Silvana Mangano, tornata al cinema

Silvana Mangano, tornata al cinema INTERVISTA CON L'ATTRICE CHE PARLA DI SE' E DEI SUOI DODICI ANNI DI ASSENZA DALLO SCHERMO Silvana Mangano, tornata al cinema Ha interpretato «Oci Ciomie», film cecoviano italo-sovietico diretto da Nikita Mikalkov, a fianco di Mastroianni: «Da ragazzi eravamo innamorati» - Adesso vive a Madrid: «Per conto mio» - Capelli grigi, orgoglio e nevrosi, ricami a piccolo punto - Il lavoro con Visconti, Pasolini, De Sica: «Ma io non mi piaccio, non mi sono piaciuta mai» ROMA — Con una gran festa durata tutta la notte (vodka, fuochi d'artificio, musiche e bandiere, torta, ballo sfrenato), è finita la lavorazione di Oci Ciornie, il film cecoviano italo-soviclico diretto dallo straordinario Nikita Mikalkov: finalmente Silvana Mangano, che non recitava da dodici anni e non rilasciava interviste da diciotto anni, o venti, o magari anche di più, c tornata al cinema e adesso parla. Parla di Marcello Mastroianni, della «vecchia coppia» che hanno recitato insieme in questo film, della giovane coppia che sono stati un tempo: «Ci conosciamo da sempre. A Roma da ragazzi abitavamo nello stesso quartiere, eravamo innamorati: io sedici anni, lui ventidue. Marcello non l'ha mai dimenticato, anche perché una volta, mentre ci baciavamo su una panchina, sorprese un guardone, lo affrontò, gli tirò un pugno, quello si scansò, Marcello colpì un tronco d'albero e si rovinò il pollice: così, negli anni, ogni volta che quel pollice gli ha dato dolore s'è ricordato di me, magari maledicendomi». Allora, la sua leggendaria bellezza sensuale, splendente e assoluta, folgorava chi la vedeva in Riso amaro, e Italo Calvino, nel 1948 giornalista comunista inviato sul set, scriveva abbagliato: «E' romana, ha diciotto anni, il viso e i capelli della Venere dì Dotticela ma un'espressione più fiera, dolce e fiera insieme, occhi scuri e capelli chiari, un incarnalo terso e limpido senza ombre né ■ luci, spalle che si aprono con una dolcezza da cammeo, un busto di ardita armonia di linee trionfali e aeree, la vita come uno stelo snello, e un mirabile ritmo di curve piene e di arti longilinei». Più tardi, dopo il matrimonio con Dino de Laurentiis e la nascita di quattro figli, s'inventò un'altra bellezza lontanissima da ogni idea di sesso, un altro corpo esile e sinuoso di linea Liberty, polsi e caviglie fragili, faccia bianca e lunare, occhi lucidi come di febbre, e Pier Paolo Pasolini le scriveva: «Gli aspetti della tua natura, puntualità, senso del dovere, lealtà, producono, strano a dirsi, il mistero della tua bellez za. La tua bellezza amara; che si offre, incombente, come una teofania, uno splendore di perla; mentre in realtà, tu sei lontana». Entusiasmi che a lei son sempre parsi incomprensibili. Di se stessa, dice, non è stata contenta mai : « Non mi piaccio. Se una parrucca di scena è bella, la vedo imbruttita dalla mia faccia; se è bello un costume, lo vedo imbruttito dalla mia figura. Non mi sono mai piaciuta, né quand'ero una ragazza tonda, né quando sono diventata una donna sottile, e tanto meno adesso. Non credo che questo sentimento abbia molto a che vedere con la realtà: avrà magari a che fare con la mia psicologia, con l'insicurezza, con le nevrosi di cui tutti siamo vittime». C'entra anche questo nella malavoglia che ha sempre avuto verso il cinema, nella renitenza a recitare? «Come attrice mi sono improvvisata, recitazione non l'ho mai studiata, ho sempre provato il timore di essere inadeguata. Mescolato all'orgoglio, questo timore mi ha spesso bloccato. Non bisogna dimenticare che sono mezza inglese e mezza siciliana. Impassibile e ardente, perfezionista e passionale. Un insieme di contrari, una contraddizione permanente: quando sei così è difficile arrivare a stimarsi, perfino a accettarsi». Adesso, a cinquantasei anni, è approdata all'eleganza suprema della naturalezza, dell'assenza di artificio. Porta con fierezza i bei capelli grìgi senza tinture, porta jeans, golf, scarpe di tela. Però le scarpe da tennis, rifatte sul modello di quelle italiane degli Anni Trenta, sono comprate a New York e già introvabili; però ti al pullover di teneri colon da neonato-bcnJeg^aflÒ^due fili di strepitose perle vere, le une grandissime, le altre piccolissime. Però i giovani amici che le fanno da scorta non potrebbero essere più raffinati: JeanPierre Bardoz, uno degli ordinatori par jym del Beaubourg; ù" bellissimo iUtglese lord David Rocksavage, discendente da Hugh Walpole, e il bellissimo amico francese di lui FrancoisMarie Bannier, scrittore pure amico di Jacqueline Picasso che da poco s'è uccisa e che per entusiasmo verso l'impresa, per amnrifazióne Versò Mangano e Mastroianni, aveva contribuito con due milioni di franchi al finanziamento di Oci Ciornie. L'eleganza della naturalezza è forse adesso la più faticosa da faggiungerei Silvana Mangano, che non mangia carne né beve vino da trent'anni, si sente spesso rispondere «non c'è, non è possibile» quando chiede i cibi antiquati e famigliari che preferisce, minestra d'orzo, lentìcchia rossa, brodo vegetale, uva moscato. Però l'automobile è una superba Mercedes, foderata di pelle rossa e targata New York. Nei suoi discorsi torna continuamente il nome e il rimpianto del figlio Federico, la cui morte tragica in un incidente aereo l'ha ridotta «quasi morta» per anni. Il suo matrimonio è finito, sono state chiuse la casa di New York, la stupefacente villa di Santo Domingo. Da un anno vive a Madrid: «E' la città dove abita mia figlia Francesca, sposata con il cineasta Pepe Escribà e madre d'un bambino. Ho una casa insieme con Mercurio e dove, i cani cocker che erano di mio figlio Federico. Lasciare gli Stati Uniti non m'è dispiaciuto, l'America non l'ho mai amata: adoro New York e la campagna ma detestavo Los Angeles, città senza dimensioni e piena di arrampicatori ■>. E come vive? «Per conto mio. Né in America né a Parigi, dove pure ho vissuto per un poco, ho fatto molte amicizie nuove: nelle amicizie sono fede lissima, i miei amici restano quelli del passalo. Leggo, ascolto molta musica. Mangio poco, bevo soltanto vodka. Ricamo a piccolo punto, lavori sterminali e monacali che diventano arazzi o tappeti: mi piace la calma, la solitudine dei lavori d'ago, soprattutto mi piace l'esattezza e la pazienza che esigono. La mia vita è molto, molto ordinata: forse ho l'impressione (o la spe ronza) che l'ordine, il nitore, l'impeccabilità e almeno la ri cerca della perfezione possano salvaguardare dal disordine del mondo.e delle passioni. Princìpi non ne ho tanti, almeno a livello clmdm l i o cosciente: ma ho sempre avuto l'orgoglio di mantenere le promesse, di rispettare la parola data. Anche quando mi costava moltissimo». Chissà se parla del suo lungo matrimonio. Restare lontana dal cinema per tanto tempo, dice, non l'ha fatta soffrire: «Il mio ultimo film, prima di Oci Ciornie, è stato Gruppo di famiglia in un interno di Luchino Visconti. Anche quello l'ho fatto con molta fama. Suso Cecchì d'Amico mi telefonò, mi disse che Visconti era maialo, che le società di assicurazione rifiutavano di garantire il film a causa del suo slato di salute... Non potevo dire di no, né avrei voluto: però il personaggio l'ho odialo. Quella nuova ricca invadente, prepotente, volgare, chiassosa e infelice era così sgradevole: continuo anche adesso a esserne scontentissima, mi piacevo di più in altri film di Visconti, in Ludwig in Morte a Venezia soprattutto». Nell'ultimo tempo, la voglia di lavorare s'era affievolita ancora di più: «Tanti amici se n 'erano andati. Visconti, Fasoli ni con cui avevo fatto Edipo Re e Teorema, De Sica che mi aveva diretto ne L'oro di Napoli e ne Le streghe, Roberto Ros sellini con il quale purtroppo non ero mai riuscita a lavorare, altri: e io lavorando ho bisogno di amicizia, di calore, di perso ne che conosco bene e che stimo davvero. Mi pareva che anche il cinema stesse diventando diverso, più brutale e più cialtrone. Ho rifiutato molte proposte di lavoro: alla fine registi delusi mi chiedevano: "Magari la prossima volta?", "Magari nella prossima vita", rispondevo». Stavolta, perché ha detto di si? «Nonostante tutto, recitare mi piace moltissimo: e mi è difficile resistere quando, qualcuno che amo dice di aver bisogno di me. Stavolta me l'hanno detto Suso Cecchi d'Amico e Silvia d'Amico, sceneggiatrice e produttrice di Oci Cicmie, donne e amiche straordinarie cui voglio bene da sempre. Puma ho detto sì. Poi ho detto no, mi pareva di non farcela: passavo intere giornate in preda alla nausea, tanto era forte la tensione. Poi ho ri detto si, ma pregato che non mi costringessero a stare a Roma, | non me la sentivo. Per fortuna'^ il personaggio, il regista bravissimo, l'amato Marcello Mastroianni, l'amicizia , il calore, hanno reso tutto più facile e bello, adesso sono contenta d'averlo fatto: anche se di fronte a nuove proposte di lavoro continuo a essere guardinga, allarmata/. Con Marcello Mastroianni aveva già recitato una volta: • In Scipione detto anche l'Africano, facevamo una vecchia coppia di coniugi, pure lì». Per molto tempo la gelosia di De Laurentiis, che sapeva della loro storia d'amore giovane, li aveva separati professional mente: nonostante tutte le in sistenze di Fellini, nonostante avesse già fatto provini e prove di costumi per La dolce vita. alla fine dovette rinunciare e la parte andò a Anouk Aimée Il motivo inventato dalla gelosia del marito («non è serio che\ una madre di quattro figli fac eia la parte d'une nobildonna perversa che fa l'amore con un giornalista nella casa di borgata d'una puttanai) lasciò la Mangano senza parole per una settimana: ma poi maturò la vendetta e la rivincita con Teorema di Pasolini. In Oci Ciornie, com'è andata con Mastroianni? 'Allora, quand'eravamo radazzi, fu in certo modo il cinema a separarci. Adesso che il cinema ci ha riunito abbiamo lavoralo benissimo insieme. Oltre che un uomo immensamente simpatico. Marcello è un grande attore, i c'è qualcosa di molai hello, consolante e dolce nell'amicizia, nella familiarità affettuosa, nell'indulgenza che sopravvive pei sempre tra due persone che si sono amale i Lietta Tornabuoni Silvana Mangano e Marcello Mastroianni in una scena di «Oci Ciomie» (Foto Angelo Frontoni) Silvana Mancano in «Riso amjro-> di Giuseppe De Santis (1449)