I due stivali di Togliatti di Livio Zanetti

I due stivali di Togliatti n nodo che il pei non ha sciolto I due stivali di Togliatti 0 , i i to o o to, ti di o e nel nrdi, vo i po il è slto. cto ai A chi ora ha vent'anni, il dibattito in corso sui fatti d'Ungheria, sul modo in cui li visse il partito comunista italiano e su quello con cui li giudica oggi, può sembrare una controversia accademica intorno a faccende sorpassate e un po' polverose. E invece investe un quesito fondamentale della politica italiana dei nostri giorni, cioè questo: il partito comunista è diventato in tutto e per tutto partito laico, e come tale capace di partecipare alla contesa democratica rispettandone le regole del gioco senza barare troppo? Le due questioni — dibattito sui fatti d'Ungheria e quesito sulla laicità del pei — sono strettamente intrecciate, e dalla risposta alla prima dipende anche quella alla seconda. Quando si chiede a Pietro Ingrao (vedi servizio di Paolo Mieli su La Slampa del 7 ottobre) e ad Alessandro Natta (vedi intervista di Ugo Baduel su l'Unità) per quale ragione in quell'indimenticabile 1956 abbiano approvato la repressione sovietica, facendo propria la tesi secondo cui i carri armati di Mosca sparavano per difendere il socialismo mentre i rivoltosi di Budapest erano più che altro dei controrivoluzionari nemici dell'ordine nuovo, è appunto questo che si cerca di capire: se gli attuali dirigenti del pei si siano ormai definitivamente laicizzati, o se si trovino ancora in qualche modo impigliati nei laccioli del pensiero totalitario, ossia di quel modo di ragionare che non tiene tanto conto dell'evidenza dei fatti e della forza degli argomenti, quanto del supremo interesse della «Causa». Ingrao, interpellato per primo, ha risposto che disgraziatamente si era sbagliato nel valutare il significato della rivolta. Ma cosi rispondendo ha detto una cosa inesatta, perché già allora sapeva benissimo che quella di Budapest era sostanzialmente un'insurrezione di popolo e non un puro complotto di agenti della Cia, e che i cingoli dei carri armati non stavano schiacciando un putsch hortista, ma il sogno del socialismo dal volto umana Natta, ascoltato per secondo, è stato meno reticente. Ha riconosciuto che non si trattò da parte sua d'un errore nell'analisi degli eventi, ma di una precisa scelta politica. Scelta dolorosa? E sbagliata? Che sia stata dolorosa egli ce lo assicura ("fu.un fatto terribile e laceraniei) e c'è motivo di credergli. Che fosse anche sbagliata, non lo ammette del lutto. E perché non lo ammette? La risposta ce la dà egli stesso in alcuni passaggi del suo colloquio con Baduel. Mentre riconosce che «in Ungheria c'era un grande molo di popolo*, e che Imre Nagy "era certamente un comunista la cui esecuzione fu per noi allora un Livio Zanetti (Continua a pagina 2 in quarta colonna)

Persone citate: Alessandro Natta, Baduel, Imre Nagy, Ingrao, Natta, Paolo Mieli, Pietro Ingrao, Togliatti, Ugo Baduel

Luoghi citati: Budapest, Mosca, Ungheria