Vogel e l'Africa del «Wagadù»

Vogele l'Africa del «Wagadù» Ascona, omaggio al musicista Vogele l'Africa del «Wagadù» a o o o a à e a a : a s a , o o di ù a e n ai aoo, e iial pe ndi ni ooaca io e, a, t DAL NOSTRO INVIATO ASCONA — L'istituzione .Settimane Musicali di Ascona., che da più di quarant'anni assicura ogni autunno oltre un mese di importanti eventi musicali con la collaborazione della Radio Svizzera Italiana, ha voluto quest'anno ricordare colui ch'era stato uno dei suoi fondatori, il musicista russo-tedesco, ma anagraficamente svizzero, Wladimir Vogel, morto due anni fa in età di 88 anni, che nella cittadna climatica dell'alto Lago Maggiore aveva vissuto gran parte della sua lunga ed operosa vecchiaia. Lo stesso pasticcio delle nazionalità dice la poliedrica natura di questo musicista. Nato a Mosca, Vogel era stato avviato alla musica da Scriabin. Trasferitosi a Berlino, fu uno degli allievi prediletti di Busoni, cui votò una devozione costante. Scriabin, Busoni: questi nomi dicono già che l'arte di Vogel sfugge alle solite coordinate musicali del nostro tempo e non si lascia facilmente incasellare. Né Stra winsky né Schoenberg, e nemmeno Bartók, che pure ammi rava molto, perché in realtà non si saprebbe immaginare musicista più lontano dalle tentazioni del folclore che l'aristocratico Vogel. Questo musicista appartato svolse una funzione d'importanza storica quando alla fine dell'ultimo conflitto mondiale si adoperò attivamente, insieme con Dallapiccola, per coordinare, promuovere ed anche organizzare l'espansione del metodo dodecafonico fuori dei confini viennesi dov'era nato. Eppure anche allora, quando l'adozione del metodo seriale divenne norma del suo operare musicale, conservò una fisionomia evasiva, che non permette di accostarlo a qualcuno dei tre grandi padri (se mai, con molte riserve, a Webern, per una certa cristallina trasparenza). Per ricordarlo, ad Ascona hanno scelto il suo primo lavoro importante, quell'oratorio La caduta di Wagadù per la vanità, per soprano, mezzosoprano e basso, coro e coro pktlatop-eiiMpto-^séxòJdni' 'clarinetto, che a^Mìi'volta costituisce un caso sensazionale per le sue vicende compositive. Iniziato nel 1930 a Berlino (quando la tecnica del coro parlato costituiva di per sé un fatto straordinario, non essendone divulgata l'utilizzazione di Schoenberg nel Moses und Aron), potè essere eseguito, a Bruxelles sotto la direzione di Scherchen, soltanto nel 1935, avendo dovuto Vogel lasciare la Germania all'avvento del nazismo. (I suoi rapporti con la patria russa erano rimasti più che buoni dopo ch'essa era diventata sovietica). Poi, durante la guerra, il manoscritto di Wagadù andò distrutto, e il compositore lo riscrisse a memoria una ventina d'anni dopo, essendo nel frattempo passato armi e bagagli alla dodecafonia. Ci si può immaginare che razza di enigma stilistico sia questa riscrittura di un'opera a vent'anni di distanza, dopo che l'autore aveva letteralmente cambiato pelle. Resta chiaro che Vogel è un musicista eminentemente vocale. Specialmente il coro è il suo mezzo d'elezione. L'organico strumentale di Wagadù è significativo: niente grande orchestra con le sue policrome seduzioni, ma solo una famiglia di strumenti a fiato, cinque saxofoni (più un clarinetto, usato salvo errore una volta sola, ma in modo strepitoso). E' il coro a creare l'atmosfera di mistero leggendario di cui la musica avvolge la saga africana tratta dall'Atlantis dell'etnologo Frobenius: un'atmosfera di lontananze remote, da cui affiorano storie di guerra, di battaglie, di stirpi antiche. C'è una Stimmung biblica, ma di bibbia africana; per l'esattezza, berbera. Stranamente, quel compositore eminentemente vocale che fu Vogel, non fu tentato dal teatro. Più radicale, in questo, che lo stesso Schoenberg (e anche qui vale la vicinanza a Webern) sostituì l'opera lirica con l'oratorio, di cui fu, a tutt'oggi, l'ultimo maestro, rinnovandone forme e contenuti con soggetti tratti dalla storia, dall'archeologia e dalle arti (Pergolesi, Modigliani, Walser, di cui tracciò in forma d'oratorio diligenti biografie e ritratti). Wagadù è un'opera effica ce, nonostante la sua gelida oggettività espressiva: il clima leggendario del suo narrare i molto coinvolgente nei riguardi del pubblico. Un tempo era rimasto sepolto sotto la fama della sua difficoltà di esecuzione. In realtà, tutto sta a disporre d'un buon complesso' di specialisti del coro parlato. In Svizzera hanno il K(isretrradiItsicidiziEImangsanceptoWcTcHmdcspmlcdsqeccgmtgsuvspadDdpclgpns. Kammersprechchor di Zurigo (istruttore Richard Mere, direttore Bernhard Erne). L'altro coro, quello che, canta veramente, è il coro della Radiotelevisione della Svizzera Italiana, ben noto per le classiche incisioni di polifonia cinquecentesca e monteverdiana realizzate sotto la direzione del suo fondatore Edwin Lohrer. Il quartetto di saxofoni Iman Roth esiste da dieci anni, e qui funzionava egregiamente con l'aggiunta di un saxofono basso e di un clarinetto. Altrettanto soddisfacente il terzetto vocale (soprano Kathrin Graf, contralto Ria Bollen, baritono Kurt Widmer), e a guidare il tutto c'era la sapienza di Francis Travis, direttore che ha raccolto qualcosa dell'eredità di Hermann Scherchen, suo maestro. Sebbene esistano una traduzione italiana e una francese del testo, qui, nella chiesa del borromeo Collegio Papio, l'oratorio è stato giustamente eseguito in tedesco, lingua per cui erano stati precisamente pensati gli effetti del coro parlato. Il successo è stato rilevante, come sempre quando quest'opera venga estratta dal mistero che la circonda. Massimo Mila Sat: 60 anni TORINO — Una visita del coro della Sat è un regalo grande per i molti che lo ammirano e lo amano, e permette anche ai torinesi di festeggiare un importante anniversario. Sessant'anni sono tanti per una formazione corale che vive unicamente dell'entusiasmo e della dedizione dei suoi partecipanti. Chissà se c'è ancora qualche superstite della formazione originaria. Dei quattro mitici fratelli Pedrotti che lo fondarono e lo portarono a fama mondiale c'è ancora Silvio, che non già li «dirige» (sarebbe un oltraggio allo stile Sat uno che si pianti 11 davanti al coro a menare le braccia per aria), ma si mette in fila con loro e canta anche lui segnando il .tempo con una mano penzolante a braccio disteso. E' l'università del canto di montagna. E' il coro alpino che ha ottenuto l'ammirazione di musicisti come Daliapiccola e Benedetti Michelangeli. Torino li ha accolti con gioia e li ha avvolti in un affettuoso arrivederci. m. m.