Storaro: quel Pietro del disgelo di Osvaldo Guerrieri

Storaro: quel Pietro del disgelo Il direttore della fotografia parla dello sceneggiato che parte stasera su Raidue Storaro: quel Pietro del disgelo Ricorda il set in Uzbekistan, cinque mesi a 30 sotto zero - «II. film è nato in un momento difficile, quando la Russia non partecipava alle Olimpiadi» - «Ma la troupe riuscì a creare un clima di unione con gli Usa, il negativo potè uscire senza il controllo sovietico» C'è molta Italia nel kolossal americano da quaranta miliardi Pietro il Grande, di cui va in onda stasera su Raidue la prima delle quattro puntate firmate dal regista Marvin J. Chomsky. La maggior parte dello staff tecnico-artistico proveniva infatti dal nostro Paese: italiani erano la costumista, il parrucchiere, il truccatore e il direttore della fotografia, Vittorio Storaro, due volte premio Oscar per Apocalypse Now e Reds. Storaro è a Pechino, impegnato nella lavoratone de L'ultimo imperatore, il film di Bernardo Bertolucci che racconta l'educazione, l'ascesa e la caduta di Pù Yi, uno dei più discussi protagonisti della storia cinese. Lo raggiungiamo per telefono nel suo albergo e gli chiediamo quali ricordi conservi di quella lunga esperienza di lavoro nell'Unione Sovietica. «E' quasi Impossibile sintetizzare — risponde, con un lieve imbarazzo —. Non posso restringere In pochi minuti più di un anno di vita». Ma aggiunge, riprendendo animo, che aver lavorato al Pietro il Grande resto una delle- tappe fondamentali della sua carriera. Spiega. •Doveva essere un program' ma americano da svolgersi in Russia con la collaborazione degli europei. Con la mia chiamata è diventata un'impresa italiana. Abbiamo esportato una visione artistica e un metodo. Tutto questo non può che riempir' mi d'orgoglio». C'è anche una ragione politica per la quale Storaro esprime tutta la propria soddisfazione. «Il film — ricorda — è nato in un momento dif¬ ficile. Era il tempo in cui la Russia non partecipava alle Olimpiadi, i dissensi con l'Occidente erano profondi. La nostra troupe riuscì a creare questa incredibile unione con gli Stati Uniti. I russi accettarono un copione in progress, l'Ingresso nel loro Paese di autori europei e, soprattutto, non si opposero al fatto che il negativo originale del film uscisse dalla Russia senza il loro controllo». Storaro è abituato ai tempi lunghi. Ricorda le lavorazioni di Novecento, di Apocalypse Now e, ora, de L'ultimo imperatore. Ma forse non era abituato alle durezze climatiche sopportate in Unione Sovietica. Racconta di aver trascorso cinque mesi nell'Uzbekistan, a 30, 35 gradi sotto zero. Tuttavia, aggiunge, «non avrebbe avuto senso filmare Pietro il Grande in un altro posto. Le difficoltà geografiche e sociali sono parte della storia, per cui vanno viste come necessità, e noi dovevamo ricercare proprio quel climi e quegli ambienti». La lunga parabola di Pietro, sospesa tra bizantinismo ed europeizzazione, per Storaro non è soltanto un'impareggiabile epopea umana e storica, ma anche un affascinante itinerario all'interno di una realti culturale travestita di emblemi artistici. Ed è il percorso che ha compiuto lui, creatore d'immagini e suscitatore di atmosfere visive. Storaro ha raccontato le varie fasi della vicenda umana e politica di Pietro mediante le suggestioni dell'arte figurativa. L'infanzia del creatore dell'impero, dice, •era molto legata all'antica Russia, quella delle chiese e delle icone. La sua giovinezza, contrassegnata dalla volontà di vivere e dalla scoperta dell'avventura, è sintetizzata dalle miniature, che descrivono per lo più il mondo cavalleresco e prospettano climi colorati e fiabeschi. C'è poi la scoperta dell'Occidente, il desiderio di capire com'era il mondo esterno. A quell'epoca, in Russia, la raffigurazione era solo sacra. Ad Amsterdam Pietro scopre Vermeer e tutta una cultura che importa nel proprio immenso Paese. Forse l'Ottocento russo è una diretta conseguenza dei viaggi di Pietro». Anche l'attuale lavoro sull'imperatore PuYlè impostato sugli stessi criteri figurativi? •In linea di massima sono gli stessi — risponde Storaro — ma sono applicati ad un'altra cultura. Neil'C7f rimo imperatore io racconto le età dei colori che corrispondono alle età dell'uomo. C'è il colore dell'Innocenza, quello della consapevolezza e, infine, il colore della maturità. Generalizzando, posso dire che questo film nasce nella penombra, con tutto il simbolismo legato alla penombra, e va alla scoperta della luce. Si risolverà in un conflitto e in un successivo equilibrio fra ombra e luce». Come giunge a queste intuizioni? Da solo? Dalle discussioni col regista? •Qualsiasi opera è condotta dall'autore centrale, non è gestazione del singolo, nasce da ciò che è scritto sul copione. Per me la fotografia è scrittura con la luce, la elaboro come meglio posso e poi la presento all'autore». Osvaldo Guerrieri