Marchesa Stupore

Marchesa Stupore LA CASATI EI FALSI EREDI Marchesa Stupore Nel deplorare l'oblio toccato alla straordinaria, irripetibile personalità della Marchesa Luisa Casati (vedi La Stampa, 14 dicembre 1982) credevo che sarebbe stato impossibile, già adesso, ricostruirne le vicende complicate e l'ambiente di relazioni sociali, non meno ricco e complesso. Non avrei mai sperato che una così vistosa lacuna nella storia nostrana della prima metà di questo secolo potesse venire affrontata e risolta: cosa che, invece, è accaduta con risultati molto superiori al prevedibile. Una intraprendente casa editrice di Bologna, «L'Inchio■ scroblu», ha poco fa pubblicato un volume sull'argomento, intitolato Core e dovuto alla penna di Dario Cccchi, un autore le cui capacità di ricerca nel campo storico-artistico e sociale sono ben note (basti ricordare il suo volume su Antonio Mancini, Utet, 1966). Leggere questa sua recente fatica (che non è stata certo lieve) significa penetrare in un'avventura umana di quasi incredibile stranezza: c'è da ripetere con Jean Coctcau «que la marquise Casali ne plaisait pus. Elle étonnait». Per chi ha una sia pur superficiale conoscenza dell'epoca e degli ambienti in cui si mosse questa folle e strabilian te meteora, il libro fa l'effetto di un mosaico gigantesco, nel quale si ricompongono innu mercvoli tessere, da Gabriele d'Annunzio a Filippo Marinctti, da Leon Bakst a Kees van Dongcn, da Robert de Montesquieu ad Augustus John, a innumerevoli altri personaggi, grandi e piccoli, i quali, siano miliardari come Rita Lydig, artisti come Giovanni Boldini, avventurieri o collezionisti, lesbiche o pederasti, ballerine o cardinali, fungono da attori in una delle più affascinanti tranches de vie che ci possa rivivere davanti agli occhi. Il volume contiene anche una documentazione fotografica di raro interesse, che culmina nelle due splendide e inedite immagini della Marchesa (oramai invecchiata e immiserita nel suo esilio londinese) dovute a Gerii Beaton. Tra i pitoni pialcobucrdiDMutimlogrdisuCbstA lettura ultimata, la petsonalità di Luisa Casati, nonostante i pitoni, i giaguari e le altre belve dello zoo di cui amava circondarsi, risulta quella di una donna timida, incerta, facilmente suggestionabile; ed è a questo punto che ci si domanda come possano verificarsi fenomeni del genere, quali siano le circostanze obiettive che ne consentano la realizzazione. Posso anche errare, ma credo che un siffatto miscuglio di stravaganze, di irrazionalità, di sperperi e di ostentazioni (e anche di volgarità) sia il portato di fasce sociali, già subordinate e persino insignificanti, che ascendono soppiantando le vecchie élites colpite dal declinio economi co. Negli ultimi due decenni dello scorso secolo, l'affermarsi di Gabriele d'Annunzio (che chpdqsonmpsozpclesgnvsvcddoultvpupsmqpobscrcs più tardi si ritroverà accanto alla Casati, in stretta amicizia) coincide con il tramonto di buona parte dell'antica aristocrazia terriera e con l'apparire di un nuovo ceto industriale. Del resto, non a caso se la Marchesa nasceva, nel 1881, in un ambiente di quest'ultimo tipo; il padre, Alberto Amman, magnate della finanza lombarda e proprietario di un grande cotonifìcio, era dotato di enormi mezzi, derivati dalle sue attività industriali. Nuovi ricchi sdcpVPsmbtcmimrgUn fenomeno come Luisa Casati è impensabile nell'ambito del Meridione, entro le strutture sorrette dall'equina- e o e a o i o o s i i e che esso si verifichi nell'area prioritaria e trainante dell'industria italiana. Del resto, qualcosa di simile è accaduto sotto i nostri occhi, anche se non ce ne siamo resi conto nel modo dovuto. Si afferma in genere che il popolo italiano conosce le sommosse, ma non le rivoluzioni; è vero, ma soltanto se per rivoluzioni si intende il cerimoniale terroristico-teatrale delle ghigliottine, delle feste ideologico-cclebrative, de gli incendi di chiese e di monasteri. Qui da noi tutto avviene in sordina, con esiti, forse, più radicali di quel che si verifica là dove il trapasso si compie in mezzo a schiamazzi di intellettuali impegnati, di deologi, di progettisti utopici, di carnevalate variopinte. Nel silenzio, dal 1960 ad oggi, l'Italia è passata per una delle trasformazioni rivoluzionarie più radicali di tutta la storia d'Europa. Ancora vent'anni addietro, in tutte le principali città nostrane c'era una rosa di famiglie, illustri per storia, per censo, per prestigio secolare: venire ammessi nelle loro dimore, frequentarle, partecipare ai loro pranzi era considerato un onore a pochi concesso e am bitissimo. Oggi quei grandi nomi si sono vanificati, depressi in secondo e terzo piano dal sorgere di fortune colossali di re centc nascita, ma al cui con fronto gli antichi patrimoni che un tempo parevano favolosi, impallidiscono e risultano una quisquilia. Chiamiamolo miracolo economico o seconda rivoluzione industriale, il fatto è che i già al vertice contano oggi ben poco, e da Reggio Emili a Pordenone, da Treviso a Fi renze, - da Roma a Bari Una nuova aristocrazia (ancora non dirozzata ma potentissima) attende che si stenda il suo Libro d'Oro. Tutto ciò è avvenuto in parallelo alla crescita del reddito di classi subalterne, che da una fame bimillenaria sono salite a un benessere im prevedibile, mentre fenomeni affini a quelli di cui si diceva dianzi si verificano secondo modi simili ma diversificati nel dettaglio. E' vero che in alcune città nulla sembra essere mutato: è perché i vecchi termini di paragone vi hanno resistito, o per , la linea di condotta rigidamente immutata di alcune famiglie illustri (come a Genova) o per la presenza di una o più dinastie industriali vecchie già di più generazioni e di immenso potere economico (come a Torino); ma altrove le dighe vacillano o si sono spezzate, come a Roma. Qui, sparita la temibile e ferrea presenza di Isabel Colonna (che per decenni fu la vera Regina della Capitale, attorno a cui ruotava la società del luogo), nell'assenza di qualsiasi punto di riferimento, si sta assistendo a episodi sul tipo di Luisa Casati, a un livello però assai meno qualificato. E infatti, in parallelo con l'allargarsi della base sociale (di coloro cioè che fruiscono dei beni materiali) si abbassano i connotati culturali dei protagonisti. Ai tempi di D'Annunzio, i modelli di comportamento si rifacevano al Rinascimento, ai suoi condottieri, ai suoi artisti: era l'epoca del mobilio in stile, dei primitivi, delle donne fatali che tentavano di adeguarsi alla presunta spiritua lità delle Simonctte Vespucci, delle Caterine Riario, delle Ginevre Sforza. Più tardi, è stata la volta delle stars di Hollywood, prese ad esempio e imitate, mentre si moltiplicavano i matrimoni di Principi del Soglio Pontili cale con attrici di dubbia reputazione, gli scandali in Via Veneto, a Capri e nelle sale di Palazzi oramai ipotecati, le di' spersioni di raccolte d'arte for mate secoli addietro. Adesso assistiamo all'esibirsi di dame del tipo che un tempo venivano qualificate con aggettivi del dialetto romanesco molto espressivi ma irripetibili, e che oggi si muovono sotto le luci della ribalta rimorchiando negligentemente stole di visone lasciando scie di profumi costosissimi, organizzando feste frequentate avidamente da uomini politici, piccoli regi sti cinematografici, e da tutto uno stuolo di comparse "de ,grì*,dt una veM.jC,p«>{>rifc tgrfrassai tipico) si moltiplicano i manuali di comportamento, i decaloghi del saper vivere, riecheggiati dalla stampa settimanale e basati sull'ignoranza di quello che è il primo fondamento dell'etica non dico aristocratica, ma civile: che è la disinvolta sicurezza dovuta all'esperienza di molte generazioni, non importa neppure se ricche o povere. L'orpello culturale dei tempi dannunziani, dopo essersi tramutato in eccentricità all'epoca della Casati ha finito col precipitare nella confusione tra spregiudicatezza e pacchianeria. Federico Zeri Roberto Montenegro: «La marchesa Luisa Casati Stampa» (1914)