», ma mostrandone i meccanismi di significazione. In questo senso, ci pare di poter condividere questa affermazione di Jonas Melias, che del New American Cinema fu il massimo promotore: «Il cinema, anche nelle sue condizioni più ideali e astratte, rimane nella sua essenza concreto; rimane l'arte del movimento, della luce e del colore. Nel momento in cui abbandoniamo i nostri pregiudizi e condizionamenti, ci apriamo alla concretezza della pura esperienza visiva e cinestetica, al "realismo" della luce e del movimento, alla pura esperienza dell'occhio, alla materia del cinema». E Stan Brackage, di rincal zo, scriveva: «Si immagini un occhio non limitato da artificiali leggi prospettiche, un occhio non pregiudicato da logiche compositive, un occhio che non risponda al nome di una qualsiasi cosa ma debba conoscere ogni oggetto incontrato nella vita attraverso un'avventura percettiva». Certamente, a differenza dei migliori prodotti dell'avanguardia cinematografica americana di venti o tient'anni fa, l'odierno cinema di Hollywood, quello che abbonda di effetti speciali e di ridondanze tecnico-formali, si è limitato a fornire un surrogato di quella (pura esperienza visiva e cinestetica» auspicata da Mekas. Né ci pare che il bombardamento di immagini polimorfe che ci infliggono il grande e il piccolo schermo possa essere paragonato alla straordinaria ricchezza espressiva dei film di Brackage. E tuttavia quell'esperienza' e quella proposta non sono passate invano.4 OfegNi film migliori più interessanti ci propongono, magari timidamente, un'autentica «avventura percettiva». Può darsi che, attraverso questa avventura, la realtà riacquisti al cinema il suo spessore ineffabile. Gianni Bondollno

Luoghi citati: Europa, Hollywood, Milano, Phoenix, Stati Uniti