Shamir, l'uomo dei no alla prova del dialogo

Shamir, l'uomo dei no alla prova del dialogo OSSERVATORIO Shamir, l'uomo dei no alla prova del dialogo La staffetta politica israeliana, che domani sanzionerà l'alternanza al vertice del governo fra il laborista Shimon Peres ed il conservatore Itzhak Shamir, rilancia sulla ribalta l'«uomo no» dello Stato ebraico. Se infatti il cambio di guardia imposto dalla logica dei numeri emersi dalle elezioni del 1984 (44 seggi in Parlamento per i laboristi contro i 41 del Likud centro-liberale) non offre scappatoie alla formula — inedita per Gerusalemme — del Gabinetto di unità nazionale, l'interrogativo del momento è un altro, più personale e meno istituzionale. Ossia fino a dove, ed entro quali limiti, il nuovo premier saprà conciliare le complesse esigenze di una leadership ispirata alla continuità con le asperità caratteriali che da sempre lo hanno animato. Perché mentre Peres era stato il difensore pragmatico del dialogo e delle aperture negoziali (basta ricordare gli incontri, ormai storici, con re Hassan del Marocco ed il presidente egiziano Mubarak nel tentativo di sbloccare il contenzioso mediorentale), Shamir invece è il tipico rappresentante dei «falchi» disposti a concedere pochi, esigui spazi ai compromessi. «Con me o contro di me», uno slogan di vita il suo, assolutistico, intransigente, dettato dalla particolare chiave di lettura degli «imperativi morali della Bibbia», che adesso verrà messo a dura prova con l'investitura alla Kenesset e la conferma della compagine ministeriale in cui dovranno coesistere la destra e la sinistra. Eppure, stranamente, curriculum del futuro primo ministro d'Israele appare spaccato in due fasi contrapposte: quella iniziale marcata dalla clandestinità, dall'obbedienza cieca, senza riserve, agli ordini delle organizzazioni terroristiche che operavano nella Palestina sotto il mandato britannico, poi il salto sul palcoscenico della politica quando il delfino «improbabile» di Menahem He gin comincia ad indossare le vesti del personaggio scomodo, l'uomo, insomma dei grandi rifiuti. Nato nel 1915 a Ruzinoy, in Polonia. Shamir (allora si chiamava Yezernitzky) fu subito un combattente. Da giovane aveva militato nel movimento Belar, vicino all'ala dei sionisti revisionisti di Ze'ev Jabotinsky, convinto assertore che l'indipendenza ebraica non poteva essere ottenuta se non tramite il ricorso alle armi. A soli venti anni entra neW'lrgun Zewai Lcmnì, il gruppo alla macchia diretto da Begin, ma presto se ne distacca, non condivide l'eccessiva riluttanza dei compagni di lotta ad intraprendere azioni di sabotaggio, preferisce passare agli oltranzisti della Lehi, la vera cellula della resistenza antin glese. E' la famosa «banda Stern» che firmerà gli attentati più clamorosi dell'epoca, come l'uccisione del mediatore dell'Onu, Folke Bernadotte, e l'assalto, nel 1949, al «King David Hotel» di Gerusalemme. Ancora oggi i biografi ufficiali tacciono, oppure preferiscono sorvolare sul ruolo effettivo svolto da Shamir, se in sostanza avesse anche imbracciato il mitra o se piuttosto si fosse limitato a mettere al servizio della causa le sue formidabili doti di organizzatore meticoloso. Di certo è che, catturato, riusci a fuggire a Gibuti e riparare da lì in Francia. Tornerà in patria solo dopo l'indipendenza per scendere di nuovo «sotto terra», dieci silenziosi anni di appartenenza al Mossad, il servizio segreto. Infine nel 1970, contro ogni aspettati va, la trasformazione in uomo politico con l'adesione al partito Herut, la rapida ascesa nei ranghi culminata con i tre anni da speaker del Parlamento. Piccolo, tarchiato, gli occhi di ghiaccio, pessimo oratore, schivo della pubblicità (si sa soltanto che la moglie è di origine bulgara) Shamir infine assume a sorpresa le redini del Likud, diventa mi nistro degli Esteri e riprende a snocciolare i suoi implacabili «no»: si astiene dall'ap provare gli accordi di Camp David del 1979, tuona contro coloro che ostacolano l'an nessione della Giudea e della Samaria, respinge qualsiasi ipotesi di accordo con VOlp di Arafat. Adesso la promes sa di «mutare stile ma non la sostanza», un monito inequivocabile ad amici e nemici. Piero de Garzarolli

Luoghi citati: Francia, Gerusalemme, Gibuti, Israele, Marocco, Palestina, Polonia