Quando Arafat getta il ramoscello d'ulivo di Igor Man

Quando Arafat getta il ramoscello d'ulivo OSSERVATORIO Quando Arafat getta il ramoscello d'ulivo La piena, franca rivendicazione da parte dell'Olp del blitz al Muro del Pianto ha una sua logica. Anche se è la logica disperata del «tanto peggio tanto meglio». Arafat è oramai alle corde. La maggioranza assoluta di Al Fatali (ch'è il nerbo dell'Olp), con in testa Abu Iyad, il più vecchio amico di Arafat, padrino spirituale di «Settembre Nero» e capo dei servizi di sicurezza dell'Olp, contesta da tempo la linea «diplomatica» del tormentato leader: vuole la rottura definitiva con Hussein (mentre Arafat ha solo «congelato» gli accordi dell'I 1 febbraio con la Giordania); postula il recupero dei «frazionisti» di Abu Mussa e, quindi, il ritorno dell'Olp in seno al blocco arabo egemonizzato dalla Siria; vuole la guerriglia «fino all'ultimo uomo». Arafat, nel novembre del 1985, lesse al Cairo, sotto lo squardo compiaciuto e attento di Mubarak, una solenne dichiarazione di ripudio del terrorismo «cieco e criminale).(Da allora l'Olp si è regor larmcntc dissociata da ogni azione terroristica e lo stesso Arafat ha condannato con violenza la strage nella sinagoga di Istanbul). Ma il ripudio del terrorismo non comporta la rinuncia alla lotta armata «nei territori occupati», come, allora, precisò Arafat e come, adesso, ribadisce l'agenzia di notizie palestinese Wofa. In forza di codesto assunto, undici giorni fa, a Baghdad, il comando militare dell'Olp ha deciso l'azione al Muro del Pianto annunciando che «la guerriglia sarà intensificata in ogni lembo della Palestina occupata». Ma qual è la Palestina occupata? Per l'Olp è lo Stato di Israele. Arafat è alle corde. Quando, cedendo ' alle pressioni dei Paesi arabi moderati accettò il Piano Fes (che al punto 7 riconosce implicitamente Israele), cercando successivamente la strada maestra della trattativa attraverso la scorciatoia giordana, si vide respingere da Israele e dagli Stati Uniti perché «capo di una banda di terroristi». Allorché, non senza travaglio, s'è infine deciso a mettere in naftalina il khalanshikov per agitare il ramoscello d'ulivo subendo la scissione, prima, e rischiando la liquidazione fisica, poi, giacché aveva osato dire, ad Harare, d'essere pronto a riconoscere la 242, si è sentito rispondere che con lui non metteva conto trattare «perché l'Olp non rappresenta più nessuno». Condannato a una diaspora sempre più avvilente dopo lo sfratto dalla Tunisia, contestato in seno alla sua stessa organizzazione, al vecchio Abu Animar non rimaneva che varcare il Rubicone della violenza. Non fosse altro per sopravvivere politicamente. Ma sulla sua decisione di tornare al khalashnikov, deve aver pesato, soprattutto, il recente sondaggio d'opinione nei territori occupati. Il 93 per cento di quegli abitanti lo indica «leader più amato» epperò, al tempo stesso, boccia la sua antica proposta di Stato multiconfessionale ma non già per contrapporgli il progetto di una confederazione con la Giordania bensì per rivendicare addirittura uno «Stato islamico». E dunque per non farsi scavalcare da una base che forse lui stesso non immaginava disperata al punto da diventare estremista, Arafat ha deciso di calvalcare la ti¬ gre della lotta armata. Destinata, per fatale forza di cose, a sconfinare, prima o poi, nel terrorismo. L'attacco palestinese al Muro del Pianto preoccupa gli esperti militari israeliani. Meno emotivi dei politici, lo definiscono una «azione di guerriglia, preparata con cura» e foriera di possibili guasti maggiori. Certo, sul piano politico il sanguinoso blitz dei fedayn è diventato un boomerang poiché ha sortito l'effetto, in Israele, di fugare d'un colpo i contrasti che sembravano bloccare la «rotazia». Ora Shamir diventa primo ministro più che mai nel segno di quella politica del rifiuto postulata dal Likud secondo cui un rilancio del processo di pace è non solo sterile ma contrario all'ideale biblico di «Eretz Israel» (il Grande Israele). Ma il blitz dimostra che quando la guerriglia è «pensata» può bucare anche uno scudo protettivo quale quello, poderoso, forgiato dai servizi di sicurezza ebraici. Mai come questa volta, la rappresaglia diremo di routine con l'impiego dell'«artiglieria aerea» contro i soliti villaggi palestinesi, ha rivelato la sua tragica sterilità. Sicché è da presumere che, nel futuro, la rappresaglia, nell'ottica israeliana, dovrà tradursi in repressione: ovviamente nei territori occupati dove il clima da in candcscentc qual è potrebbe divenire esplosivo. Col rischio di congelare di nuovo la pace tra Egitto e Israele creando, cqn ciò, le premesse di una disastrosa escalation esasperata dai due opposti estremismi: quello, montante, islamico; quello, risorger te, della destra israeliana. Igor Man