L'ordine non regna a Palazzo di Kabul di Mimmo Candito

L'ordine non regna al Palazzo di Kabul OSSERVATORIO L'ordine non regna al Palazzo di Kabul I cento giornalisti occidentali invitali in Afghanistan per assistere alla prima partenza di truppe sovietiche hanno potuto vedere non soltanto i soldati che se ne andavano, ma anche un regime nel quale la lotta di palazzo resta tuttora aperta, pur sotto l'ala delle decisioni prese a Mosca. E Karni.il osannato dalla folla, in sdegnoso distacco da Najibullah, è stata la sorprendente manifestazione di una crisi in cui guerra, lotta di fazioni politiche e contrasti religiosi sono una mescolanza destabilizzante. Dalle cronache da Kabul si è capito questo. USituazione militare. Finalmente si e riusciti a sapere chi sia il comandante delle forze d'occupazione sovietiche: Viktor Dubinin. Ma poiché Dubinin è soltanto generale a una stella, deve stare agli ordini del generale a tre stelle Nikolai Popov, comandante in capo della Regione Est-asiatica, comprendente le repubbliche uzbeka. tajika. kirghiza e turkmena. Quarticr generale: Tashkent, nell'Uzbekistan. Questo vuol dire, dunque, che l'autonomia formale di Dubinin è in realtà subordinata al quarticr generale di Tashkent, e che perciò l'Afghanistan è in questo momento ufficialmente una provincia straniera inglobata nel comando d'una regione militare sovietica. Per la prima volta è stato possibile avere anche un numero ufficiale sulla consistenza delle truppe d'occupazione: «tra 80 mila e 90 mila soldati», ha detto il generale Bogdanov. Trentamila meno di quanto dicano gli americani, ma conferma, comun¬ que, di un operativo imponente. 2) Situazione politica. Il viaggio dei giornalisti stranieri, e la disponibilità a dare informazioni prima assolutamente riservate, rientrano certo nel «Gorbystyle», d'un approccio aperto alla costruzione di un'immagine più moderna e più morbida del vecchio impero brezneviano. Ma c'è anche uno «specifico afghano»: rappresentare concretamente, con l'aiuto che solo i mass media possono dare, l'avvio di un distacco dalla politica di occupazione militare. Con tre obiettivi. Il primo è quello, immediato, d'una migliore «vendibilità» del regime di Kabul di fronte al prossimo, inevitabile dibattito all'Orni, e di fronte alla ripresa dei colloqui di pace ginevrini con il Pakistan. Il secondo obiettivo, mediato, fa riferimento al contenzioso tra Usa e Urss, e ai conflitti regionali come elementi d'innesco di crisi nell'equilibrio planetario: una facciata più pulita a Kabul può consentire, per esempio, pressioni più credibili sulla crisi nicaraguense. Il terzo obiettivo, più a lungo termine, è la pacificazione del Paese. Najibullah si è presentato, fin dal primo momento, come l'uomo della «riconciliazione nazionale». E nelle cerimonie di saluto ai soldati che partivano, il nuovo leader ha sempre dichiarato (perché i giornalisti occidentali potessero ben riportarlo) di essere disponibile a «discutere con chiunque ami il suo Paese modo e metodi per arrivare alla costruzione di un nuovo Afghanistan». Le risposte delle formazioni guerri gliere sono state sempre negative; ma poiché continua a mancare un comando centrale della guerriglia, e poiché le lotte di fazione e di clan prevalgono ancora sulla costruzione di un'unità politica e strategica, Najibullah si sta muovendo a contattare direttamente i gruppi e i clan, anche quelli combattenti, per tentare di comprarsene in qualche modo l'appoggio a questo ipotetico «governo d'unità nazionale'). 3) La lotta di potere. Il progetto (di Mosca prima ancora che di Kabul) di trovare interlocutori credibili per questo piano di pacificazione non deve scontare soltanto la diffidenza e l'opposizione di tribù, etnie, famiglie e gruppi. La sostituzione, a maggio, di Karmal con Najib era anche il cambio di facciata per presentare al tavolo del possibile negoziato un rappresentante di regime meno compromesso con l'occupazione militare e con la cieca fedeltà a Mosca. Ammesso però che il nuovo segretario del partito democratico popolare riesca a interpretare dovutamente questo ruolo, resta sempre il fatto che la lotta di potere nel regime non appare ancora risolta: Karmal mostra di non essere affatto d'accordo a starsene ai margini, e domenica scorsa si è fatto vedere ostentatamente tra la folla osannante, con una performance che i giornalisti occi dentali hanno giudicato di grande riuscita. Sul fronte dell'Afghani stan, dunque, qualcosa di nuovo c'è. .Ma la guerra pare destinata a continuare ancora a lungo. Senza illusioni. Mimmo Candito

Persone citate: Bogdanov, Dubinin, Najib, Najibullah, Nikolai Popov, Viktor Dubinin