Nell'abbazia dei delitti

Nell'abbazia dei delitti ESCE OGGI IN ITALIA «IL NOME DELLA ROSA», IL FILM TRATTO DAL BESTSELLER DI UMBERTO ECO Nell'abbazia dei delitti Tagli e modifiche dell'ultimo minuto all'edizione italiana del film: la Rai temeva di aver in parte finanziato un'opera contro la Chiesa? - Libro (5 milioni di copie nel mondo) e film (32 miliardi di lire) sono «molto vicini, molto lontani», dice il regista Annaud - Il produttore italiano Cristaldi: «Un esempio del nuovo modo europeo di fare cinema» ROMA — Hanno continuato a tagliare e modificare // nome della rosa sino all'ultimo, a pochi giorni prima dell'uscita contemporanea del film di Jean-Jacques Annaud in cinquanta città italiane, dell'apparizione del kolossal medieval-tcologico-poliziesco su cento schermi cinematografici. Dalla battuta iniziale del protagonista Guglielmo da Baskcrvillc, frate intellettuale francescano 'interpretato da Sean Connery, uno Sherlock Holmes medievale che «arriva a conclusioni giuste per strade sbagliale», tagliata via la sardonica battuta: «Un'altra generosa donazione della Chiesa ai poveri», commento alla distribuzione ai contadini dei rifiuti del convento. Resa esplicita l'angoscia da peccato carnale del coprotagonista Adso da Melk, giovanissimo novizio interpretato da Christian Slater, che dopo aver fatto per la prima volta l'amore con una ragazza ora dice: «Temevo di essere preda del demonio... il quale sa bene come afferrarti l'anima e illudere il corpo... E poi capii l'abisso... e l'abisso invocato dall'abisso... E mi resi conto che avevo peccato». Ancora, ampliate certe battute che descrivono il convento come un opificio di saggezza, pietà e scienza: e non soltanto come un posto dove i monaci vengono ammazzati perversamente, affogati nel sangue di maiale o avvelenati, dove l'Inquisizione pratica le sue feroci torture e gli accusati d'eresia ardono sul rogo. Modificato in fervorino salvatutto l'addio del maestro Guglielmo al suo novizio: «L'Anticristo può nascere dalla slessa pietà, dall'eccessivo amor di Dio r della verità, come l'eretico nasce dal santo e l'indemoniato dal veggente. E la verità si manifesta k'Tfihti anche negli'errori del mondo... così che dobbiamo deci/faìm / segni... Macte/laddove ci appaiono oscuri e inles siiti di una volontà del tutto in tesa al male». Allora è proprio vero che all'ultimo momento i dirigenti della prima rete televisiva della Rai, «produttrice del Nome della rosa, hanno creduto d'ac . corgersi di aver co-finanziato un film anticlericale? E' proprio vero che, per quanto la storia si svolga nel Trecento, nmacodgldinn ne sono rimasti spaventatissimi e raccapricciati, che si sono affannati a correre ai ripari, che sono stati loro a chiedere e ottenere modifiche e tagli tali da migliorare un poco l'immagine della Chiesa? «No, è dierso», spiega il produttore italiano del film, Franco Cristaldi. i»/ dirigenti della Rai, visto il film, hanno trovato che si erano perdute certe cose del copione iniziale da loro letto. Quindi, quelle cose le abbiamo ripristinate». In tutte le edizioni del film? «Soltanto nell'edizione italiana». Lo ha fatto il regista, questo lavoro? «Ho dovuto farlo io. non avevamo tempo. Ma ne ho discusso con Jean-Jacques Annaud al telefono, era d'accordo». Bella battaglia all'italiana. Ma finalmente eccoli di fronte, libro e film. Il libro di Umberto Eco, uno dei romanzi più straordinari degli ultimi anni ha realizzato il miracolo di fare avventura poliziesca con le idee e la Storia, di trasformare in successo internazionale un volume erudito di cinquecento pagine che racconta di eresie religiose, di metafisica, della Poetica di Aristotele e d'una biblioteca che è un gran labirinto, segno del labirinto del mondo. Cominciato a scrivere nel 1978, pubblicato da Bompiani nel 1980, è stato tradotto in 24 lingue, sta per uscire anche in Giappone e in Israele, ha venduto nel mondo oltre 5 milioni di copie. Il film di Jean-Jacques Anriaud ha a suo modo dimensioni altrettanto grandióse: «Ha coinvolto 32 miliardi di lire, una troupe con gente di dodici nazionalità e tre nazioni, Germania, Francia, Italia», dice Franco Cristaldi. «E' l'esempio d'un nuovo modo europeo di fare cinema, più ambizioso, più cosmopolita e ardito, che pensa più in grande». Secondo Cristaldi: «Il film ha incassato oltre un milione di dollari durante dieci giorni, nella prima, modesta uscita di assaggio negli Stati Uniti. Il 24 ottobre uscirà in 150 città americane, in 600 copie. Non so come andrà; certo, sta andando bene. A certi critici americani è piaciuto poco; al Presidente italiano Cossiga, che l'ha visto l'altro pomeriggio al Quirinale, come spettacolo è piaciuto. A me piace molto averlo prodotto, mi auguro che segua il destino e- i lettori del libro, che provochi discussioni e conflitti, sintomo di vitalità». Libro e film prendono l'armonioso titolo da un verso d'un benedettino del XII Secolo, esprimente l'idea che di tutte le cose svanite ci rimangono puri nomi, e raccontano la medesima storia. Nell'ultima settimana di novembre del 1327, il novizio Adso accompagna in un'abbazia dell'Italia settentrionale il suo maestro cinquantenne Guglielmo da Baskerville: al suo fianco si trova a dover indagare su una serie di misteriosi delitti (sette in sette giorni, nel chiuso della cinta dell'abbazia) che insanguinano la biblioteca, contenente tutta la sapienza conosciuta ma mantenuta inaccessibile a tutti tranne che al bibliotecario. E' il bibliotecario, Jorgc da Burgos, l'assassino: lo muove la volontà di mantenere segreto. il secondo libro della Poetica di Aristotele dedicato specialmente alla commedia, convinto com'è che da quel libro potrebbe partire la scintilla luciferina di un'arte del ridere che annulla la paura «il cui vero nome è timor di Dio». Alla fine pure lui muore nell'abbazia devastata da un incendio che per tre giorni e tre notti brucia tutti i libri. Se storia e ambiente sono gli stessi, nel film cosa manca de // nome della rosa, giallo dove si scopre assai poco e il detective viene sconfitto? «Al libro, il film è molto vicino e molto lontano», dice il regista Jean-Jacques Annaud, quarantatre anni, autore dello scrupoloso La guerra del fuoco e soprattutto dell'antimilitarista e antirazzista Black and White in Color che piacque immensamente a Umberto Eco. «Ho dovuto scartare molte parti del romanzo dedicate alle eresie religiose, alle'controversie teologiche, alle citazioni erudite, al pastiche di, testi d'epoca, al background politico Con il con/Tu to tra i'Impefdvoti: Ludovico' iti Baviera e il Papa di Avignone Giovanni XXII. Tutto non si può avere. L'importante era ri spettare lo spirito globale del li bro, i suoi diversi livelli, la sua forza di parabola sui media e sulla volontà elitaria di possedere e sequestrare il sapere per mantenere il potere». Bisogna vedere se lo «spirito globale» era proprio questo. Umberto Eco ha orientato ri¬ cerche e aiutato con consigli, ha letto dialoghi e sceneggiatura, è andato sul set a vedere le bellissime costruzioni di Dante Ferretti (e anche a salutare il proprio figlio Stefano, assistente alla regia), ha visto // nome della rosa, ma sempre restando distante: «Io ho fatto il mio libro, Annaud il suo film». Ha rifiutato di esprimere pubblicamente giudizi, s'è messo al riparo da ogni coinvolgimcnto con una formula accademica, lambiccata e imprecisa studiata per i titoli di testa, «dal palinsesto del romanzo di Umberto Eco»; e ha spiegato che «un palinsesto è un manoscritto che conteneva un testo originale e che è stato grattato per scrivervi sopra un altro testo». Di a\ie\Y «altro, testo» che è diventato al cinema // nome della rosa non gli saranno piaciute tra l'altro l'assenza di humour, la semplificazione; la caratterizzazione macchiettistica che l'ottantunenne Feodor Chaliapin jr. fa di Jorge da Burgos, il brutto Ubertino da Casale recitato da William Hickey; la folla troppo pittoresca di gobbi, storpi, sdentati, malati, nani. E si sa che Eco e lo storico francese Jacques Le Goff hanno tentato invano di spiegare al regista che nel Trecento il rapporto tra i monaci italiani e i loro contadini non somigliava a quello tra padroni e schiavi, tra nazisti e prigionieri dei campi di concentramenlo, ma aveva piuttosto caratteri paternalistici, familistici. Nella Storia che va maneggiata con delicatezza, non sono soltanto gli sgomenti dirigenti Rai a confondere passato e presente, in tanti si son divertiti al gioco delle analogie: i procedimenti dell'Inquisizione somigliano ai processi politici attuali: il potere spartito tra Papa e Imperatore somiglia a quello delle due Superpotenze contemporanee: il possesso della'cultura da parte di pochi somiglia al controllo dell'informazione e- dei libri esercitato dai politici nei Paesi totalitari o dittatoriali... Al regista Annaud simili accostamenti paiono meschini: «Quando si parla di qualcosa con profondità, il discorso diventa universale, atemporale» dice dandosi arie. «Nel mitro cosmo conventuale del Nome della rosa si ritrovano tutti mondi». Lietta Tom abuoni i a e Sean Connery nel film «il nome della rosa» interpreta Guglielmo di Baskerville