«L'Esule di Roma», un Donizetti progressista

«L'Esule di Roma», un Donizetti progressista L'opera a Savona nella prima esecuzione scenica del secolo, direttore De Bernart - Magnifica Gasdia «L'Esule di Roma», un Donizetti progressista SAVONA — Anche quest'anno il «Teatro dell'opera giocosa della città di Genova», fedele alle proprie tradizioni di curiosità antiquaria, ha tratto dagli archivi polverosi del melodramma ottocentesco un'opera sconosciuta di Gaetano Donizetti, presentandone al Teatro Chiabrera di Savona la prima esecuzione scenica del secolo. L'Esule di Roma, creato a Napoli il 1° gennaio del 1828 e composto su un atroce libretto di Domenico Guardoni, non è una perla di fulgida bellezza ma costituisce indubbiamente un documento di grande interesse oltre che un «melodramma eroico», tutto sommato, di gradevole ascolto: se ne esce corroborati, come dopo una salutare passeggiata mat.tutina. --/■:'''• Il paesaggio non sarù^subìlme ma-l'aria * fresca e nuova: fuor di metafora s'allude alla natura incon test abilmente progressista del i'£su(e di Roma, alla sua tensione verso nuove frontiere che sposta in secondo ordine l legami ancora evidenti, ma non poi cosi marcati, come alcuni sostengono, con la tradizione. Quale tradizione? Quella rossiniana, naturalmente, che il giovane e prolifico Donizetti (trentun'anni, venticinque opere alle spalle) costeggia ormai di lontano, gettandovi solo qualche sguardo di addio: certi inequivocabili intarsi strumentali, un po' di belcantlsmo acrobatico nell'ultima scena,'qua e là ritmi scattanti e nervosi. Ma nel complesso c'è più forza che in Rossini, e un'adesione diretta al contenuto drammatico, senza ammiccanti giochetti di straniamente musicale. In questa schietta sincerità di espressione va ricercato probabilmente il motivo dèi grande successo cui l'opera andò Incontro nell'Ottocento, sino a che Donizetti superò se stesso con 1 grandi capolavori della maturità. ■ ■ / . j -II- singolare- terzetto che-chlude il primo atto, pieno di forza e di tensione, è un po' il simbolo di questo nuovo operare: 11 ritmo degli eventi non conosce soste e qui, come al trove. l'opera scorre veloce con passo salubre passando con disinvoltura attraverso vistose oscillazioni, di qualità, dal sublime al dimesso. Che Donizetti con l'Esule di Roma volesse far bella figura davanti al pubblico più esigente d'Italia qual era quello del S. Carlo di Napoli, non sembra contestabile: la partitura è lavorata con notevole finezza di strumentazione e l precetti del venerato maestro Simone Mayr sono messi scrupolosamente in pratica attraverso l'uso frequente di parti solistiche che descrivono delicati e poetici itinerari, esplorazioni, ancora prudenti, ma sincere, nell'interiorità dell'animo. Eleganti preludi strumentali aprono talvolta le singole scene, e anche nei recitativi, particolarmente maturi, già fioriscono quelle melodie trasognate e nostalgiche che troveremo, anni dopo, nella Lucia. Quel che manica tuttavia è non solo la coerenza ma la logi(ca narrativa e drammaturgica del tùttó'àssentl dell'incredibile libretto: l'oleografica leggenda dell'esule Settimio, condannato ad esser sbranato nel circo ma risparmiato da un leone cui un giorno, sulle montagne del Caucaso, aveva tolto una spina da una zampa, s'ingorga in un impacciato sistema di goffe relazioni affettive. E' chiaro che un'opera del genere deve agli interpreti la propria fisionomia definitiva. Sotto questo aspetto il Teatro dell'opera giocosa si è ottimamente garantito, radunando un cast di prim'ordine In cui spiccavano, bravissimi. Cecilia Gasdia e Simone Alaimo nel le parti di Argelia e Murena, ben coadiuvati da Ernesto Palaclo e Armando Ariostini in quelle di Settimio e Publio. L'orchestra sinfonica di Piacenza, molto accurata, e il Coro dell'opera giocosa istruito da Mauro Trombetta erano diretti da Massimo De Bernart che ha saputo valorizzare i pregi della partitura e mascherarne i limiti. Ottimamente assecondata dai cantanti e dai costumi dello scenografo Ferucclo VlllagrossL la regia di BéfcpeXje- ~l>mfet;a'avv8jeycV||i belle scene dipinte, ispirate-a, quelle del Sanquirico che le aveva disegnate per la ripresa scaligera dell'Esule, nell'estate del '28. La serata ha avuto un esito molto lieto, con ripetute chiamate al proscenio, alla fine dei due atti, per tutti gli artefici dello spettacolo. Paolo Gallarati