Ulisse nel doppio Inferno di Osvaldo Guerrieri
Ulisse nel doppio Inferno A Bologna De Berardinis in «Riflessi di Omero e Joyce», a Milano «Una giornata qualunque» Ulisse nel doppio Inferno Lo spettacolo chiude l'ideale trilogia per attor solo - In un unico bozzolo narrativo l'immagine arcaica e quella decaduta dell'eroe che trova nel viaggio il senso della vita DAL NOSTRO INVIATO BOLOGNA — Abito da passeggio bianco, un bastoncino di canna che potrebbe essere quello di Charlot o •l'occhio sonoro* dt un cieco. Leo De Berardinis appare cosi sulla scena del Testoni, fra 'segmenti di luce che tagliano il fondale nero e disegnano incroci e croci immateriali, coni astratti. E' un'improvvisa materializzazione, quasi lo spettro di una Belle Epoque che si sia degradata nel postmoderno. Esclama: «Musa, quell'uom di multiforme ingegno dimmi» e comincia a precipitare in quel doppio oceano letterario che è l'Odissea di Omero e l'Ulisse dt Joyce. Con II ritorno, riflessi di Omero e Joyce, Leo conclude l'ideale trilogia aperta dal Dante Alighieri e proseguita col Cantico del cantici ; sigilla un teatro per attor solo con un'intensità e un rigore che, a tratti, lasciano persin sbalorditi. Uncinato e trascinato dalle suggestioni di Ulisse, Leo ingloba in un solo bozzolo narrativo l'immagine arcaica e quella decaduta dell'eroe che trova nel viaggio il paradiso e l'inferno della propria vita. Ulisse è Leopold Bloom, Penelope è Molli/. Telemaco è Stephen Dedalus, «l'artista da giovane», in un parallelismo che ha perso tutte le implicazioni metaforiche e simboliche. Infatti Leo non racconta. Trascorrendo da una zona all'altra del palcoscenico, dalla luce all'ombra, tra geroglifici di luce e lo sfondo di uno scenario urbano, Leo vive. E' Ulisse e Bloom, Penelope e Molly, Telemaco e Stephen: a i ' e : sperimenta l'impossibile via del ritorno a casa, quell'approdo desiderato, raggiunto e negato. Ulisse dovrà lasciare Itaca per portare il proprio remo in una terra che non conosce il mare, Bloom si accorgerà, dinanzi alla soglia domestica, di non avere con sé le chiavi. Il viaggio chiama, ancora e sempre. Con gli endecasillabi squillanti e rotondi di Plndemonte e con l'italiano reinventato da Giulio De Angelis, Leo s'immerge nel doppio inferno di Ulisse. Ma, attraverso gli scarti e i colori linguistici (il napoletano che irrompe all'improvviso) e col fragoroso supporto di una batteria, ci avverte che, nonostante i travestimenti, in scena c't sempre lui, Leo, che cercando un'identità con i due umanissimi e travagliatissimi eroi letterari, tenta una risposta ai dubbi e alle angosce di oggi. Ma sema arbitrii, senza atteggiamenti corsari; anzi con una illimitata devozione ai testi. Anche nel monologo di Molly, dove Leo, con l'aiuto di un duplicatore della voce, raddoppia le proprie parole in modo che il monologo sembri detto, quasi all'unisono, da un uomo e da una donna. E' una diavoleria elettronica. Parlando in uno speciale microfono (chiamato peach transposer) la voce esce non solo doppia, ma aumentata di un'ottava. Non si tratta di un espediente illusionistico, il • trucco* nasce da una precisa indicazione joyciana, là dove Stephen Dedalus dice che la ripetizione di un certo episodio .avverrà all'ottava». Più alla lettera di così... Ecco come, attraverso il racconto parallelo costruito dalla luce, l'elaborazione elettronica dei suoni e la presenza ora vitalistica ora affranta e larvale dell'attore, Leo raccoglie uno dei suoi successi più belli. Osvaldo Guerrieri .<.'<> De Berardinis in un momento dello spettacolo: un attore che non racconta ma vive
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