La faida delle lingue
La faida delle lingue le opinioni ■ del sabato f La faida delle lingue TRISTANO BOLELLI Il Belgio, pur così progredito e civile, è affetto da una piaga gravissima che è il suo bilinguismo. Già in passato si era avuta notizia che in comunità di lingua fiamminga, se un prete in chiesa si permetteva di predicare in francese, succedevano cose poco evangeliche come botte da orbi, panche rovesciate, trambusti orrendi e probabilmente sarebbe accaduto lo stesso in una situazione specularmente inversa. Ora si legge che un sindaco della zona di lingua francese, rifiutandosi di parlare in fiammingo, e dichiarando di non volerlo imparare, è stato destituito dal Consiglio di Stato, ma le conseguenze sul governo pare che 'iano gravissime. A tanto arriva una sorta di fanatismo culturale che impone ai pubblici ufficiali di sapere le due lingue dello Stato belga. Tale situazione di assurda intolleranza era deplorata in una conversazione che ebbi alcuni anni fa, con un illustre personaggio belga, rettore di una celebre università. La città stessa di Bruxelles, situata in zona fiamminga bilingue ma con prevalenza francofona, è l'emblema del disagio che scoppia molto frequentemente nella politica del governo belga e all'interno degli stessi partiti politici. Che questo possa avvenire in un Paese così decisamente europeistico come il Belgio è certamente una contraddizione ma non bisogna dimenticare che al fondo del problema linguistico c'è un indubbio disagio che oppone due culture. L'elemento francofono che, nei suoi scrittori, tende sempre più, negli ultimi tempi, a integrarsi nella letteratura francese dalla quale era abbastanza staccato per un suo peculiare regionalismo, sente che il francese al di là della sua tradizione gloriosa, è pur sempre, se non la lingua di cultura per eccellenza come nel Settecento e nell'Ottocen-. to, una delle lingue più note del mondo. L'elemento fiammingo, la cui letteratura, uscita anch'essa da esperienze provinciali, ha fornito modernissime forme di espressione, scrive in una lingua che non va più in là dell'Olanda e deve necessariamente orientarsi verso una seconda lingua se vuole farsi conoscere nel mondo. Certo, è facile dire che i fiamminghi usino il fiammingo e i valloni il francese ma la situazione, anche perché sono implicati problemi scolastici ed economici, questioni di convivenza, rapporti di tolleranza, è minata da un dissidio che è quotidiano e scoppia in crisi ricorrenti come questa, provocata da un sindaco al quale si vuole imporre di imparare una lingua che egli non vuole affatto studiare. I belgi sono nominati all'inizio del De Belio Gallico per primi nella suddivisione dei popoli gallici. Ebbene, nell'immensa congerie di leggi romane, non se ne trova nemmeno una che imponga ai popoli sottomessi l'uso del latino. Che questa lezione non valga proprio niente per i belgi e, in generale, per noi europei, così pronti a riempirci la bocca del nome d'Europa e di unità europea?
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