Bellotto, la veduta come poesia

Belletto, la veduta come poesia DA DRESDA A VENEZIA 21 GRANDI TELE DI UN MAESTRO DEL 700 Belletto, la veduta come poesia a n a : i ri i a e o e. o ; n c G VENEZIA — Giudizi positivi unanimi sulla mostra del Bellotto, organizzata dalla Fondazione Cini, che resterà aperta fino al 9 novembre all'Isola di San Giorgio. Benché circoscritta ai dipinti del periodo di Dresda, è davvero una esposizione eccezionale, che ripropone all'attenzione una delle figure più affascinanti della pittura veneziana del '700. Come dice, con ragione, il curatore Alessandro BettagnO nel catalogo edito da Neri Pozza, un esempio mirabile di «veduta come arte: Una mostra che degnamente s'incastona nel diadema delle rassegne realizzate da questa istituzione, a partire dall'immediato dopoguerra. Seguendo una precisa linea culturale, per cosi dire, veneta, con encomiabile regolarità. Basti ricordare le innumerevoli mostre di disegni veneziani e le due ultime del Plranesl e del Canaletto. La scelta del dipinti di Dresda del Bellotto nasce dal desiderio di proseguire, su tale linea. Ed è dovuta alla generosità delle autorità della Repubblica Democratica Tedesca e soprattutto della Pinacoteca di quella città, che ha accettato di privarsi temporaneamente di una gran parte di essi. Prestito fuòri del comune, ottenuto grazie anche all'interessamento del Centro Thomas Mann. Per l'esattezza, 21 grandi tele e 6 incisioni. Va notato che si tratta degli originali fatti per il re Augusto III di Sassonia e non delle repliche, di formato minore, che il pittore esegui per il primo ministro e altri nobili. Serie di dipinti giustamente celebri perché, secondo la maggioranza degli storici, appartengono alla sua stagione più poetica. Una condizione raggiunta dopo un lungo tirocinio pres so lo zio materno, il famoso Canaletto. Si ritiene che egli sia entrato nella sua bottega quando aveva 15 o 16 anni. E rapidamente deve essere diventato, piti che un allievo, un collaboratore, se un palo di anni dopo risultava già iscritto nella .fraglia' dei pittori veneziani Dal Canaletto apprese gli elementi fondamentali del vedutlsmo». L'uso della camera ottica per il primo abbozzo e 1 successivi «scarnasti* per precisare particolari. Ma, come rivela un disegno da lui firmato nel 1740 (non aveva ancora vent'anni), mostrando, fin da allora, una personalità ben distinta da quella dello zio. Meno fantasiosa, più legata alla verità oggettiva. Sarà la sua caratteristica. Una differenza di fondo che lo spinse ben presto ad allontanarsi, per periodi piti o meno lunghi, da Venezia, per cimentarsi da solo, in modo autonomo, sulla «veduta». A parte la visita d'obbligo ai monumenti di Roma, pare consigliata dallo stesso Canaletto, una serie di viaggi in varie parti d'Italia. Ne abbiamo testimonianza dai dipinti giovanili che raffigurano luoghi diversi. Dove la luce non è piti quella vibrante, tipica della Laguna, esaltata dallo zio. Bensì acquista, man mano, una maggiore fermezza e tonalità piti fredde. Specie i paesaggi lombardi e torinesi, sono molto più taglienti delle vedute atmosferiche canalettlane e vengono fissati In una visione come ferma nel tempo. Evidente la sua esigenza di «verità assoluta e magica densità' di cui parla Roberto Longhi. Ormai pronto, dopo l'avallo del re Carlo Emanuele ni che lo aveva chiamato a Tori¬ a a à . e o r o A i e n i n a o n i o e a i o i ri¬ no, a spiccare il volo verso le maggiori corti europee. Prima tappa la Sassonia dove era stato invitato, sembra su suggerimento deil'Algarotti, In sostituzione dello zio impegnato in Inghilterra. Con la moglie e 11 figlio ancora bambino — chiaramente 11 soggiorno all'estero non si prevedeva breve — a 26 anni cominciava quel peregrinare In vari Paesi, dai quali non avrebbe più fatto ritorna Trovandovi regnanti illuminati e amanti delle arti e un' Europa aperta agli.scambi, nella quale gli artisti italiani avevano un ruolo primaria Nella pacifica, fervorosa Dresda, capitale appunto della Sassonia, c'era addirittura un «villaggio italiano', un edificio tuttora esistente, che ospitava architetti, scultori e pittori. Intenti a cambiare il volto della città. Dopo appena un anno, «Bernardo Belato deto Cana leto. — tale pseudonimo, adottato probabilmente per accontentare i committenti, lo accompagnò fino alla morte—è già peintre du Rai. Riverito e onorato e libero di esprimere, pur nel rispetto della richiesta, precisa documentazione del fasti architettonici del re, la sua visione delle cose. Una poetica tutta sua, acuita dalla tersa luce nordica, basata sul suo bisogno di narrare ogni aspetto Ideila realtà. Con un respiro amplissimo, con la voglia di mettere in ciascun quadro l'Intero universo. Che è poi la ragione della sua lucida, penetrante attenzione agli aspetti della vita quotidiana più comuni e umili. Una realtà osservata con estrema acutezza, vivificata mediante piccoli, schietti, corposi colpi di pennello. Sulla quale gU storici, probabilmente perché Intenti alla straordinaria profondità del paesaggi o ad Individuare 1 singoli ' edifici raffigurati raffigurazioni, com'è noto, risultate preziose per le ricostruzioni post-belliche di Dresda e Varsavia —, In genere non si sono soffermati molto. Mentre, invece, quei minuscoli personaggi formano un tutt'uno con l'ambiente circostante. Ne sono parte essenziale. I quadri di questo periodo sono Infatti particolarmente unitari. Accanto alle architetture realizzate con la precisione e la pazienza di un topografo, vive una moltitudine percepita e resa con acuta penetrazione psicologica. Attenta al mimmo segno di vita vera — la fatica di un operalo, un vaso su una finestra — con grande simpatia umana, come testimoniano pure l paesaggi di Plrna, sobborgo di Dresda sull'Elba, dove 11 pittore aveva una casa. Insieme con la costante aspirazione a essere veritiero fino al limite estremo, oltre il quale, come dice Briganti, «con i mezzi visivi della ragione non è concesso andare', come l'Insinuarsi di una trepida elegia. In questo periodo di Dresda, la bravura prospettica, il grande mestiere del Bellotto, diventato effettivamente grande poesia. Una stagione che durerà una dozzina di anni. Poi la guerra, il girovagare presso le corti di Vienna e di Monaco, il ritorno, per un palo di anni, non senza umiliazioni, nella Dresda dominata dal nuovo clima borghese, tutto questo Inciderà, inevitabilmente, sul suo lavoro. Quella felicità del primo soggiorno a Dresda non fu più ritrovata. Neppure quando si trasferì definitivamente a Varsavia (in verità, sognava Pietroburgo e la corte di Caterina II) presso il re Stanislao Augusto Poniatowsky. n quale, da sovrano illuminata fu prodigo d'incarichi che impegnarono il pittore fino alla morte, avvenuta a sessant'annl, nel 1780. Ma, via via, sempre più con «aiuti» — in primis il figlio Lorenzo —, meno spontaneo, un po' più rigido. Una parabola che, pressata dal neoclassicismo montante, ormai volgeva al termine. Segnando anche — insieme con gli ultimi guizzi del Guardi — la fine della vicenda gloriosa del «vedutismo» veneta Francesco Vincitorio Bernardo Belletto: «La piazza del Mercato vecchio dalla Seegasse a Dresda», una delle tele esposte alla Fondazione Cini (part)