Una coppia troppo strana per Beckett
Una coppia troppo strana per Beckett Il debutto di Renato Rascel e Walter Chiari a Firenze in «Finale di partita» Una coppia troppo strana per Beckett Il dramma proposto nella diligente esecuzione di Di Leva - Manca il fascino visuale dell'apparato scenico e luministico - Un particolare imbarazzante: alla prima i due attori recitavano con l'auricolare DAL NOSTRO INVIATO FIRENZE — Finale di partita di Samuel Beckett, la cui prima risale al 1957, è narrativamente meno suggestivo di Aspettando Qodot, ma è più rigoroso sul piano delle strutture drammaturgiche e più profondo su quello della tematica esistenziale. L'uomo beckettlano gioca qui la sua partita non contro la morte, ma contro la vita: non lotta per sopravvivere, ma per morire: giacché l'esistenza quaggiù é per lui un'irragionevole ripetizione di gesti senza senso, di parole senza risposta: un'atroce agonia, con cui un Dio imbelle si vendica del mondo. Hamm e Clov, i due protagonisti di Finale, sono l'uomo di Beckett: padrone il primo, servo 11 secondo: il primo cieco e Immobile su una sedia a rotelle, il secondo debole d'occhi e malfermo sulle gambe, eppure in preda ad una frenesia deambulatola. Nella loro stridente disparita, nel loro vistoso odioamore, essi sono due volti dello stesso individuo (non a caso la vittima diventa spesso aguzzino, nel corso dell'azione): e speculari a loro sono quei tronconi umani di Nagg e Neil (i progenitori, gli antenati), che emergono con 1 loro moncherini da due bidoni della spazzatura in un angolo. In occasione delle celebrazioni per Firenze capitale europea della cultura, Giuseppe Di Leva ha realizzato, con l'ausilir del Teatro Regionale Toscano, un nuovo allestimento di Finale, coprotagonisti Walter Chiari e Renato Rascel, andato in scena in prima per la critica domenica sera al teatro Nuovo Variety. Valente organizzatore teatrale (è da anni il direttore di untano Aperta e l'Imminente direttore artistico dell'Ater) Di Leva non è per formazione regista e neppure, con onesta, pretende d'esserlo per vocazione. Ciò spiega perché quella che ci ha proposta non é un'interpretazione più o meno originale del capolavoro beckettlano, ma una sua. diligente esecuzione (spfero d'esser chiaro con chi è abituato ad assistere all'esibizione di un corretto direttore con una corretta orchestra sinfonica). Manca, intanto, a codesta messinscena, per Imporsi du revolmente nella memoria dello spettatore, il fascino visuale dell'apparato scenico e luministico. Eppure Beckett allude all'attrazione orrorosa e claustrofobia di quella stanza-bunker, con due inferriate in alto per l'apparizione di un simulacro di sole e luna (di lassù Clov guarda alla terra come ad una landa desertica, all'oceano come un'interminata laguna). Invece la scena di Gino Maretta — un cantinato grigiastro con la volta a botte, le pareti percorse da grosse crepe — è più dimessa che terrifica: e le luci, affidate per altro ad un •maestro» come Sergio Rossi, sono d'una fissità piuttosto monotona, mentre alcune schegge del testo beckettlano alludono ad un loro cupo trascolorare. Ma fa difetto soprattutto nella regia quella ritraduzione espressiva dell'architettura drammaturgica di Finale, assai complessa e raffinata. Ogni sequenza del copione è, infatti, un microdramma a sé, che s'affida ogni volta ad un diverso tema dominante: bisogna sapeilo con pazienza portare alla 'uce e trovarvi un adeguato e sempre vario registro stilistico: come nei ritmi e nei toni di una rapsodia. E qui mi tocca dire della responsabilità degli interpreti. Intanto una nota imbarazzante: sia Rascel che Chiari recitano con l'aiuto di un auricolare (il primo lo nasconde pudicamente, l'altro vistosamente lo esibisce): 11 che significa che ambedue, almeno sino all'altro ieri, non hanno saputo o potuto o voluto apprendere 11 testo integrai mente a memoria: e ciò, pur col dovuto rispetto alla cani zie dell'uno e alla leggendaria sventatezza dell'altro, suona pesantemente in addebito della loro professionalità. Ma poi né Rascel. né Chiari dimostrano d'esser molto protesi a restituirci la varietà comportamentale dei rispettivi ruoli. Chiari privilegia di Hamm la malinconia e il terrore della solitudine: e mette nel dimenticatoio, nonostante qualche simpatico squarcio aggressivo, l'arroganza volgare, l'astio riottoso del personaggio. Rascel fa di Clov una vittima infantilmente rassegnata, non è mal vile e stizzoso come il testo suggerisce a più riprese. In questa strana coppia, insomma, non c'è mai tragedia, mai angoscia e violenza vere. Il non folto pubblico della prima ha tributato al regista, ai due Interpreti, al corretti Pachi (Nagg) e Neri (Neil) festose accoglienze. Guido Davico Bonino Walter Chiarì, in carrozzella, e Renato Rascel in una scena di «Finale di partita» di Beckett
Luoghi citati: Firenze
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