Pompelmi della rivincita di Giuseppe Zaccaria

Pompelmi della rivincita IL SUD CHE FUNZIONA: LA SORPRESA DELLA CALABRIA Pompelmi della rivincita Nella piana di Lamezia, i muti simulacri di un'industrializzazione impossibile cedono il passo alle colture E' merito anche dell'ostinazione di una donna che piantò il primo pompelmeto italiano - Sei cooperative e 14 aziende private ora costituiscono un consorzio col quale anche Israele e Sud Africa vengono a patti DAL NOSTRO INVIATO LAMEZIA — Sparando pioggia artificiale sull'agrumeto, ogni tanto l'erogatore alza un po' il tiro e il getto d'acqua s'impenna, supera la verde barriera dei cipressi e della rete frangivento, si disperde. O forse vuol mostrare i segni della rivincita. Basta girare intorno al lungo sipario per rendersi conto che dall'altra parte, a pochi passi dalla terra coltivata, le gocce d'acqua martellano una gigantesca struttura metallica, l'aggrediscono, continuano a corroderla. I ponteggi arrugginiti annunciano le porte serrate di una grande costruzione bianca: «Avrebbe dovuto essere un biscottificio, era stato completato otto anni fa. Non è mai entrato in funzione >. Siamo nella continua primavera della piana di Lamezia, in una delle rare zone fertili della Calabria. Trenta chilometri più in là, dopo un massiccio proteso verso il mare comincia la nuova Terra del Nulla, la vallata di Gioia Tauro. Afa se II, tra banchine deserte e colture spianate, il senso di morte fa da padrone, qua sembra che la natura, o forse la ragione, abbia ripreso il sopravvento. Attraversando le piantagioni si passa una linea ferroviaria invasa da cespugli gialli: «Questa era la bretella che avrebbe dovuto con- giungere le fabbriche alla stazione». Poco più. in là un assurdo falansterio tutto pannelli e vetri scuri, isolato nella pianura, soffocato dalle sterpaglie: «L'ha costruito l'ente Sila, avrebbe dovuto essere una Borsa merci. Adesso c'è solo un custode che passa le ore nell'ufficio del presidente: cento metri quadri Sulla costa, a portata di sguardo, s'innalzano torri e ciminiere: quel che resta della 'Sud Italia Resine», la sola azienda chimica cìve da queste parti abbia mai funzionato. Bra rimasta aperta per un po', adesso ha tutti gli operai in cassa integrazione da anni. SI. avevano espropriato anche noi. Dopo il famoso accordo Mancini-Rovelli queste terre avrebbero dovuto accogliere il grande polo chimico della Sii-». Non è accaduto solo per una fortunata serie di congiunture e l'ostinazione di pochi imprenditori agricoli. Cosi adesso, come piramidi azteche rinconquistàte dalla foresta, i muti simulacri di un' industrializzazione impossibile lentamente cedono il passo alle colture, si lasciano avvolgere dal verde, se ne ricoprono, come arrendendosi. Funzionare, a volte, significa anche sapersi opporre a progetti assurdi, difendere l'esistente, poterlo migliorare. Qui, nella piana di Lamezia, è accaduto. E una piccola donna energica. Maria Cefali/, detta Mary, di questa rinascita è stata forse l'artefice principale. Venticinque anni fa era tornata da Roma alle vallate del Lametino per riparare ai guasti di un padre dissipatore. Con una laurea in scienze politiche aveva preso in mano le terre di famiglia, coltivate un po' a olivi, un po' a vigneto. Cominciò con l'importare dagli Stati Uniti la prima macchina automatica per lì raccolto delia frutta, continuò sperimentando nuove colture, saggiando nuovi mercati, combattendo e rialzandosi dopo ogni batosta. Adesso nella piana fioriscono i pompelmi, le aziende agricole vi si stanno convertendo una dopo l'altra, è nato un consorzio che rappresenta tremila ettari di coltura: perfino Israele e il Sud Africa, con le loro possenti organizzazioni commerciali, hanno dovuto scendere a patti con un gruppetto di aziende che considera l'agricoltura fatto produttivo, e non solo pretesto per contributi o integrazioni. «Cominciò in maniera piuttosto semplice, con uno studio a tavolino», racconta adesso, nel casale che è sede della sua azienda, la •signorina dei pompelmi'. Col senno di poi, si può dire che la gcvqppmgcdndFp•idznpevpAcdqcapspa o o i i a i o ' a a e » a i i U i i d e o n e: iahe a ndi e scelta era facile: di arance e limoni se ne producevano già troppi, le ruspe dell'Aimo cominciavano a triturare prodotto eccedente a centinaia di tonnellate. Il pompelmo invece 'tirava', grazie anche a una vivace campagna pubblicitaria: solo che, in Italia, non l'aveva mai coltivato neisuno. Scommessa In Sicilia, ad Acireale, esiste un istituto sperimentale per l'agrumicoltura: «Mi ci misi in contatto, scoprii che coltivare il pompelmo era possibile. "Provi con due ettari", mi consigliarono: ne piantai quindici». Intanto, la battaglia continuava anche sull'altro fronte: schierati contro la Sir in un 'Comitato di difesa', gli agricoltori lametini continuavano a migliorare i loro terreni anche per far salire gli indennizzi a livelli che un'industria non avrebbe tollerato. «Lettere ai giornali, ricorsi al Consiglio di Stato: durò sette anni alla fine 11 Comune di Lamezia modificò il piano regolatore. Intanto le prime industrie aperte nella zona avevano già chiuso bottega». Restava l'altra scommessa: «Il primo raccolto pareva buono, eravamo nell'83. Pensai di commercializzarlo da sola: fu un tonfo». Prima la scoperta che i fosfati usati per concimare le piante facevano nascere agrumi grandi come meloni, che nessuno avrebbe comperato mal Poi lo scontro coi distributori: •Al pompelmo italiano la gente non era abituata: i grossisti pensarono di metterlo in commercio a ottobre, prima che arrivassero le grandi navi da Israele. Alla gente offrirono un prodotto che faceva schifo, piccolo, verde, senza succo...». Per qualche mese, il futuro del primo pompelmeto italiano parve seriamente compromesso. Con il kiwi L'anno successivo, alla vigilia del nuovo raccolto, il colpo d'ala. Bombardandolo di messaggi, richieste, telefonate, la Cefaly si fa ricevere dal ministro dell'Agricoltura, Filippo Pandolfi, e gli fa pressappoco questo discorso: •In Italia esistono leggi che impediscono l'importazione di agrumi, con la sola eccezione dei pompelmi. Lei, ministro, blocchi anche questi prodotti per qualche tempo, e alla fine dell'esperimento vedrà che anche le nostre piantagioni decollano». Andò proprio cosi: il -blocco' decretato per tre mesi dal ministro causò anche qualche tensione diplomatica, ma nel frattempo le aziende che distribuivano il pompelmo israeliano o quello del Sud Africa furono costrette ad acquistare anche il prodotto italiano. Adesso il 'Consorzio produttori pompelmo italiano' riunisce sei cooperative e 14 aziende private, che continuano a crescere. Ogni anno produce 60 mila quintali di agrumi, che hanno ridotto le importazioni di oltre il dieci per cento. Sul Mondo, in una classifica degli imprenditori emergenti dopo Bauli, Be- netton e Berlusconi c'era lei, la Cefaly. A Lamezia, una delle fabbriche mai utilizzate si è trasformata in centro per la preparazione e il confezionamento della frutta. Nella piana, i pompelmeti superano ormai i duecento ettari. Altre piantagioni nascono in Puglia e in Sicilia. Intorno alla nuova coltura, anche quelle tradizionali migliorano: tubi sotterranei per centinaia di chilometri assicurano l'irrigazione, continuano a fiorire i vivai di Bertolami, Baglione, Mangiapane, si produce olio extravergine. E si comincia a piantare il pompelmo rosso americano, l'avocado, il kiwi. Ricoprendo di verde gli scheletri delle industrie mai nate la piana torna a farsi rigogliosa, l'agricoltura a fiorire. «Dell'aiuto pubblico, dice la Cefaly, abbiamo dovuto abituarci a fare a meno. Qui la Regione è totalmente assente, appena rinnovata entra nella precrisi, non assicura più neanche l'ordinaria arnministrazione...». Ma la mafia? Se è vero che si espande dove c'è mercato, la zona di Lamezia non rischia di ritrovarsela sempre più attiva, presente? «Può essere... A me è capitato qualche anno fa». Erano dei giovani, tentarono di riscuotere il «pizzo», la Cefaly li fece arrestare, al processo si costituì parte civile. Con lei, non ci hanno più provato. Giuseppe Zaccaria