Papa a sorpresa

Papa a sorpresa NELLA FRANCIA «PRIMOGENITA» Papa a sorpresa I quattro giorni che Papa Giovanni Paolo II ha trascorso in Francia hanno costituito un avvenimento di enorme ampiezza per impiego di mezzi, ma ci vorrà qualche tempo perché ne diventi chiaro il significato. Anche le implicazioni spirituali per i credenti non sono immediate: gli ammonimenti nel campo della morale, i richiami alla gerarchia ecclesiastica, gli orientamenti del cristiano nella vita secolare, si potranno valutare nella loro novità solo in rapporto a un'analisi precisa della loro durata, in un confronto con i cambiamenti del costume e le formulazioni dei pontificai; precedenti. E' insomma da una messa a punto storica e politica — non bisogna aver timore di questa parola — che dipende il bilancio dell'avvenimento, per andare oltre l'epiteto di «considerevole», che sicuramente merita. E' necessario «relativizzare»? Ogni avvenimento è storicamente relativo. Ma il primo punto importante è proprio il fatto che i mass media nel loro insieme — in maggioranza non cattolici — hanno trattato questo viaggio come un assoluto in sé. Ne hanno riferito più di mille e cento giornalisti, le reti televisive francesi hanno fatto irrompere sugli schermi chilometri di immagini, in modo caloroso, esprimendo un grande rispetto per il Pontefice, andando ben oltre tutto ciò che era stato in precedenza trasmesso. La quasi totalità di quei cronisti, giornalisti o tecnici, non aveva memoria. Erano giovani, e il Concilio Vaticano II, che fu caratterizzato dall'avvento spettacolare della Chiesa nei mass media, era per loro solo un episodio astratto. Di Giovanni XXIII o Paolo VI non conoscevano che il nome. Quanto all'evoluzione della Chiesa francése negli toltimi due secoli, non ne hanno mai saputo nulla. Una certa carenza di cultura, e quindi di sensibilità, caratterizzava tutti quei commentatori. Che fossero o meno credenti, non si sognavano nemmeno di fare confronti, accettavano Io choc, indifferenti sia a un'antica tradizione di anticlericalismo francese, sia alle compiacenze di una venerazione soddisfatta. Gli ultimi combattenti di un tipo d'informazione religiosa nata con il Concilio tentarono, qua e là, di esprimere critiche c di «fare lezione» al Papa. Hanno trovato spazio solo nelle colonne basse delle pagine interne. E' tutto merito di Giovanni Paolo II?. In ogni caso, è' un fatto. In pochi anni di pontificato, la sua parola, la sua azione, la sua immagine, hanno in qualche maniera spogliato l'opera e l'idea della Chiesa cattolica di riferimenti troppo soffocanti per la realtà della vita politica delle nazioni, per l'evoluzione storica della stessa Chiesa. 11 rilievo vale per la Francia, dove il discorso del Papa non suggerisce nulla di analogo a «Comunione c Liberazione» e non si propone come modello per affrontare la dittatura comunista. Non giustifica una qualunque militanza politica, come in Italia o in Polonia. E di ciò l'ultimo viaggio del Papa stato la prova evidente. Fran cois Mitterrand, al suo arrivo, come Jacques Chirac, alla sua partenza, hanno riconosciuto a Giovanni Paolo II, in modo implicito o meno, di avere im presso una significativa svolta nella storia delle relazioni tra la Francia e la Santa Sede: la liquidazione .di un'antica poli tica, diventata propensione poi nostalgia, e che insomma risaliva all'esercizio di un protettorato. Il mito della Francia «pri mogenita della Chiesa» ne stato per lungo tempo un'espressione. Esso aveva un fondamento concreto: fu quelli l'aggettivo che Papa Stefano II attribuì a Pipino il Breve, primo re dei Franchi e padre di Carlo Magno, che aveva garantito l'integrità degli Stat: della Chiesa contro i Longobardi. Per secoli e fino a oggi non si finì di chiosare le im plicazioni spirituali di quella definizione politica, come se potesse concepire e addirittura ammettere che una nazione una etnia — perché di questo allprSe«edeunpidenoFulicdePtoquisnoundeFresnepocede18il deulodnGsoofrvqcavtucodlaXpqalpfrassmpcprsemnPcndftsc a , e o o a r a a l i e e e ò allora si trattava — fosse stata privilegiata nel regno dei cieli nella sua metafora terrena. Se ne dedusse perlomeno una «elezione particolare». A volte giustificò il diritto dei re di Francia di esercitare un controllo e aver voce in capitolo con i Papi, di assumere decisioni molto diverse, almeno nelle questioni temporali. Fu quello che si definì il «gallicanesimo», che anticipò il decentramento realizzato da Paolo VI, o il felice concordato voluto da Bonaparte. Altre volte, questa politica, questa giustificazione, questo istinto, generarono, sotto il nome di «ultramontanismo», una vera e propria protezione della Santa Sede da parte della Francia, e soprattutto dei suoi eserciti, dal corpo di spedizione di Napoleone III agli zuavi pontifici, i cui uomini erano certi di morire per la libertà della Chiesa. Non ci fu poi, dopo il 1870, un solo pontificato con il quale i francesi non si credettero abilitati a intrattenere una relazione particolare. I loro stessi storici hanno studiato Leone XIII, Pio X, Benedetto XV, Pio XI, Pio XII, Giovanni XXI11, Paolo VI, solo in rapporto ai sentimenti o agli atti di questi Papi di fronte a quella che si chiamava la «Chiesa di Francia». Infine la posta in gioco, quando smise di essere politica e di alimentare la guerra civile tra francesi, diventò «culturale». Uomini politici o commentatori francesi, senza dimenticare gli storiografi della religione, celebrarono Pio XII, Giovanni XXIII e soprattutto Paolo VI, solo per quello che definivano la loro cultura francese», ignorando sottovalutando radicalmente altre componenti di pari importanza, in cui «l'influenza francese» scompariva davanti alla realtà di altre situazioni. Per aver preso parte a questo genere di celebrazioni, chi scrive fa ancor più sinceramente autocritica e non comprende più oggi perché i francesi dovrebbero inorgoglirsi per l'influenza di Jacques Maritain su Paolo VI, o i tedeschi per il ruolo che i loro eologi hanno avuto nella formazione di Giovanni Paolo II. Con quest'ultimo, è avvenuta una profonda, spirituale, de-nazionalizzazionc» del Pontefice. ?e si continua a chiamarlo «romano», la connotazione geografica, politica, del termine è scomparsa di fronte al suo significato nella tradizione della storia ecclesiastica. Se il Papa è ricordato come «polacco», è un caso, non più un tratto distintivo, stupefacente, che segna una rottura con una tradizione di talianità. In pochi anni, l'immaginario dei francesi, su questo tema, è stato sconvolto: il «sovranazionalismo» — non si trovano altri tèrmini — della persona del Pontefice è diventato un'evidenza e una virtù, le caratteristiche personali dell'uomo che siede sulla cattedra di Pietro hanno perso la preponderanza, certo eccessiva, che da un secolo mascherava gli orientamenti spirituali dei predecessori. Per quanto forte sia stata l'influenza di Giovanni Paolo II nel suscitare questo capovolgimento, questo cambio di ottica, è ovvio che la strada era stata preparata, senza un dploncfrGcc«dmPes disegno intenzionale, dai Papi precedenti, in particolare Paolo VI. E senza dubbio non fu minor merito dei suoi più vicini collaboratori e dei cardinali francesi della Curia, Villot o Garrone, il mettere in atto, secondo le sue direttive, i meccanismi di liquidazione del «nazionalismo intellettuale» e delle antiche abitudini di comando. Grazie a ciò Giovanni Paolo II può oggi essere visto e inteso come testimone di storia universale. Jacques Nobécourt

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