Quel Manifesto dal profondo Est di Lia Wainstein

Quel Manifesto dal profondo Est Il proclama congiunto di 122 dissidenti ungheresi, polacchi, cèchi e tedeschi orientali Quel Manifesto dal profondo Est E' la prima volta - Il documento parla di (dotta comune per la democrazia» nel 30° anniversario di Budapest Il trentesimo anniversario della Rivoluzione ungherese (23 ottobre 1956), cui i mass media occidentali hanno concesso ampio spazio, quest'anno — fatto senza precedenti — viene rievocato inoltre da un proclama congiunto, firmato da 122 dissidenti, che quasi tutti risiedono ancora in quattro Paesi del Patto di Varsavia: Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia e Repubblica Democratica tedesca. E' stata la (■Fondazione per la cultura dell'Europa orientale», creata due anni or sono a Londra al fine di diffondere in Occidente informazioni provenienti dall'Europa dell'Est e di coordinare le discussioni tra i vari gruppi di oppositori, a organizzare la pubblicazione del manifesto uscito domenica scorsa a Budapest, Berlino Est, Praga e Varsavia. Molti i personaggi noti tra i firmatari. Tra gli ungheresi (in tutto 54), Gyórgy Konrad, romanziere: Sandor Racz, rappresentante dei lavoratori; e l'architetto Laszlo Rajk, figlio del ministro degli Esteri impiccato nel 1949 e in seguito riabilitato. Ventotto i polacchi, tra i quali Marek Edelman, l'ultimo sopravvissuto dei capi della rivolta del ghetto di Varsavia, attualmente cardiologo: Adam Michnik, esponente di Solidamosc: Jacek Kuron, uno dei fondatori del Kor, il Comitato per la difesa dei lavoratori. Tra i 24 cechi fugurano Jiri Hajek, ex ministro degli Esteri; il drammaturgo Vaclav Havel; Peter Uhi, attivista di Charta 77; il reverendo Vaclav Maly. Sedici, infine, i firmatari della Germania Orientale, tra cui i pacifisti Baarbel Bothley Ulrike Poppe e Ralf Hirach del Movimento antinucleare. Nel documento, cui non hanno partecipato né i romeni né i bulgari, poiché in quei Paesi non esistono gruppi organizzati di dissidenti, si legge: «La Rivoluzione ungherese, come l'insurrezione di Berlino Est (1953), la Primavera di Praga (1968) e il movimento dei sindacati lìberi Solidamosc in Polonia (1980) vennero soffocati dall'intervento sovietico o dalla violenza militare intema». I firmatari proclamano la loro «decisione comune di lottare per la democrazia politica nei rispettivi Paesi, per l'indipendenza, per un pluralismo jondato sul principio dell'autodeterminazione, per una riunificazione pacifica dell'Europa divisa e per i diritti di tutte le minoranze». Le tradizioni e le esperienze della Rivoluzione ungherese vengono definite inoltre «nostro comune retaggio e ispirazione». A prescinedere dalla necessità di sormontare notevoli difficoltà pratiche — telefoni tagliati, posta censurata, rigidi controlli doganali — per potei realizzare questo proclama congiunto, la sua stesura costituisce in sé un fatto del tutto insolito tra le imprese tentate dai dissidenti dell'Europa Orientale. 11 Times pone in rilievo non soltanto come questo sia il primo caso in cui le forze democratiche dell'opposizione siano finalmente riusci te a prendere un'iniziativa insieme, ma come possa parlare addirittura di «un documento storico», forse da paragonare un giorno alla Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti. Più della commemorazione delia rivolta ungherese, è significativo, nel proclama, il confluire dell'aspirazione alle libertà democratiche di quattro popoli, ungherese, polacco, ceco, tedesco orientale, e il fatto che vi siano rappresentati orientamenti assai diversi: cattolici, atei, nazionalisti di destra, operai di sinistra, esponenti di movimenti pacifisti a attivisti clandestini. Costituì scono tutti, comunque, le vive forze politiche presenti dietro la facciata dei regimi ufficiali e attcstano come i tentativi — quale ad esempio quello di Kadar in Ungheria — di accattivarsi con una tirannia relativamente mite il consenso del popolo, non sinno riusciti. Lia Wainstein