Abbado-Pavarotti, la forza del Ballo

Abbado-Pavarotti, la forza del Ballo A Vienna trionfa l'opera di Verdi con la splendida esecuzione dei Philharmoniker Abbado-Pavarotti, la forza del Ballo Lo spettacolo rivela particolari di scrittura di solito trascurati - Successo di Cappuccini - Contrasti anche vistosi sulla regia di De Bosio che però ha il merito di un giudizioso servizio reso alla partitura e alla chiarezza del testo VIENNA — Festeggiatissimo dal pubblico viennese, Claudio Abbado si è ufficialmente insediato alla direzione dell'Opera di Stato con l'attesa rappresentazione di Un ballo in maschera. E' stato lui, insieme a Luciano Pavarottl. 11 protagonista della serata, legati insieme da un'ansia di ' superamento quasi sportiva e sommamente energetica che ha catalizzato tutti gli altri in una esecuzione superba. Abbado non teme di portare in primo piano l'orchestra e ha le sue buone ragioni: nel golfo mistico della Staatso per siedono infatti i Wiener Philharmoniker che. oltre a una decina di concerti sinfo nici l'anno, svolgono all'Ope ra (tutte le sere!) la loro principale attività. Ascoltarli è, come è noto, una gioia continua che è inutile tentare di rendere con aggettivi mira bolanti. Abbado, grazie a questo strumento perfetto, scava la partitura in profondità, porta in luce mille particolari di scrittura solitamente inosservati e mostra cosi tutto il carattere innovativo del Ballo rispetto alla trilogia popolare: alcune stratificazioni armoniche e timbriche dove il suono si fonde in coloriti densi c cangianti additano già la futura via del Don Carlo; nella leggerezza trasparente di certi suoni di arpa e di violini ci sono presagi dì Aida; l'uso .espressionistico di ottoni e percussione, nei momenti di massima pressione emotiva, come nella scena del sorteggio, resa In modo davvero straordinario, o in certi passi del secondo atto, lasciano intravedere l'Otello. Almeno, cosi ci suggerisce l'esecuzione di Abbado. e gliene siamo grati perché l'affascinante esercizio di riconoscere in ogni opera di Verdi la conquista di nuovi orizzonti si sposta, per una volta, dal canto all'orchestra e diventa cosi prodigo di imprevedibili sorprese. Il lavoro di analisi però non si ferma qui. Abbado va ben oltre,' fonde tutto in quello slancio giovanile e insieme disperato che è l'anima segreta del Bailo in maschera. Il canto degli archi è sempre teso ed effuso, gli interventi solistici dei fiati escono e rientrano nella massa con una individualità spiccatissima; i colori hanno lo splendore di una tavolozza inesauribile. Solo qualche volta il fragore delle sonorità copre un poco le voci: ma quando sul palcoscenico c'è Luciano Pavarotti niente paura, nep pure un attimo il personaggio ne viene offuscato. La sua voce svetta sulla massa orchestrale come la cresta di un'onda che ne segue il flus so, lo slancio generoso e disperato di Riccardo è privo di ogni retorica nella realtà di un suono veramente impareggiabile. La grandezza di Pavarotti sta nella sua totale impermeabilità a qualsiasi sclerosi divistica: quando è in scena, in mezzo agli altri, attira l'attenzione su di sé per un magnetismo naturale, privo di ogni forzatura: Incarnati da lui, gli eroi del melodramma commuovono proprio per la loro disarmante innocenza. Nessuna reale novità ha in¬ tn trodotto nella fisionomia generale del protagonista e dell'opera il fatto che l'azione fosse trasportata nella Svezia di Gustavo III, come era previsto dal libretto di Somma e dal suo modello di Scribe. prima che la censura impedisse di rappresentare in scena la morte di un sovrano, costringendo Verdi ad am¬ bientare l'opera nel governatorato inglese di Boston. Il Ballo in maschera è un dramma di passione archetipico, ciò che conta è il cuore del personaggi e l'ambiente esclusivamente umano che li circonda: non soffrirebbe neppure portandolo all'Equatore. Anche in questa esecuzione viennese il calore degli affetti reso da Abbado e Pavarotti con la sobrietà del gusto moderno stava al centro dell'interesse e ha contagiato in breve tutta la compagnia. In grande forma, Piero Cappuccini ha cantato magnificamente nella parte di Renato: chiave di volta per comprendere il suo personaggio l'aria .Eri tu.: nella seconda parte, un gioco di mezze voci reso con straordinaria dolcezza ha creato, oltre la fi sionomia un po' univoca del personaggio, uno spessore inusitato di sentimenti contrastanti. Visto cosi, anche V.antipatico- Renato diventa vittima di un destino fatale. Puntuale e generosa, ma non ancora completamente calata nel personaggio che interpretava per la prima volta, è parsa Margaret Price nel ruolo di Amelia, mentre Magda Nador come Oscar e Ludmila Schemtschuk nei panni di Ulrica si sono inserite spontaneamente entro la visione interpretativa di Abbado che ne ha sorretto le parti con il pungolo continuo della sua orchestra. Tutti alla fine, compreso il coro istruito da Walter Hagen Groll. sono stati calorosamente applauditi, ma vere ovazioni hanno accolto più volte Abbado, Pavarotti e Cappuccini. Lo spettacolo, invece, ha avuto un esito contrastato con applausi ma anche vistose disapprovazioni. La regia di Gianfranco De Bosio ha il merito del buonsenso e del giudizioso servizio reso alla partitura e alla chiarezza dell'azione. I bozzetti di Emanuele Luzzati e i costumi di Santuzza Cali sono assai belli, specie nelle scene di corte: ma, forse, il pubblico viennese è rimasto sconcertato nel riconoscere le abbondanti citazioni di Tiepolo e Veronese con cui Luzzati ha voluto decorare le pareti della reggia di Stoccolma. Il trucco del teatro nel teatro che caratterizzava l'ultimo quadro è di grande effetto e di una squillante ricchezza di colori, un poco sfuocate la scena dell'antro di Ulrica e soprattutto quella dell'orrido campo notturno all'inizio del secondo atto: Luzzati, probabilmente, ha meno interesse per l'elemento tragico, ma quando il melodramma italiano dell'800 scopre quel fondo di ingenuo candore in cui consiste gran parte della sua poesia, la sua Musa ironica, commossa, risuona nel profondo. Ed è forse questo che oltr'Alpe si stenta a comprendere. Paolo Gallarati Piero Cappuccini e Luciano Pavarotti nel «Ballo in mascherai)

Luoghi citati: Boston, Stoccolma, Svezia, Vienna